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24/09/2011 02:10 CEST - L'ARGOMENTO

In Italia manca un progetto Davis

TENNIS - L'Italia è tornata in Serie A, va bene. Ma se ci sono voluti 11 anni è proprio a causa dell'assenza di un progetto Davis che fissasse con precisione tutti gli elementi necessari per creare un buon team. E poi non bisogna dimenticarsi di Andreas Seppi. Di certo è sotto gli occhi di tutti la dedica di Simone Bolelli al Presidente, lo stesso che 3 anni fa lo squalificò senza nemmeno un processo. Massimo Rossi

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Alla fine ce l’ha fatta la nostra nazionale a tornare nella serie A della Coppa Davis dopo un decennio di purgatorio e un anno di inferno addirittura in serie C nel 2003. Tutto è bene quel che finisce bene, ma temo che il bello – si fa per dire – cominci proprio adesso. Se è vero infatti che il sorteggio del Cile per lo spareggio, l’infortunio di Gonzalez mano di pietra su un set pari nel match contro Fognigni e anche la pesca dei cechi al primo turno (poteva andarci molto peggio) sembrano la prova inconfutabile che lo stellone di galganiana memoria è tornato a brillare, quello che è certo è che questo inedito lato b della nostra squadra non basterà per rimanere in paradiso molto a lungo. Al proposito mi fanno sorridere i commenti di chi ha visto nella vittoria in Cile l’obiettivo raggiunto di un progetto di ripresa e di crescita durato dieci anni e partito dopo la sconfitta a Mestre contro il Belgio dei fratelli Rochus.

La verità sta esattamente nell’opposto. Se ci abbiamo messo ben undici anni a risalire è stato proprio a causa dell’assenza totale in Italia di un progetto Davis. Un progetto serio che regolamentasse il ruolo del capitano, che fissasse i criteri (e soprattutto i tempi) di scelta dei giocatori convocati in base alle esigenze di tutti – atleti compresi – ma anche in base alle superfici di gioco, prevedendo per tempo soprattutto le scelte relative ai match da giocare in casa. Un progetto economico che fissasse con precisione la scaletta dei compensi per i giocatori (che sono dei professionisti), i paletti di spesa per viaggi, allenamenti, preparatori atletici, accompagnatori (ma qui si dovrebbe aprire un capitolo a parte); che prevedesse tempi e modalità di assemblaggio di un doppio azzurro affiatato e tante altre cose ancora. Tutto questo è mancato e anzi si è spesso operato al contrario. Credo che non si sia dimenticato il caso di Andreas Seppi, vittima di gravissime accuse pubbliche quanto totalmente infondate e mai spiegate da parte del numero uno della FIT, quando Andreas era il numero uno degli italiani.

O addirittura il caso Bolelli, squalificato a vita dal Presidente senza aver subito neanche il processo e che oggi (meglio così, per carità!) canta dopo la vittoria a Santiago e inneggia allo stesso presidente di allora, quasi vittima di una sottospecie della sindrome di Stoccolma. Ma si sa che quando succede qualcosa, come nel caso di Simone Bolelli, è sempre colpa dei coach (nella fattispecie Claudio Pistolesi) quelle brutte persone che pretendono di programmare l’attività degli atleti, nel rispetto delle esigenze tricolori ma anche di quelle del professionista. E pretendono anche di farsi pagare, per rovinare i loro atleti, quando invece ci sarebbe lì mamma FIT pronta a riservare ai giocatori migliori (giovani e meno giovani) soldi, viaggi gratuiti, ospitalità, assistenza tecnica e atletica, i miracolosi interventi del dottor Parra e, perché no, magari in futuro anche qualche contratto. Intanto Simone Bolelli dalla bolla presidenziale a oggi ha perso quasi 100 posti in classifica mondiale.

Massimo Rossi

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