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10/11/2010 11:23 CEST - RACCONTI

Tornare sì... vincere...chissà

TENNIS - Dopo 11 anni di stop, si rivede Thomas Muster. Il suo non è il primo caso di rientro dopo un lungo ritiro. Il tennis ricorda Bjorn Borg. I casi più eclatanti (e felici) sono quelli di George Foreman e Michael Jordan, capaci di ritornare sul tetto del mondo. Ciò che conta sembra essere la motivazione che spinge a riprovarci. Qualcosa che certamente non manca a Muster... Karim Nafea

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In pochi credono nel suo tentativo di rientro. Thomas Muster se ne frega, e ha già dichiarato di volerci provare ancora più seriamente nel 2011. Il caso dell'austriaco pone un dubbio legittimo, estendibile a tutti gli sport: si può tornare al professionismo dopo una più o meno lunga assenza? Soprattutto, ci si può riuscire in età avanzata? Nel tennis attuale, fatto di potenza e resistenza, le probabilità che un ex-giocatore decida di rientrare e ci riesca con buoni risultati sono risibili, anzi è considerato già sorprendente che il Muster sia riuscito anche solo a far partita con il connazionale di venti anni più giovane.  Prevedere il futuro di Muster è impossibile. Il suo caso, tuttavia, permette di ripercorrere alcuni "ritorni" che a loro modo hanno destato uguale scalpore e risultati alterni. In questa selezione ci sono solo rientri avvenuti dopo stop volontari e non dettati da problemi legali (cercate alla lettera T e vedete Tyson) o da infortuni.

Il più attinente, forse è quello che vede coinvolto l’Orso svedese Bjorn Borg. La differenza maggiore (escludendo la caratura dei due soggetti che, senza nulla togliere all’austriaco, non è paragonabile) è che mentre la “vacanza” di Muster è iniziata alla fine della sua carriera, quando cioè aveva trentadue anni, l’abbandono di Borg si è verificato nel pieno della carriera: infatti, nonostante ufficialmente si sia ritirato dopo il torneo di Montecarlo 1983, aveva praticamente smesso già due anni prima all’età di venticinque anni in seguito alla delusione della sconfitta con McEnroe nella finale dello Us Open (con annesse polemiche). Borg smise perché era stanco del tennis, uno sport al quale si era votato con totale dedizione, uno sport che gli aveva dato una notorietà mondiale ed una grande ricchezza ma che gli aveva tolto la gioventù ( “Era esploso” dice Adriano Panatta). Lo svedese decise di ritornare nell’estate del 1990 e fu aiutato nel tentativo proprio da Panatta. Ritornò alle competizioni nel torneo di Montecarlo del 1991 dove perse da Jordi Arrese e furono altre le delusioni. Nei due anni di attività "postuma" non riuscì a vincere neanche una partita e si ritirò definitivamente dopo la sconfitta con Aleksandr Volkov al torneo di Mosca (peraltro persa solo 9-7 al tie-break del terzo). Il caso Borg spiega quanto possa essere difficile, in uno sport come il tennis, allontanarsi e poi provare a rientrare. Non è tanto una questione di età: ci sono esempi di carriere lunghissime (Jimbo su tutti), però è quasi impossibile rientrare dopo una lunga assenza.

Nella storia dello sport professionistico sono state molte le carriere caratterizzate da ritiri (in alcuni casi multipli) e da rientri. Con ogni probabilità il ritorno più incredibile è quello di Big George Foreman. Il pugile americano conosciuto per la forza bruta (e la fantasia: ha chiamato tutti e cinque i suoi figli maschi George) è stato particolare per l’entità sia del ritiro (dopo la leggendaria “Rumble in the Jungle” di Kinshasa dove perse da Muhammad Alì) sia per quella del ritorno.  Diventato campione del mondo dei massimi dopo la brutale vittoria su Joe Frazier (chiusa con un montante che fece la storia) nel gennaio del 1973 difese il titolo senza particolari difficoltà fino all’incontro organizzato in Zaire da Don King. L'incontro, nonostante Foreman fosse favorito, vide la vittoria all’ottavo round di Alì.  Gianni Minà disse che Alì aveva sfruttato la fragilità interiore di Big George, ma in un certo senso era stato uno scontro di ideali: da una parte Alì, impegnato nella lotta al razzismo e caricato dal popolo africano (che urlava il celebre “Alì Bumaye”, cioè “Alì uccidilo”), dall’altra Foreman che non si curava di questioni politiche ed era turbato dall’atmosfera pre-match. Ma oltre a questo aveva utilizzato anche una tattica ritenuta quasi suicida, che poi venne definita Rope a Dope (cioè prendi al laccio l’imbecille) facendosi praticamente picchiare da Foreman per farlo stancare.  Foreman rimase fuori dai ring fino al 1976 a seguito di questa sconfitta, tornando ai combattimenti contro Ron Lyle. La svolta nella vita di Big George arrivò in seguito alla sconfitta con Jimmy Young. Nello spogliatoio ebbe un colpo di calore ed afferma che mentre era incosciente sentì la voce di Dio. Questi lo convinse al ritiro ed a dedicarsi alla beneficenza fondando un centro er aiutare i giovani in difficoltà. Era il 1977.

Dieci anni dopo avendo bisogno di soldi per finanziare alcune opere benefiche decise di ricominciare a combattere. “L'anno scorso un mio amico cominciò a chiedere in giro 400 dollari di cui avevamo bisogno per portare avanti un nostro progetto. La cosa mi imbarazzò. Decisi allora di andarmi a guadagnare i soldi che ci servivano. Il pugilato è una professione onorevole. Mi dissi: vai a guadagnarti qualcosa e rimani in pace" Nel 1991, quattro anni dopo, ebbe l’occasione di giocare un match per il titolo contro Evander Holyfield, dove perse. La seconda chance di riconquistare il titolo gli capitò due anni dopo contro Tommy Morrison, ma anche questa fu una delusione. La terza volta fu quella buona però. Infatti nel match per il titolo riuscì a stendere il detentore Michael Moorer ed a tornare campione del mondo.  A 45 anni è il più anziano campione del mondo della storia della boxe e difese il titolo fino all’età di 48 anni quando si ritirò definitivamente i seguito alla sconfitta con Shannon Briggs. I dieci anni di lontananza di Foreman eguagliano quelli di Muster però è praticamente impossibile seguire l’esempio del campione texano sia per la straordinarietà ed unicità dell’impresa (in ambito tennistico mi fa venire in mente le due finali di Wimbledon di Rosewall a venti anni di distanza l’una dall’altra) sia per la differenza che corre tra due sport come la boxe ed il tennis (il contatto paradossalmente rende più facile una vittoria per un anziano pugile, soprattutto se potente come Foreman, che ad un tennista in la con gli anni).

Una carriera segnata da ritiri e ritorni (rispettivamente tre e due) è quella di Michael Jordan. “L’uomo conosciuto come Michael in cinque continenti” (cit) ha una storia diametralmente opposta a quella di Foreman. Infatti, MJ si è sempre ritirato (facendo eccezione per l’ultimo e definitivo ritiro) per brevi periodi e dopo una vittoria.
Entrato nell’NBA come terza scelta del draft del 1984 Jordan dimostrò subito di essere di un’altra categoria e cominciò a guidare la squadra di Chicago.  Nonostante i successi individuali del numero 23, Jordan ed i Bulls (diventati una squadra molto completa grazie anche alla presenza di Scottie Pippen) conquistano il primo titolo solo nel 1991. Questo è l’inizio del primo three-peat (cioè vincere tre volte consecutivamente il titolo). Nel 1993, dopo la vittoria nelle Finals sui Phoenix Suns di Charles Barkley, il padre di Michael venne ucciso e questo oltre alla perdita di motivazioni convinse Michael Jordan a lasciare il basket. L'assenza non durò a lungo, poiché dopo un modesto tentativo di carriera nel baseball (soprattutto per amore del padre da poco defunto) Jordan decise di tornare dopo appena diciassette mesi di “ritiro”. Appena tornato i Bulls ricominciarono da dove avevano lasciato dando inizio ad un nuovo three-peat con il titolo del 1996.  Il sesto ed ultimo titolo per i Bulls e per Jordan arriva nel 1998 nella finale contro gli Utah Jazz. Nella gara 6 (in trasferta) delle Finali con Chicago in vantaggio 3-2, Michael scrive l’ultima e più leggendaria pagina della sua carriera in post-season. Con Chicago indietro 86-83 e poco più di quaranta secondi alla fine Jordan segna senza difficoltà per ridurre lo svantaggio ad un punto. Con gli Jazz in possesso di palla Jordan letteralmente strappa la palla dalle mani di Karl Malone (uno dei più forti giocatori di sempre) e contrattacca. Lasciato in uno contro uno MJ letteralmente ridicolizza il suo diretto avversario e con il suo caratteristico giro a”U” segna il canestro decisivo. Dopo questa impresa il campione di Brooklyn decide di ritirarsi una seconda e (presumibilmente ultima) volta.
Per l’ennesima volta però stupirà tutti (anche se stesso) ritornando sul campo con la maglia degli Washington Wizards, di cui era diventato co-proprietario. Nel 2003 dopo aver impressionato nonostante l’età con il suo ancora inarrivabile livello di gioco (pur senza risultati effettivi) Michael smette per la terza ed ultima volta lasciandosi alle spalle una carriera costellata di momenti leggendari, a partire dal tiro su Craig Ehlo (ricordato come “The Shot” che fu il vero e proprio inizio della sua leggenda) fino ad arrivare alla finale contro Utah dove, citando Federico Buffa, “ne mise due di una certa rilevanza”.

Questi vari esempi, da quello di Borg, forse il più assimilabile al caso Muster, a quello di Foreman, decisamente il più incredibile, a quello di Jordan, che forse è il più distante da quello dell’austriaco, ma che andava citato per mostrare i vari motivi e tipi di ritiro, fanno capire che ciò che conta non è tanto la ragione del ritiro, quanto quella del rientro. Foreman e Jordan avevano grandissime motivazioni, Foreman per la voglia di ritornare a vincere e per guadagnare denaro per fare del bene, Jordan perché un campione incredibile ed eguagliato solo da pochi nella storia dello sport (facilitato anche dal fatto che i suoi rientri si sono verificati nel suo periodo di prime fisico), e queste motivazioni li spinsero ad altri traguardi importanti. Borg invece non era così evidentemente motivato dal fatto di ritornare il campione che era stato (cosa che peraltro lo aveva asfissiato in carriera), pur con le ulteriori e notevoli difficoltà che, come detto, il tennis propone. Per cui, vista la motivazione che anima il guerriero di Leibnitz, non è impossibile ipotizzare un suo ritorno a livelli quantomeno dignitosi.

Karim Nafea

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Tratto da: On This Day in Tennis History di Randy Walker