16/10/2012 17:20 CEST - CENTRE THOUGHT

Federer, anche gli squali sanno esser Muse

CENTRE THOUGHT - Roger Federer fa 300. Ma spiegare i numeri non ci porta allo svizzero. Il genio di Federer risiede anche nelle sue tragicomiche imperfezioni. E nel suo modo di vedere il tennis. Riccardo Nuziale

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passo tratto da "Viaggio Sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia" di Laurence Sterne
passo tratto da "Viaggio Sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia" di Laurence Sterne

Apriamo la Treccani.

nùmero s. m. [dal lat. numĕrus; cfr. novero]. –

1. Ciascuno degli enti astratti che rappresentano insiemi di unità, ordinati in una successione infinita (serie naturale dei n.) nella quale ogni elemento conta un’unità in più rispetto al precedente; tali enti, fatti corrispondere ciascuno a ciascuno degli oggetti che costituiscono un insieme, servono a contarli (numerarli), e quindi a indicarne la quantità (anch’essa detta numero)

Mmm no, acqua. Proviamo a cambiare.

sentiménto s. m. [der. di sentire]. –

1. La facoltà e l’atto del sentire, di avvertire impressioni esterne o interne; affine quindi a senso nel suo sign. più generale; anticam. si usò anche come sinon. di senso nel sign. più proprio e com. di questo termine, e si disse, per es., i cinque sentimenti, per indicare i sensi della vista, dell’udito, ecc.

2. Coscienza (e riconoscimento) dell’esistenza di qualche cosa in sé, nella sua natura, nei suoi attributi: il s. di Dio è presente in tutti gli uomini; il s. della patria.

3. Ogni forma di affetto, di impulso dell’animo, di movimento psichico, di emozione, sia che rimangano chiusi entro l’animo della persona stessa, sia che si rivolgano e proiettino verso gli altri, verso il mondo esterno.

Ci siamo quasi. Proviamo ad insistere su questa strada.

sentire v. tr. [lat. sĕntire]

1.
a. Apprendere attraverso i sensi; ricevere una o più impressioni sensoriali e averne coscienza. Usato assol., in qualche caso, può riferirsi complessivamente a tutti e cinque i sensi
b. Con valore più attivo, portare l’attenzione su un’impressione sensoriale, cercare di percepirla


1b, colpito e affondato. Svelato l’arcano, trovato il Graal: portare l’attenzione su un’impressione sensoriale. Rinnegare i numeri? Ebbene sì.

Ecco quindi, nella Las Vegas dei giganteschi numeri, degli scroscianti applausi e dei magniloquenti elogi che hanno riempito le pagine specializzate dal momento in cui la trecentesima settimana è diventata una matematica realtà, che queste righe desiderano omaggiare sternianamente Roger Federer. Come? Osannando il lato del fuoriclasse svizzero che tutti conoscono ma che quasi – colpevolmente – si vorrebbe cancellare, nell’ideale tensione verso la perfezione. Il Federer che sbaglia.

Impressioni sensoriali. Quando si vedono dimensioni oltre sconosciute a chiunque altro, anche nel male.

Perché se il Federer Ubermensch vive di flicks of the wrist, tweener, dritti anomali, demivolee, il Federer umano troppo umano gode di un colpo non meno poetico, non meno luminoso, non meno infinito.

Situazione tipica: lo svizzero alla risposta, palla break (o 15-30, o 30-30, o ai vantaggi…comunque una situazione delicata e cruciale). Federer va a posizionarsi sulla linea di fondo, si volta, sposta il divin boccolo dalla fronte, soffia delicatamente sulla semichiusa mano sinistra, si prepara alla risposta facendo girare tra le mani la racchetta. Tifosi e appassionati sperano in un’abbacinante magia, un colpo straordinario ad arricchire la già ricchissima videoteca dei colpi capolavoro.

Invece arriva lui. Il colpo di Luce autentica. Sua maestà Backettino affossato in rete. Quel colpo eternamente indeciso tra l’approccio profondo e la trappola a rete per l’avversario (la famigerata “velenosa”), effettuato con quella pigrizia che solo i grandi artisti posseggono e che ha fatto perdere a Federer in carriera milioni di quindici, anche di capitale importanza. Quel colpo asfittico che arriva malapena a rete. Quell'aborto divino.

Sperando di non scandalizzare il lettore, l’autore di queste righe ha sempre trovato questo lato di Federer non meno meraviglioso di quello che disegna il campo con giocate incredibili (anche perché di fatto non esiste l’uno senza l’altra). È il Federer che torna bambino, il campioncino che non sa come controllare quello smisurato talento che è ben conscio di possedere, che vede famelici squali pronti a sbranarlo qualora si avvicinasse a rete, che spacca racchette.

Il Federer che ascolta la razionalità per poi non seguirla e di conseguenza non è fisicamente capace di prestare la dovuta attenzione all’importanza del momento, che sia il primo turno di Stoccolma o la finale del Roland Garros contro Nadal (lo 0 su 10 nella conversione palle break del primo set del 2007 rimane il Gronchi Rosa della mitologia federeriana).

Il Federer che sa che deve giocare bene quel punto, che vuole giocare bene quel punto. Ma che deve cedere alla volontà del suo genio artistico anche quando quest’ultimo non è propenso alla produttività pratica.

È questo bipolarismo che in fondo rende irresistible Federer, ben più dei suoi record. Il fatto che per un’intera carriera abbia continuamente dovuto fare i conti con un dono che talvolta lo ha sovrastato, ma che non lo ha mai schiacciato. Anzi.

Quell’eterna lotta che ha portato molti commentatori (esagerando) a giudicare Federer, soprattutto nei suoi anni migliori, giudice del suo destino in ogni partita, in ogni situazione. Consci che quel dono capriccioso che lo sa rendere così umano e così oltre-umano è sempre sull’orlo della manifestazione. Che lo rende così vicino a tutti noi.

Perché Federer non è un giocatore che si ferma a fissare la bellezza del suo tennis, come frainteso da molti, e tantomeno è il Frigidaire di tirannica e algida prepotenza agonistica (descrizione che sposa molto più le figure di Nadal e Djokovic) che stritola l’avversario.

Federer è in continua tensione nell’imporre non il risultato, bensì il tennis. Il suo tennis. Le sue impressioni sensoriali. Quello che solo lui vede. Nella sua concezione che in fondo il rettangolo di gioco è una teatrale sala da ballo in cui tutti sono invitati a festeggiare.

Il tennis è divertimento, schiacciare l’avversario non è contemplato (il che non significa che non possa succedere). Il risultato è solo il fine che deve assolutamente giustificare i mezzi.

Tra un capriccio e una magia, che sia festa quindi. 300 candeline.

Sapendo che mani serbe quasi sicuramente torneranno presto a imporre il proprio posto, il bambino la sua torta l’ha già tagliata. A modo suo, certo (suvvia, in che altro modo poteva festeggiare? Uno squalo in meno).

Riccardo Nuziale

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