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08/07/2012 08:18 CEST - Rassegna Nazionale

La Williams di nuovo regina, la Radwanska k.o. (Martucci, Marcotti, Azzolini, Valesio, Clerici, Ferrero, Piccardi,De Martino, Palizzotto); Federer contro Murray e l’intera Gran Bretagna (Martucci, Tommasi, Marcotti, Semeraro, Lombardo)

08-07-2012

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A cura di Davide Uccella


La Williams di nuovo regina, la Radwanska k.o. (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 08-07-2012)


“Veramente, come spirito, sento di avere 12-13 anni”. Non fidatevi delle apparenze: Serena Williams non è solo muscoli da Tyson, bordate da fondocampo, servizio da uomo, belva da combattimento che urla vibranti «com'òn» da far accapponare la pelle e schiaccia, infine, anche «la nuova Hingis», Agnieszka Radwanska, nella finale di Wimbledon. Serenona è una campionessa — una delle campionesse di casa, insieme alla sorella Venus con cui ora divide l'incredibile primato di 10 trionfi ai Championships, oltre a sbandierare i 14 Slam personali — ma è anche una umanissima donna di 30 anni che ha sofferto, che ha temuto di non tornare mai più a una vita normale (figurati nell'élite del tennis), che ha paura di crollare ancora, in campo, per i propri nervi, prima ancora che per la scherma dell'avversaria. Ed è talmente genuina che mostra ancora tutta se stessa, nel bene e nel male, sul campo centrale di uno Slam, e quindi in mondovisione: due anni fa a New York, la furiosa minaccia al giudice di linea, con espulsione, l'anno scorso ancora agli Us Open, con la finale regalata a Sam Stosur, e ora sul Centre Court di Wimbledon, con una dedica toccante, ed indimenticabile.


Mammà Dopo il rovescio lungolinea definitivo che, dopo 2 ore, sigla il 6-1 5-7 6-2 contro la polacca dalle «fantastiche mani», Serenona s'accascia sulla magica erba, stravolta dall'emozione. Sembra eccessiva come sempre, mentre piange, e scala la tribuna del mitico Centre Court. Ma, quando fa lo slalom fra parenti ed amici e poi sprofonda nelle braccia di mammà, non è la più forte del pianeta tennis. Perché la mamma è sempre la mamma, anche se metti giù 102 ace-record del torneo, 24-record qui in un match solo, addirittura 4 in un solo gioco, firmando il «gol-den game», sotto il traguardo del torneo dell'immortalità.

 
Lacrime «Scusa, Venus, se ti ho copiato ancora», cinguetta un po' forzata al microfono in campo. «Grazie per i consigli che mi hai dato durante la sosta per pioggia». Poi si lascia andare: «Non posso descrivere quello che provo. Un anno fa ero in ospedale e mai avrei sognato di poter essere ora qui con un altro piatto di Wimbledon. Così, però, è anche più dolce». E ancora: «Senza di voi, che mi siete state accanto notte e giorno, e ora siete qui in tribuna, non ce l'avrei mai fatta: Esther, Val, Venus, Isha». Poi spiegherà quant'è importante, quando soffri, avere accanto qualcuno «che ti dorme accanto su una sedia, e non è un parente». Poi racconterà il suo segreto: «Ho pregato e pregato. Credo che Jehovah mi dia la forza, senza la fede non ce l'avrei fatta, addirittura per due giorni non mi sono nemmeno alzata dal letto, avevo un tubo nello stomaco, avevo problemi ai polmoni, già avevo avuto due operazioni al piede, ma ho pregato e ho reagito». Poi spiega perché questa Serena è migliore della precedente: «Quando passi cose, così abbassi un po' la guardia e sei ancora di più te stessa. Io, poi, piango sempre ai film: l'altro giorno ho pianto anche per Desperate Housewives. Devo smetterla. Ma ero scesa al 200 del mondo e ho fatto un viaggio straordinario, passando per quell'altra batosta di Parigi, dove ho perso subito, fortuna che sono rimasta lì ad allenarmi».


Ferocia Lacrime di coccodrillo, penserà la Radwanska. Che invece dice: «Ho avuto le mie chance e, nel secondo set le ho prese, poi lei ha servito troppo bene ed è stata troppo brava sui punti importanti. Non era la mia giornata, comunque, ho passato le due migliori settimane della mia vita, tornerò l'anno prossimo per vincere». La neo numero 2 del mondo (alle spalle di Azarenka che risorpassa Sharapova), soffre dannatamente nel primo set, schiacciata fino al 5-0 e poi 6-1, nervosissima per la prima finale Slam lì dove, nel 2005 vinse il titolo juniores, e si ripresenta fra le grandi costipata. Poi reagisce al break rovesciando il 3-4 nel 5-4 e quindi addirittura nel 7-5, con la colpevole partecipazione di Serena, terrorizzata da un'altra finale-incubo, da strafavorita come agli Us Open di settembre: «Agnieszka ha giocato davvero bene, da erba, rimandandomi indietro qualsiasi palla. Ma nel terzo set, ho cercato di calmarmi».


Attacco e difesa E la partita torna in mani Usa: 58 vincenti a 13 dicono tutto fra l'attaccante Williams e l'intelligente difensore Radwanska. Serena dice anche che pensa a vincere tutti i prossimi Slam e l'Olimpiade: per lei l'età non conta, anche se era da Navratilova nel 1990 che una over 30 non vinceva Wimbledon. Con quel servizio-monstre: «All'inizio, imitavo da Sampras, ma poi ho cambiato il movimento». Intanto ha ritrovato il piacere di vincere in coppia anche con Venus: «Senza di lei, forse non avrei mai vinto niente». Con quello spirito giovane.


Serenissima (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport, 08-07-2012)


Tutto il senso del 14° Slam vinto da Serena Williams è riassunto in una frase che Ia statunitense pronuncia pochi minuti dopo aver superato in tre set la polacca Agnieszka Radwanska. Dopo aver ricacciato dentro le lacrime di commozione e orgoglio e ringraziato tutto il suo team. Dopo l'emozionante scalata delle tribune per l'abbraccio a papà Richard, alle sorelle Venus e Isha, e quello più lungo e intenso alla mamma Oracene. L'immagine più iconica dell'ennesima vittoria di una vera e propria saga familiare, capace di dominare senza rivali il tennis femminile nei primi dodici anni del terzo millennio.


“Tutte le vittorie degli Slam sono speciali, ma questo è super speciale”, ha spiegato Serena, e se qualcuno non avesse capito il riferimento, ci ha pensato lei a spiegarlo. “Quando all'inizio del 2011 sono stata ricoverata in ospedale, non avrei neppure osato sperare di tornare a giocare. Ma non ho mai mollato e ora la felicità è ancora più intensa”. Una via crucis fatta-di malattie-guarigioni-ricadute-operazioni. Persino una pericolosissima embolia polmonare. Lunghe giornate trascorse sdraiata sul divano, debilitata a tal punto che il tennis era completamente uscito non solo dalla sua quotidianità ma anche dai suoi pensieri.


“Ho attraversato momenti davvero difficili, problemi di tutti i tipi. Così tanti che non posso neppure elencarli tutti. Ma quando vivi situazioni così complesse, è giusto abbassare la guardia e lasciare che le altre persone vedano chi veramente sei. Sono una persona normale, a cui capita di piangere spesso, anche guardando Desperate Housewives'”.


O mentre ringrazia la sua famiglia per il sostegno che non le ha mai fatto mancare. “Dal primo istante che sono entrata in ospedale, sono sempre stati con me, dormendo scomodamente sulle poltrone della mia stanza Mi hanno trasmesso coraggio e voglia di guarire, non li ringrazierò mai abbastanza”.

LA PARTITA - Il successo sulla Radwanska è stato più sofferto del previsto, in più di due ore di gioco, nonostante le previsioni sbilanciate dei bookmaker, all'unanimità per Serena, e le condizioni fisiche approssimative di Agnieszka, alle prese con tosse e raffreddore. Il primo set sembra confermare i pronostici più scontati: Serena in poco più di mezz'ora archivia la pratica.


La Radwanska accusa anche la tensione dell'esordio in una finale dello Slam, ma dopo l'interruzione per pioggia trova il coraggio per reagire al break di svantaggio e - complice una disastrosa Serena nel 12 game - trascina la finale al terzo set. Serena accusa il colpo ma non si smarrisce e nel quinto game della terza frazione accelera strappando il servizio alla polacca. Il match finisce qui perché due game più tardi la Radwanska smarrisce nuovamente la battuta e alla prima occasione Serena mette la firma sul quinto trionfo all'All England Club, il 42 torneo in carriera.


«Nel secondo set ho accusato la tensione, ma non so proprio il motivo. Merito anche di Agnieszka che ha alzato il livello del suo gioco. Sono stata però brava a stare tranquilla nel terzo e penso di aver meritato».
Come confermano le statistiche di un match, a tratti dominato da Serena: 17 ace, 82% di punti sulla prima di servizio (44% per la Radwanska), 58 vincenti contro i 13 della polacca.


IL FUTURO - II 14° Slam però non è un traguardo, ma un nuovo inizio per Serena nonostante l'età. “Fisicamente non mi sono mai sentita così bene durante uno Slam. Ho giocato praticamente tutti i giorni per via del doppio e ora mi sento benissimo. L'arma in più? Il servizio mi ha aiutato moltissimo (102 ace in 7 match -ndr)».


Se il record assoluto di Slam di Margaret Court Smith (24) appare troppo lontano, quello di Steffi Graf (22) non spaventa l'americana. “Non è un'ossessione, la mia mentalità mi porta a pensare torneo per torneo. Penso già agli US Open. Ma non vedo perché non dovrei sognare di eguagliare i suoi successi. D'altronde ho solo trent'anni”.
Ma non c'è fretta. Prima Serena vuole tornare a casa in Florida e festeggiare con i suoi amici. Perché a distanza di dieci anni dal primo trionfo Slam, la più giovane delle cinque sorelle Williams ha eguagliato il record della sorella Venus portandosi a casa il quinto piatto Venus Rosewater."Scusa Venus - ha scherzato durante la premiazione - ma sai che ho sempre voluto quello che avevi tu, ti copio da una vita”. Appunto, un'affare di famiglia.


L’opinione – l’unica autentica numero 1 del mondo (Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport, 08-07-2012)


Lo pensano in molti, lo ha ribadito Wimbledon: c'è solo un'autentica numero 1 del mondo, nel tennis femminile, e naturalmente è Serena Williams. La nuova classifica Wta domani riporterà davanti a tutte Victoria Azarenka, che era stata spodestata da Maria Sharapova dopo il Roland Garros. E al secondo posto salirà Agnieszka Radwanska, mai così in alto in carriera. Peccato che tutte e due siano state battute proprio da SuperSerena sull'erba londinese, consecutivamente in semifinale e in finale. Lei, la Williams, da 6 passerà a 4 per il giochino dei tornei che entrano ed escono, ma questo conterà poco o nulla. Va per i trentuno, Serenona, ma quando è al meglio prende ancora a pallate tutte le altre. Un anno e mezzo fa ha sconfitto un'embolia, potrà mica preoccuparsi di loro.


Super Serena, la donna che si sente una bimba (Daniele Azzolini, Tuttosport, 08-07-2012)


La signora Radwanska abita al 361 di Wimbledon Park Road. È molto anziana e deve essere stata molto bella in gioventù. 11 tennis lo guarda in tivù ma della coda, The Queue, la fila più famosa del mondo, sa tutto, perché le scorre sotto casa. L'esatta pronuncia del cognome, spiega, obbliga a un'attenta limatura della kappa, per ammorbidirla fin quasi a trasformarla in una zeta, Radwanska, o giù di lì. Agnieszka le piace, ma potrebbe piacerle di più. “Dovrebbe coltivare la sua bellezza” , dice, “dovrebbe tenerci di più”. Poi sospira, ah, i Radwanska di Cracovia, così diversi dal suo ceppo, i Radwanska di Varsavia. “Perderà”, sentenzia. E spiega perché. La Williams, Serena, è troppo... troppo...Non osa dirlo. -Maschile-, sussurra alla fine.


Tre chilometri più su, a Wimbledon Village, al numero 3 di Homefield Road, ogni anno prende casa Richard Williams, il padre orco delle Sister. Accoglie i giornalisti seduto sugli scalini dell'ingresso. Una troupe polacca gli chiede se Lady Aga, abbia chance. “Naaaaa”, risponde, “Sciascianka, Barbunka, insomma, Radwanska non può vincere. Se dovesse accadere mi preoccuperei molto, perché vorrebbe dire che Serena ha avuto un infortunio serio”. Con questi presupposti, e nessuno nel giro di chilometri che puntasse sudi lei, Agnieszka ha giocato la prima finale della sua carriera immaginando di perderla nel peggior modo possibile, e si è data da fare per limitare i danni. Il contrario di Serena, che aveva motivazioni personali talmente robuste da sconfinare il tennis e i numeri da primato che ogni sua recita porta con sé. Stimoli che le pulsavano dentro, la scuotevano al ritmo di un inesausto hip hop, restituendola persino nei tratti del volto alla sua antica dimensione di onnivora divoratrice di avversarie. Com'era prima e come potrà tornare a essere, se vorrà, se per qualche tempo porrà il tennis in cima alle cose da fare e metterà da parta i cento grilli che ha per la testa . “Stavo per morire”, ha urlato nei pochi secondi d'intervista sul Centre Court, “e ora sono qui, fra voi, e ho vinto”. Poi si è rivolta verso la sorella, nel box dei familiari. “Anche tu eri con me in ospedale, anche tu hai visto”. Venus si è commossa. Mamma Oracene si è sciolta. L'altra sorella, Ysha, si è fatta di tremolante gelatina, a quelle parole. Serena era andata prima ad abbracciarle. Stavolta Io Slam è di tutta la famiglia. La storia è nota.


Dall'ultima vittoria sull'erba, nel 2010, a Serena è successo di tutto. “Una sfilza di sfighe che ha dell'assurdo”, per dirla a modo suo. Fino a rischiare la vita, per l'embolia polmonare che la colse mentre era alle prese con un difficile recupero dal taglio subito sotto un piede all'uscita da un ristorante. Un infortunio inizialmente sottovalutato, che le impedì di giocare per mesi. E quando ricominciò ad allenarsi, ecco un guaio ancora più grande, che nessuno avrebbe mai potuto prevedere. Serena fu operata d'urgenza, si rimise in piedi presto, è scesa in campo appena ha potuto. E ha ripreso a vincere. Ma per tornare proprietaria di uno Slam ha dovuto attendere due anni esatti, e ritrovare l'erba e quelle sensazioni di libertà, quei gesti istintivi che solo Wimbledon le sa dare.


La quinta volta, nei Championships. “Come Venus. Ma io voglio tutto quello che ha lei, perché sono la sorella più piccola, che copia tutto dalla grande”, e ride, lei che con il suo 14mo Slam ha ormai doppiato la sorella. “Inseguo Federer”, dice, facendo l'occhiolino. I trent'anni non le pesano. “Figurarsi, mentalmente sono una bimba di 12, massimo 13 anni”. Se n'è accorta anche la Radwanska. Una chiamata cieca, sul 4-3 del secondo set (la palla, data fuori, era dentro di 30 centimetri) ha fatto perdere il filo alla Sister, e subire il break che ha riportato il parità la partita Basta poco, a Serena, per uscire dal tracciato. Pochissimo, però, per ritrovare i colpi che le altre non hanno. E bastato un break al quinto game del terzo set, e da II è tornata la Serena dominante, la tiranna del circuito.
Ha vinto il tennis del decennio scorso, con questo messaggio si chiudono i Championships al femminile. E ha vinto l'unica interprete di quel tennis senza ghirigori, uno schiaffo e via. Serena potrà tornare numero uno, quando vorrà. E la più forte, e tanto basta. Se la parola da usare è restaurazione, lei, per una volta, la fa sembrare meno brutta del solito.


Il punto di vista – Fatele affrontare Djokovic (Piero Valesio, Tuttosport, 08-07-2012)


SERENA vince perché esprime il più maschile fra i tennis femminili. lira più forte di chiunque altra, serve come molti maschietti faticano a fare e se la si dovesse paragonare ad un personaggio dei fumetti ecco che il soggetto adatto è Kingpin, l'altrettanto voluminoso nemico dell'Uomo Ragno: laddove la voluminosità del fisico è traducibile in potenza pura e non in ingombrante massa grassa. Serena ha le sue fragilità. fuori dal campo (lo si sapeva) e pure in campo come dimostrano la finale persa l'anno scorso a New York contro la Stosur e il secondo set di ieri quando la Radwanska, che picchia la metà di lei ma è letale nel disegnare geometrie (come al tempo suo faceva Martina Hingis), l'ha costretta a soffrire minando in lei la certezza della propria debordala Ma ora la domanda è: Serena ha davvero accorciato la distanza fra il tennis femminile e quello maschile almeno interpretato nella sua espressione mediana? Sarebbe giusto scoprirla Dunque invoco l'organizzazione di un nuova 'battaglia dei sessi" sul morlello di quella di cui furono protagonisti Bobby Riggs e Billie Jean King nel 73. Serena contro Djokovic, toh. Così ci vedremo più chiaro.


Serena raggiunge Venus tra le regine di Wimbledon (Gianni  Clerici, La Repubblica, 08-07-2012)


Serena Williams ha raggiunto l'amata sorella Venus, vincendo il suo quinto titolo, contro la ragazza di Cracovia, Agniewska Radwanska. Ma vi darò in seguito qualche dettaglio tecnico e statistico, per raccontarvi una storia. Prima del match, visto attorniato dai colleghi polacchi Wojtech Fibak, che fu il migliore del suo paese e ora è un gran mercante d'arte, gli andavo chiedendo se la Radwanska conoscesse la Venere con l'Ermellino di Leonardo e, nel sentirmi rispondere che è una ragazza colta, venivo informato che non stava bene, aveva preso freddo, e, in pratica, perso la voce.


Come avrei osservato, nella giornata ventosa, le due entrare in campo, il contrasto tra la Radwanska quasi gracile, e la statuaria Williams, mi spingeva non dico a far tifo, ma a rivolgere la mia simpatia al la polacca. Non pareva servirle a molto, povera piccina, perché i bicipiti di Serenona iniziavano a propellere fulmini e saette sulle battute, e granate esplosive sui rimbalzi. Era appena giunto il primo turno di servizio della polacca, che Serena la brekkava, era appena giunto il quarto game, che Serena la ribrekkava. La povera polacchina, insomma, sarebbe riuscita a sgraffignare in tutto un game, il sesto, una fatica di 12 punti, prima di vedersi scivolare dalle mani uno straccetto di primo set, per 1-6.


A questo punto, le divinità pluvie di Wimbledon dovevano avvertire la vergogna di Agnese, e intervenivano con una docciarella. Mi andavo rallegrando, e ai miei vicini americani confidavo di sperare in una felice convalescenza della malatina, quando Chris Cleary, l'ottimo columnist del New York Times, mi interrompeva. "Ma tra una malatina e una vera ammalata, è Serena che merita un successo. Non sai che poteva morire ?". "Negli spogliatoi?" mi informavo stupidamente. "Ma cosa dici? L'anno scorso". E, riferendomi una recente intervista con il papà Richard, Chris mi avrebbe spiegato che, l'anno passato, Serena non era stata soltanto vittima di due operazioni al piede, come tutti sapevamo, ma di una CID, coagulazione disseminata intravasale, che le aveva inviato pericolosi coaguli in un polmone, mettendo in grave rischio il cuore. Papà Williams si era confidato sui dettagli della vicenda che avevano causato un'urgente ricovero in un'infermeria specializzata, per concludere: "Altro che Wimbledon. Dobbiamo ringraziare Dio che Serena sia in grado di camminare, ancor prima che di giocare a Wimbledon".


Nello stesso tempo, negli spogli atoi, la ragazza maltrattata riceveva il conforto del suo coach Viktorowski e del papà Robert, e ritornava in campo, dopo 38 minuti con un aspetto meno scoraggiante, tanto che mi pareva che le sue guance avessero riassunto un colorito semiroseo. Iniziava, infatti, non solo a battere meglio ma, con quel suo stile da educanda in preghiera, genuflessa al suolo, non sbagliava quasi niente, alternando anche le arrotate con il colpo della massaia, il cosiddetto Chop (in inglese, fetta). Tutto ciò le permetteva di risalire da un iniziale svantaggio di 1-3, e soprattutto di allungare gli scambi, alla fine dei quali pareva aver ritrovato piena capacità di respirazione, mentre era la povera Serena a sembrare sfiatata. Alcuni palleggi che raggiungevano i venti tiri parevano affliggere ancor più la don-nona, al punto che il mio buon cuore mi spingeva ad augurarmi, ora, una sua vittoria.


La mia speranza non pareva, all'inizio del terzo, ben riposta per un vantaggino di 2-1 in favore di Agnese, ma Serenona poteva contare su qualcosa che le sue avversarie non posseggono. Pur sfiatata, si affidava alla battuta non meno violenta di quella di un maschio, pareggiava con un poker d'assi, quattro prime vincenti, e strappava un break e poi un altro, che avrebbero chiusa la partita.


Mi scuserà il lettore, forse desideroso delle statistiche o delle dichiarazioni ufficiali delle protagoniste, ma simili entusiasmanti luoghi comuni sono ormai facilmente rintracciabili grazie agli strumenti contemporanei di informazione.


Wimbledon roba da Williams, Serena picchia duro e vince (Federico Ferrero, L’Unità, 08-07-2012)


A DIECI ANNI DAL PRIMO WIMBLEDON, STRAPPATO A FORZA NEL PIENO DI UNA TIRANNIDE RICORDATA COME L'EPOCA DEL SERENA SLAM, LA NOVITÀ E NUOVA QUANTO UN KOLOSSAL SULLO SBARCO IN NORMANDIA. Ancora lei: Serena. Date una manciata di salute a una Williams, sistematela sull'erba inglese e aspettate: qualcosa succederà. Del resto dal Duemila solo due delle tredici finali all'ATI England Club hanno tenuto fuori dalla porta o Venus o Ser

ena. Che è invecchiata un po' meglio della sorellona e, violenza a parte, è una tennista migliore. Di più: la migliore.
Poco importa che da oggi la numero uno del mondo, per il ranking, torni a essere Azarenka, o che Agnieszka Radwanska, la maga polacca, sieda al secondo posto con Serena al quarto, dietro a Sharapova. Il peso non si calcola con i punti e quello degli Slam della Tyson in gonnella, cinque qui per un ammirevole ammontare di quattordici, freddano il dibattito sul nascere. Abbiamo una numero uno.


Si è avuta anche una partita, circostanza men che auspicabile al pensiero di un'Aga portata a spasso per i prati dal cannone di Serena. Così è stato, ma solamente lungo un set. La pausa pioggia al termine del parziale, gestita dal tournament referee Andrew Jarrett, è stata letta dai maligni come ultima spiaggia per allungare il brodo dello spettacolo.


Per contro lo stop ha permesso di far partire il motorino Radwanska, fino a quel momento destinata a null'altro che aggiungere una riga alla storia del tennis polacco che qui aveva avuto come unica finalista miss Jadwiga Jedrzejowska, piegata nella finale del '37 dalla britannica Dorothy Round. Una difesa sempre più efficace, gli anticipi col brevetto di un dritto genuflesso che nessun'altra sa imitare hanno inguaiato la dimostrazione di potenza della Williams.


Capace, però, di un perfect game di quattro ace nel quarto gioco del terzo set e di farsi forza con la battuta nei momenti di difficoltà: più di cento punti diretti con la battuta nel torneo, un paracadute che solo Meeka - il suo nomignolo tra amici - può permettersi. Neppure la regina della moda e tennis-maniaca Anna Wintour ha voluto mancare al party di Serena, tornata a vincere uno Slam dopo un'estate 2010 maledetta: un vetro caduto sul piede, l'intervento fallito, un'embolia quasi fatale.


Celebre per presenziare appena un quarto d'ora agli eventi mondani, la rimonta di Agnieszka è riuscita in un dispetto al diavolo vestito Prada. Non a rovinare la storia da copertina.


Serena la sopravvissuta: “Il mio viaggio incredibile” (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera, 08-07-2012)


È ancora amore, cieco, totale, tra l'erba e Serena Williams, il verde verdissimo di Wimbledon ospita la quinta replica del sogno americano dell'ex ragazza del ghetto, la metà perfetta della Williams Inc., la multinazionale del tennis che dal 2000 monopolizza il centrale, 5 titoli Serena e 5 Venus (Sharapova 2004, Mauresmo 2006, Kvitova 2011 le eccezioni). «Ho sempre voluto imitare mia sorella» scherza l'onnivora 3oenne, campionessa più agée dal '90 (Navratilova a 33 anni), flirtando, civettuola dopo essere stata violenta, con la magia del luogo: «I 30 anni sono i nuovi 20 e poi io, di testa, ne dimostro 12…!».


E la restaurazione del black power, enclave afroamericana in Church Road, aspettando il guizzo di Federer, che oggi contro Murray, sotto gli occhi della regina, vorrebbe riprendersi ciò che, semplicemente, ritiene suo. E non c'è Agnieszka Radwanska che tenga di fronte a una dimostrazione di potenza così smaccata, Serena serve come un maschio (17 ace, prima palla a 193.2 km/h), dislocando per il prato 70 kg di quadricipiti e deltoidi, sbrana il primo set (6-1) poi regala all'avversaria due rovesci in rete («Ero troppo ansiosa, lei mi rimandava tutto e io sono andata in panico») per il break e il set point del secondo (5-7). Ma non c'è un istante di questa sfida a senso unico in cui Agnese dolce Agnese (prima polacca in una finale Slam dopo Jadwiga Jedrzejowksa, anni 30), con un'infezione alle vie respiratorie e strepitose unghie rosse su manine da bimba, ci dia la sensazione di poter capovolgere il destino, suo e del torneo. Trincerata dietro un catenaccio da manuale, d'incontro e di nessun muscolo, Radwanska (da domani n. 2) prolunga la sofferenza al terzo set con merito e una gran testa da tennis che ha scomodato paragoni con Martina Hingis, mentre Venus tormenta in tribuna le treccine, papà Richard Williams si appella ai testimoni di Geova e Serena torna in possesso del match, mettendosi a palleggiare con umiltà nella sua 18a finale Slam (14 vinte: è quarta nell'era open dietro a Graf, 22, Evert e Navratilova, 18), chiudendo il game del 2-2 in 49" con quattro ace («Fantastico!»), allungando sul 3-2 senza farsi più riprendere prima di tuffarsi tra le braccia di mamma Oracene e della sorella maggiore Isha, «gli angeli al mio capezzale nei giorni più bui». Era ile marzo 2011. Dopo due operazioni al piede, Serena finiva in codice rosso all'ospedale per una brutta embolia polmonare che le faceva temere per la vita, tanto che oggi si definisce «una sopravvissuta», aggiungendo un femmineo tocco melodrammatico (e qualche lacrima) a questo the end degno di Frank Capra. «Il punto più basso è stato quando languivo sul divano, pregando, con un tubo nello stomaco per l'alimentazione, il sangue impazzito e il fegato in disordine, chiedendomi se mi sarei mai rimessa in piedi. Riprendermi Wimbledon è stato un viaggio incredibile e la malattia mi è servita per abbassare la guardia, essere più me stessa. Ogni titolo è speciale, ma questo lo è di più».
A volte ritornano. Oggi tocca a Federer.


Serena come Venus (Marco De Martino, Il Messaggero, 08-07-2012)


Chiedimi se sono felice dice Serena Jameka Williams mentre salta come un canguro sull'erba sacra dei Championship stringendo verso il cielo il celebre Venus Rosewater Dish, il piatto d'argento dorato scolpito nel 1864 da un artigiano di Birmingham e offerto in prestito per un anno dagli organizzatori alla lady, girl, o tyson in gonnella che vince il torneo femminile di Wimbledon. Non poteva che essere lei, la regina Serena: che, dopo il trionfo 6-1 5-7 6-2 contro l'infiltrata polacca Radwanska, scala in solitario la parete della tribuna del sacro centrale di Church road e va a baciare papà Richard, mamma Oracene e sorella Venere, la formazione al completo di queste panterone uscite un trentennio fa dal ghetto di Compton, Los Angeles, per conquistare il mondo. Detto fatto: cinque titoli a Wimbledon per Venus (2000, 2001, 2005, 2007 e 2008) e cinque titoli per lei (2002, 2003, 2009, 2010, 2012), come dire che negli ultimi tredici anni si sono imbucate alla festa solo Sharapova nel 2004, Mauresmo nel 2006 e Kvitova un anno fa. Una cosa pazzesca, anche se il discorso di ringraziamento di Serena è chiarissimo: «Sorry Venus, ma lo sai che ti copio sempre, ho sempre voluto quello che avevi tu, quindi mi sono presa anch'io questo quinto Wimbledon ».
Finale non certo indimenticabile, ma alla fine canini sulla rete, roar.. «All'inferno e ritorno, non ci credo ma sono qui, prima l'incidente al tendine del piede, poi le complicazioni, quindi l'embolo polmonare, gli ultimi due anni terribili in cui ho anche rischiato di morire e adesso questo quinto trionfo che è sicuramente il più bello» dice la bimbona diventata donna mentre il centrale sorride alla storia che la lancia tra le immortali, 14 Slam e chissà quanti altri ne verranno se avrà ancora tempo, voglia, interesse. Buffo che l'indiscussa numero 1 del tennis sia solo numero 4; buffo che una che serve come un uomo sia dietro alla Azarenka che oggi torna in testa al ranking della Wta mentre Radwanska si consola con il secondo posto.


Radwanska, già, quella che doveva essere una via di mezzo tra Cenerentola e Cappuccetto Rosso e che invece sotto 6-1 4-2 non molla di un centimetro, prende finalmente coraggio e si rimette in partita, break, altro break, vittoria del secondo set e poi in corsa fino a12-2 nel terzo quando Serenona lascia andare il braccio e riprende a fare i buchi sull'erba.


«Grazie di tutto, sono state le due settimane più belle della mia vita» riesce a dire Agnese con un filo di voce. Prima che Serena torni in campo insieme a Venus per vincere anche il titolo del doppio (trattasi del 13 Slam in coppia, chi le ferma alle Olimpiadi?).


Tutto molto bello, ma niente in confronto a oggi dove si spareggia per la leggenda, Federer a caccia del settimo Wimbledon per acciuffare il record di Pete Sampras e del giurassico William Renshaw, e Murray per dare al regno britannico un vincitore sull'erba 76 anni dopo Fred Perry. «E' la migliore finale possibile» commenta Nadal mentre pesca sarde in barca a Manacor facendo finta di non pensare a niente.


Il ritorno della regina, Serena serve la quinta sull’erba londinese (Filippo Grassia, Il Giornale, 08-07-2012)


Con un rovescio lungolinea, Serena Williams ha posto il sigillo alla finale di Wimbledon battendo la polacca Agnieszka Radwanska (6-1, 5-7, 6-2 in 2 ore esatte) e agguantandola sorella Venus nell'albo d'oro: cinque vittorie a testa negli ultimi 13 anni con quattro derby in famiglia. Un dominio infranto solo da Sharapova, Mauresmo e Kvitova. Nel nuovo ranking Serena figura al quarto posto. «Ma è lei la più forte del mondo, basta che si alleni a dovere per quattro-cinque mesi e non pensi di spaccare il mondo solo con la forza: così aveva pronosticato qualche mese fa NickBollettieri, l'ottantunenne guru del tennis americano. La profezia s'è avverata. E la più giovane delle sorelle Williams (compirà 31 anni a settembre, Venus ne ha festeggiati 32 a giugno) è tornata a vincere uno slam, il 14mo in 18 finali, a distanza di due anni esatti: oggi come allora Wimbledon.


In questo arco di tempo ha scalatole montagne, e non certo per colpa del tennis: prima un infortunio al piede per un taglio malandrino in un ristorante e poi un'embolia polmonare ne avevano messo a dura prova il fisico e il morale. «Ho pensato addirittura che non sarei mai guarita o che non avrei potuto rientrare nel grande tennis», la sua confessione. Per qualche giorno ha rischiato perfino di finire in depressione come le era accaduto nel 2003 in occasione della morte di sua sorella Yetunde uccisa in una sparatoria. Ma Serena non è solo botticelliana nel fisico, è forte dentro e ha rimesso a posto tutti i suoi tasselli interiori. Nel 2011 ha perso la finale degli Us Open contro la Stosur. L'erba dolcissima di Wimbledon, sulla quale s'è come sdraiata dopo il punto definitivo, l'ha restituita al suo specialissimo mosaico. Sarebbe tuttavia ingeneroso porre in un cantuccio la Radwanska che, dopo aver ceduto di schianto nel primo set, ha rovesciato l'inerzia del match nel secondo togliendo per due volte la battuta a Serena, capace di 17 aces e 28 servizi vincenti. In quello successivo la Williams ha rimesso le cose a posto infilando cinque game di seguito dall'1-2 al 6-2 con il pari conquistato senza far toccare la pallina alla bravissima Agnieszka, da domani numero 2 dietro la russa Azarenka, ma davanti a Sharapova. Nona la Errani.


Se i segnali hanno un senso, la vittoria della Williams fa da apripista a quella di Federer, di lei più giovane di un mese, che oggi pomeriggio può riscrivere la storia del tennis nella finale con lo scozzese Murray. In palio il settimo trionfo in otto finali e la leadership mondiale. È il vecchio che avanza alla grande. Ma occhio allo scozzese che, dopo aver perso per tre volte in semifinale, vuole raggiungere nell'albo d'oro l'inglese Fred Perry dopo un viaggio di 76 anni. Per questo il box reale sarà gremito e i bagarini vendono gli ultimi biglietti a 30mila sterline l'uno, oltre 42mila euro. Avete letto bene.


Serena fa poverissimo a Wimbledon (Daniele Palizzotto, Il Tempo, 08-07-2012)


La classifica mente. Oggi Serena Williams occupa i16 posto del ranking Wta, domani sarà 48, ma senza dubbio è ancor oggi la tennista più forte al mondo. Dopo aver rischiato la vita appena sedici mesi fa a causa di un'embolia polmonare, sull'erba dell'Ali England Club di Londra Serena torna sul meritato trono battendo 6-15-76-21a polacca Radwanska e conquistando per la quinta volta lo scettro di Wimbledon, 14 Slam in carriera. Per la Williams non è stato facile come si poteva pensare, nonostante un avvio in discesa e un primo set dominato in 36 minuti, conia Radwanska costretta ad annullare due set point col servizio per evitare il cappotto. Al rientro in campo dopo un'interruzione per pioggia, però, la partita cambia per merito della 23enne polacca, incisiva al servizio, in difesa e attaccata a ogni punto.


Un impegno «premiato» da Serena, che prima lascia rientrare la Radwanska dal 4-2 al 4-4 e poi regala il secondo set con un doppio fallo e tre errori di rovescio. Quando però tutto sembra all'improvviso diventato possibile, sotto 1-2 nel set decisivo, Serena cambia marcia e dimostra al mondo perché la classifica Wta è poco veritiera: quattro ace consecutivi per il game perfetto (alla fine sono 17, addirittura 102 nel torneo), un paio di risposte fulminanti, un parziale devastante e la splendida esultanza finale, con l'ammirevole Radwanska spettatrice inerme.
«La gioia è indescrivibile - ha spiegato commossa Serena rivolgendosi verso i genitori e le sorelle - ringrazio Dio e la mia famiglia: senza di voi non ce l'avrei mai fatta, eravate con me anche in ospedale lo scorso anno, in quel momento non avrei mai sognato questo momento. Il quinto titolo come Venus? Ho sempre desiderato avere quello che aveva lei, la copio da una vita».


A dieci anni esatti dal primo trionfo a Wimbledon Serena può dunque sorridere. E  quando tornerà sull'erba londinese - fra sole tre settimane per il torneo olimpico - sarà ancora lei la tennista da battere, nonostante le fallaci indicazioni della classifica. Come oggi un altro 30enne, sua maestà Roger Federer, partirà con i favori del pronostico contro il beniamino di casa Andy Murray (ore 15, diretta Sky Sport 3): il Regno Unito aspetta questo momento da 76 anni, mare Roger vuole riprendersi il trono, come ha fatto la regina Serena.


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Federer contro Murray e l’intera Gran Bretagna (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 08-07-2012)


Il cuore dice Andy, la testa dice Roger. Charles Barkley twitta: «Sono per Andy, ti rode troppo quando la gente dice: "Non vinci uno Slam o un titolo Nba"». E Wimbledon si divide. «Chissà come reagirà il Centre Court: Murray è il loro figlio naturale, ma Federer è come se lo fosse, non solo perché ha già vinte 6 volte in 7 finali, ma perché è il figlio che tutti vorrebbero, educato, bravissimo, perfetto come atleta, ma anche come marito e papà», sintetizza Manina Navratilova, 9 trionfi in 12 finali ai Championships. La Gran Bretagna meriterebbe i Championships, dopo tanta attesa: già tre finali perse fra New York e Melbourne (due proprio contro Roger), per lo scozzese, addirittura 76 anni (da Fred Perry, dopo 11 semifinali delusione), per la patria del tennis. Ma Federer è strafavorito, dopo la lezione d'erba a Djokovic, la valanga di motivazioni-record in palio insieme al sigillo numero 7, i117 Slam (e l'impensabile ritorno al n. 1 del mondo) e il bilancio nelle 23 finali Slam, perdendo solo con due avversari, sei con Nadal, una con Del Potro. E così la storia fra Davide e Golia diventa ancor più stuzzicante. «Se Murray vince il tetto esplode», scommette Mark Woodforde, uno dei più grandi doppisti. E con lui il Daily Mail, il secondo quotidiano più venduto (2 milioni di copie al giorno), che alimenta la «Murray mania» dedicando 11 pagine al neofita delle finali Slam, per il quale si pagano addirittura 10mila sterline per un biglietto. Fors'anche alla presenza della Regina Elisabetta: si saprà solo stamane. Mentre è sicuro il tutto esaurito sulla Henman Hill—intitolata al precedente eroe, Tim Henman — davanti al mega-schermo dietro il campo 1.


Tensione Federer è sincero: «Prima della semifinale non ero affatto nervoso, che bella sorpresa, significa che mentalmente sono davvero a posto. Ma ho tanta pressione, dentro, perché so che ci sono tante cose in ballo, e tanta pressione». Fin troppo sincero: «Ho lavorato duro per arrivare a questo punto, sin dal match point contro Djokovic agli Us Open di settembre. Spero di controllare i nervi». Murray deve gestire se stesso: «Battere Federer in una finale Slam, a Wimbledon, è una sfida molto forte, se gioco bene so che posso farcela, ma devo riuscire nel match perfetto in uno di più grandi match della mia vita». E deve gestire l'euforia che lo circonda: «Festeggiare? E perché? Il torneo non ancora finito: vado a casa, faccio una bella cena con la mia ragazza, gioco col cane». Fortuna che ha l'angelo custode: «Dopo Tsonga, ho parlato con Ivan (Lendl, ndr): "Buon lavoro. Hai fatto davvero bene, adesso a che ora vuoi allenarti domani?"».

 
Emozioni  Federer e Murray hanno già pianto, in campo, per la vittoria e per la sconfitta. Roger potrebbe farlo di nuovo, oggi, se diventerà il primo ultra trentenne (a 30 anni e 11 mesi) a vincere i Championships dopo Arthur Ashe nel 1975; Andy l'ha fatto venerdì, indicando più volte il cielo: «Un po' per sollievo, un po' per eccitazione, è difficile da spiegare». Il cuore dice Andy, la testa dice Roger. Sampras dice Federer: «Ho sempre desiderato che a battere i miei record fosse qualcuno come Roger: mi piace il suo gioco, è un tennista di classe e per me sarà sempre il favorito a Wimbledon. Per il suo gioco e per i suoi nervi».


La ribalta – C’è equilibrio, ma per Roger è l’ultima occasione (Rino Tommasi, La Gazzetta dello Sport, 08-07-2012)


Tra le varie combinazioni di possibili finali tra i primi quattro giocatori del mondo (o cinque, se vogliamo includere Tsonga) questa edizione di Wimbledon ha offerto contemporaneamente la più equilibrata e la più gradita al pubblico. L'equilibrio è confermato dal computo dei confronti diretti favorevole a Murray per 8-7, corretto però da quello dei set che ne concede uno di più allo svizzero (19 a 18).


Sono considerazioni che servono ad ingannare l'attesa e che in realtà non appartengono al tennis uno sport dove, come noto, si può vincere una partita facendo meno punti dell'avversario. Il particolare interesse ambientale è ovviamente legato alla presenza in finale, per la prima volta in 74 anni, di un tennista britannico.


Curiosamente tra gli elementi importanti non si può considerare l'erba per due ragioni principali. Perché i due giocatori non si sono mai incontrati su questa superficie e perché è da discutere chi tra i due sia più favorito: chi l'erba l'ha conosciuta prima o chi l'ha conosciuta meglio. Non v'è dubbio che ad una valutazione anche sommaria il prestigio e l'esperienza di Federer si facciano preferire. Il fattore campo, inteso come sostegno del pubblico, ci sarà, ma solo nei limiti consentiti dall'educazione tennistica del paese che ha inventato il tennis e forse anche lo sport.
Entrambi dovranno sopportare la loro quota di pressione, quella delle attese di tutta una nazione (Murray) e quella del libro d'oro (Federer). A conti fatti sarei sorpreso non vincesse Federer, consapevole che un'occasione del genere potrebbe non capitargli più.


Tutto il popolo spinge Murray (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport, 08-07-2012)


Da una parte della rete le ambizioni di chi - bulimico di gloria - vuole allargare ancor più i confini della sua leggenda. Dall'altra le aspettative di un'intera nazione, che si picca di aver codificato le regole del tennis moderno ma è costretta ad attendere da 76 anni il trionfo di un eroe di casa. Un'attesa così spasmodica che oggi, al centro del Royal Box pronta a premiare il vincitore dei Championships, potrebbe esserci addirittura la regina Elisabetta, reduce dai festeggiamenti del suo Giubileo di Diamante.


A inizio giugno un'intera nazione si è fermata per quattro giorni di festeggiamenti per i suoi 60 anni di regno. La vittoria di Andy Murray nella finale odierna contro il favoritissimo Roger Federer ne sarebbe un succoso suggello. Non si sa se, e quanto, la sovrana sia una tifosa di tennis, odi Murray, ma Wimbledon, in quanto ossequioso rispetto della tradizione, è uno dei simboli iconici del suo regno: tanto basta per immaginarne la presenza in occasione la finale numero 126. Una finale che secondo le previsioni dei bookmaker ha un epilogo inevitabile, con Federer ampiamente favorito (1,44 contro 2,62 le quote massime). Lanciatissimo verso il suo settimo sigillo sui prati di Church Road. “Ho sempre desiderato sfidare Andy qui, a casa sua. Il pubblico con me si è sempre dimostrato molto generoso, dunque non mi aspetto che mi tiferei contro. Ma giocare contro l'idolo di casa sarà una carica in più”.
Murray, appunto, chiamato a interrompere il digiuno di vittorie britanniche che risale al terzo trionfo di Fred Perry nel 1936, quando in finale superò Don Budge (10-8 al quinto). Da lì in poi una lunga trafila di sconfitte (compresa la finale persa dallo stesso Budge contro "Bunny" Austin nel 1938) e delusioni. Ma anche di semifinali, come le quattro collezionate da Tim Henman. Murray si è fermato a tre perché al quarto tentativo, battendo venerdì Jo-Wilfried Tsonga, ha sfatato quello che cominciava ad assomigliare ad un tabù.


Ora deve infrangerne un altro, per non diventare il secondo tennista nell'era Open a perdere le prime quattro finali dello Slam in carriera. E' già successo a Ivan Lendl, guarda caso proprio l'attuale coach dello scozzese, che contro Federer però può contare sui precedenti. Murray è infatti uno dei due soli giocatori in attività al pari di Rafa Nadal) a vantare un saldo positivo negli scontri diretti con lo svizzero, 8-7. Oggi sarà il match numero 16, ma il primo sull'erba. Dal 2005 (Bangkok) ad oggi, i due si sono già trovati contro altre due volte in una finale dello Slam (US Open 2008 e Australian Open 2010), entrambe a favore di Federer (in tre set) così come il computo generale delle finali (4-2).


Il giorno di Murray, lo scozzese che ha spiazzato l’Inghilterra (Stefano Semeraro, La Stampa, 08-07-2012)


Domanda: «Andy, cosa facevi 74 anni fa?». Risposta. «Non un granché». Andy Murray ha un senso dell'umorismo surgelante, l'espressività di Buster Keaton e per giunta è scozzese, ma agli inglesi non importa più. Perché è riuscito a far accadere l'Impossibile, o almeno quello che per tre quarti di secolo tutta la Gran Bretagna tennistica ha ritenuto tale: piazzare un maschio inglese nella finale di Wimbledon. L'ultimo era stato Henry Wilfred «Bunny» (ovvero «coniglietto») Austin, uno smilzo dandy educato a Cambridge che per primo osò presentarsi sul Centre Court in shorts. Correva l'anno 1938, l'Inghilterra e l'Europa stavano per ustionarsi con la guerra, e proprio combattendo per Hitler sarebbe morto l'uomo che Austin aveva sconfitto in semifinale, Henner Henkel.


Austin il big match lo consegnò nelle mani dell'immenso Budge; oggi Murray per i bookmakers è destinato a soccombere al divo Federer- lo stesso che in Australia un paio d'anni fa ironizzava sugli inglesi «che aspettano di vincere uno Slam da 150 mila anni» - ma la notizia è che Gran Bretagna tutta freme come una vergine al primo ballo per il ruvido Andy, l'equivalente tennistico del tweed.


Un (introvabile) biglietto per il Centre Court oggi costa migliaia di sterline (qualcuno dice 45.000 mila), davanti allo schermo gigante sulla Murray Mountain si stiperà un popolo di fan tachicardici armati di Union Jack e persino Elisabetta II, in pieno Diamond Jubilee, ha fatto sapere che sta seguendo le imprese di Murray. Anche se difficilmente oggi sarà nel Royal Box, impegnata com'è, ironia della sorte, in Scozia. Andy dal canto suo esibisce la consueta flemma, ma al momento di uscire dagli spogliatoi e ripassarsi il verso di Kipling su vittoria e sconfitta alle 15 tremerà comprensibilmente come un pudding Gli analisti di mercato hanno stabilito che un suo trionfo ne farebbe uno sportivo da 65 milioni di sterline di valore commerciale e la sua agenzia di management, la XIX Enterteinment, la stessa di David Beckham, gongola.


Virginia Wade, che nel '77 fu l'ultima inglese ad alzare il Piatto, fino ad una settimana fa accusava Andy di essere una «drama queen», di fingere infortuni per mascherare le sconfitte, e i media ironizzavano sulla presenza al suo angolo di Ivan Lendl, l'uomo che voleva disperatamente vincere Wimbledon e che falli due finali ("Ivan insegnerà forse ad Andy come si fa a perdere sull'erba?). Tutto dimenticato. Oggi Andy è il National Hero, un silenzioso e a tratti scontroso scozzese che più che allo sciccoso Austin fa pensare a Fred Perry, il ribelle del nord, l'uomo del popolo perennemente in lotta con l'establishment tennistico, il «meno inglese degli inglesi» come fu definito; il tennista amato da Hollywood, che qui vinse nel 1936, ultimo dei british. Forse il segreto del successo dell'ex ragazzino delle «lowlands», scampato al massacro nella sperduta scuola di Dumblane, perennemente circondato dal suo clan dove spiccano le intemperanze facciali di mamma Judy, sta proprio nelle sue origini scozzesi.
Nel suo essere cresciuto altrove, nel suo essere un nowhere man, un uomo venuto dal nulla, come direbbero John Lennon e Joe Orton. «Da piccolo tutti i tornei si giocavano minimo a sei ore da casa mia. Ero sempre io l'outsider, quello in trasferta. E così sono cresciuto, insieme al mio piccolo team». Per riportare un tennista di casa in finale a Wimbledon, e cancellare un imbarazzo che durava da quasi un secolo, alla fine, l'Inghilterra ha avuto bisogno di uno Straniero.


Il commento – Inglesi costretti a tifare lo scozzese Murray (Marco Lombardo, Il Giornale, 08-07-2012)


“They don't like us,we don't care»:il grido che rieccheggia negli stadi scozzesi non arriverà fino Wimbledon, ma sarà beffa - tremenda beffa - per chi oggi siederà sul Centre Court in attesa di sapere se la maledizione di Fred Perry verrà finalmente sconfitta. «A loro non piaciamo, ma a noi non importa nulla», eppure questa volta Andy Murray - scozzesissimo di Dunblane- avrà più di una nazione a spingerlo contro Roger Federer, e questa volta gli inglesi se lo dovranno far piacere. Inghilterra-Scozia è stata nel corso dei secoli una guerra, una rivalità infinita, la prima partita della storia del rugby, una divisione politica. Non è mai stato un amore a prima vista e se è forse vero che è arrivato il momento di trovare un degno successore all'uomo la cui statua campeggia all'ingresso di SW19, il fatto che sia un britannico non consolagli amanti della pura razza albionica. Perché Murray2012non può essere come Perry del 1936, anche se si fa finta che lo sia.


E insomma ancora tempo di Braveheart, e come nelle battaglie di oltre 700 anni fa il William Wallace di oggi dovrà sconfiggere un re, questa volta però armato solo di racchetta. Roger Federer è l'Edoardo I dell'era moderna, il fatto che sia svizzero un incidente di percorso sulla strada della gloria. Sarà - in ogni caso - una partita epica, perché Federer vincendo perla settima volta sull'erba di Wimbledon e tornando così numero uno batterebbe tutti i record della storia del tennis. Ma in ogni caso sarà soprattutto il giorno in cui l'Inghilterra dovrà tifare per uno scozzese, Andy appunto.


Il quale ha un passato di tutto rispetto. Non tanto perché da bambino sfuggi alla tragica e celebre strage che insanguinò la sua scuola, ma perché nel 2006 - durante i mondiali di calcio - trovò il modo di far sapere che avrebbe tifato «per chiunque non fosse inglese, ricevendo in cambio una sequela di improperi al grido di «maleducato e dannato Scot. Più tardi rimediò dicendo che la sua fidanzata fosse di Londra e dunque che stava scherzando, intanto però aveva messo in crisi la devoluzione faticosamente ottenuta da Edimburgo nel 1998 scatenando i sondaggi dei tabloid londinesi contro gli odiati vicini. I tre ministri scozzesi- con Gordon Brown in testa - vennero soprannominati «McMafia», mentre la metà dei cittadini del Regno dichiarò di ritenere ingiusto che i deputati d'oltre confine potessero votare su questioni riguardanti l'Inghilterra. D'altro canto, nonostante l'Act of Union del 1707 che fece ricongiugere i nemici di sempre nella Grande Bretagna, Inghilterra e Scozia sono riusciti a dividersi pure sulle regole del golf che a Saint Andrews garantiscono originali, ma che dalle parti della Regina Elisabetta giurano di aver pensato prima.


Figurarsi sul tennis, sport nel quale per anni hanno aspettato che Tim Henman riuscisse ad uscire dal cancello di casa - che è giusto dietro Wimbledon - per arrivare fino alla coppa. Niente da fare, e così dalla Henman's Hill (la collina dentro il circolo da cui i tifosi senza biglietto guardano i match del campo centarle su un megaschermo) si è passati alla Murray's Mountain, ma un po' di malavoglia. Anche perché c'è sempre qualla dannata «r» che gli scozzesi si intestardiscono a non pronunciare- causando incidenti diplomatici anche con l'inglese troppo inglese degli iPhone - e soprattutto il fatto che quando parla Andy Murray a Londra restano sempre un po' spiazzati: in fondo non lo capiscono. Per questo, se oggi dovesse andar male, se Fred Perry restasse ancora invitto dopo 76 anni, Wimbledon non ci resterebbe poi troppo male. Va bene tifare per uno scozzese, ma poi - insomma - che gli importa di loro?


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Davis, parte la corsa ai biglietti (Marco Lobasso, Il Mattino, 08-07-2012)


Il sogno di un teatro del tennis alla Rotonda Diaz pieno in tutti gli ordini di posti è ora un obiettivo reale. Il Tennis Club Napoli ci conta e da domani via alla prevendita degli abbonamenti per la tre-giomi di Italia-Cile di Coppa Davis da114 al 16 settembre. Gli azzurri del ct Corrado Barazzutti si giocano contro i sudamericani la permanenza nel World Group per il secondo anno consecutivo (dopo una rincorsa durata 11 anni). Per questo sarà caccia ai preziosi ticket.


L'arena tennistica avrà a disposizione circa 4000 posti. La formula dell'abbonamento varata ieri dal Tennis Club Napoli è quella classica: per venerdì 14 (primi due singolari), sabato 15 (doppio) e domenica 16 (ultimi due singolari) il costo di Tribuna inferiore sarà di euro 90, più 1110% di prevendita. L'abbonamento di Tribuna superiore sarà di euro 60 (più 10%); per questo settore sono in vendita anche abbonamenti ridotti per bambini dai 5 ai 12 anni al costo di 45 euro ( 10%).Ulteriore agevolazione è prevista per gli allievi delle Sat (Scuole addestramento tennis) dei circoli italiani: per loro l'acquisto non prevede diritti di prevendita.


Gli abbonamenti potranno essere acquistati in tutti i punti vendita abituali del circuito TicketOnLine oppure attraverso il sito online www.azzurroservice.net o al Tennis Club Napoli in viale Dorhn. Da lunedì 3 settembre sarà possibile, invece, l'acquisto dei biglietti per ogni singola giornata.


«Ci aspettiamo una grande risposta di pubblico - ha spiegato Luca Serra, presidente del Tennis Club Napoli - e che lo sforzo del nostro circolo per portare la Davis in città dopo più di 17 anni sia premiato dalla partecipazione di tantissimi appassionati. Puntiamo a riempire le tribune per tutti i tre giorni di gare. La risposta positiva rappresenterà del resto un aiuto importante per la nostra macchina organizzativa».


Macchina organizzava del Tennis Napoli che intanto va avanti. Si è infatti insediato anche il Comitato promotore dell'evento che avrà come presidente Gian Paolo Leonetti, già deus ex machina della Davis a Napoli nel 1995. L'obiettivo è quello di regalare ai napoletani un evento sportivo di primissimo livello, in linea con gli altri appuntamenti che arriveranno in città nei prossimi mesi. C'è intanto attesa per l'inizio dei lavori all'Arena del tennis che nascerà alla Rotonda Diaz: negli obiettivi di tutti, club e istituzioni, dovrà essere un gioiello da mostrare al mondo dello sport internazionale.


Il Tennis Club Napoli ha infine annunciato anche il varo dell'operazione «Napoli nel cuore e nel mondo». Il circolo giallorosso sceglierà dodici testimonial, napoletani di nascita o di adozione, che con il proprio amore per la città, con impegno e passione, contribuiscono a elevare il nome di Napoli nel mondo, per offrire loro 12 simbolici abbonamenti per la sfida di settembre.
 

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