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01/02/2012 21:08 CEST - AUSTRALIAN OPEN

Rafa è così diverso da Roger?

TENNIS – Nell’ultimo anno Novak Djokovic ha sbriciolato tantissime certezze di e su Nadal, facendo vacillare la sua solidità mentale. Eppure tuttora, dopo ogni sconfitta, si tende a osannare le qualità agonistiche del numero 2 del mondo, sebbene il suo passivo con il serbo stia diventando più pesante di quello che ha Federer nei suoi confronti. Perché questa discrepanza di giudizio? Riccardo Nuziale

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Australia. Grande continente, emisfero del sud, scoperta dal capitano Cook, quattro o cinque metropoli, canguri e così via. E ormai anche terra di cuori infranti, no? Ha iniziato nel 2009 il principino che non vuole sporcarsi le mani, colui che vince solo le esibizioni agonistiche; ha continuato nel 2010 l’eterno numero 1 dei secondi, colui che ancora non riesce a convivere con la complessità del proprio io tennistico, che ancora troppo reprime la propria creatività in nome di quella solidità (ah, maledetta!) fisica e tattica indispensabile nel tennis contemporaneo per piazzare la bandiera in cima alla montagna.

Entrambi piansero, durante la cerimonia di premiazione. Proprio lì, davanti al sommo Laver, mister due Grand Slam, maestro di purissima tecnica, re di un’isola che ai suoi tempi dominava il mondo e che ora annaspa terribilmente (Tomic permettendo). Piansero. Sopraffatti da un orgoglioso rifiuto della propria sopraffazione, incapaci di accettare il vedere qualcun altro alzare il trofeo. Loro, così complessi, fieri, sensibili: rabbia e orgoglio.

Sto guardando le foto scattate ieri durante la cerimonia di quest’edizione 2012 degli Australian Open. Rafa non piange. Perché lui è un guerriero, no? Ha fatto del suo meglio, no? L’altro ha giocato meglio di lui, no? Già. Però guardateli, quegli occhi: cosa mostrano? Rassegnazione? Disperazione? Tristezza? Probabilmente c’è una percentuale di tutto questo, ma il sentimento che traspare maggiormente è quello di spaesamento. C’è un vuoto profondo in quello sguardo, Rafa sembra chiedersi cosa ci faccia, con quel piatto in mano: non è quello il suo posto, non è quello il suo ruolo. Lui è la macchina indistruttibile, l’agonista mentalmente inscalfibile, colui che distrugge fisico e mente dell’avversario. No?

Al che il pensiero su come sia divertente e facile giocare con gli stereotipi. D’altra parte non si fa altro dalla nascita dell’ex duopolio Federer-Nadal, duopolio che per funzionare a livello mediatico in modo così prorompente è stato infarcito di luoghi comuni, millefoglie di cliché. Il monarca del tennis che vive di luce propria contro il guerriero indomito e indistruttibile. Una faciloneria a la Beatles-Rolling Stones.

Ricordate proprio la finale del 2009, quella delle lacrime di Roger? Fu la partita che diede lo scacco matto definitivo: prima si diceva che con lo svizzero Nadal potesse vincere solo sulla terra, poi sull’erba, infine sul cemento. Rafa Slam!
Federer non le vince le partite lunghe, le partite combattute, le partite epiche. Bambinetto capriccioso che non sa stare in campo quando il gioco si fa duro, maschio, fisico, sporco.

A Wimbledon 2008 200 ore di partita, 38 interruzioni, pioggia-si riprende-pioggia-si riprende, finisce con il sole andato a dormire da un pezzo…poteva mai vincere mister Fragilità Mentale? Certo che no e infatti vinse Rafa il guerriero. Miglior partita di tutti i tempi (titolo che ormai viene scomodato ogni sei mesi).
A Melbourne 2009 Nadal giocò il venerdì una semifinale massacrante con Verdasco, arrivando così in finale con un giorno in meno di riposo e tante ore giocate in più. Per i bookmakers non ci sarebbe stata partita, questo era troppo anche per Rafa: troppo stanco, su una superficie a lui ostile, contro il più forte di tutti i tempi. E invece no, lo spagnolo vinse addirittura di fisico, dominando il quinto set. D’altra parte, poteva mai vincere al quinto set mister Fragilità Mentale? Certo che no e infatti vinse Rafa il guerriero. Rafa le partite epiche le vince tutte. Quando il gioco si fa duro, lui è una corazzata.

L’eterno ritorno? Rafa, così – quasi patologicamente - scaramantico (le bottigliette, il non calpestare mai le righe del campo a gioco fermo, la propiziatoria corsa da rete a fondo campo prima del riscaldamento d’inizio match) probabilmente ci credeva: non gli sembrò vero quando vide di poter perdere nuovamente a Doha con Monfils, proprio come nel 2009, così come affrontare un Federer assassino di Del Potro, proprio come nel 2009. Tutto così stupendamente uguale a quell’Australian Open magico. E invece eterno ritorno è stato, ma non nell’accezione sperata dal numero 2 del mondo, che si è trovato suo malgrado a vivere la situazione del Federer 2009, quella di affrontare in finale la sua bestia nera con molta meno fatica nelle gambe e perderci.

Minuto dopo minuto, ora dopo ora, set dopo set, il pensiero di quei momenti era comune: prima o poi Djokovic cederà, ha già giocato 5 ore due giorni prima, cinque set intensissimi. Ok, è il più forte, ma è umano, cederà. Ok, ma cederà…ok, ma cederà…ok, ma cederà…

Proprio come Nadal con Federer, Djokovic ha distrutto ogni convinzione che sembrava consolidata, ogni verità intoccabile sullo spagnolo. Si era partiti poco meno di un anno fa a Indian Wells, dove in un colpo crollarono i dogmi secondo cui Nole non poteva vincere in finale contro Rafa e non poteva vincere con lui dopo aver perso il primo set, dogmi definitivamente sbriciolati a Miami. Arrivata la stagione sul rosso, si pensava che sulla superficie del maiorchino il gap fosse ancora netto: come no, a Madrid e a Roma quattro set a zero per il serbo (e chissà come sarebbe andata a Parigi). Ultima tavola della legge da distruggere, ultimo tabù da profanare? La superiorità di Rafa su Nole negli Slam. Ed ecco quindi le vittorie di Wimbledon, US Open e ora Australian Open. Ciao ciao, Rafa (che ieri è tornato tra l’altro a perdere un match major dopo aver vinto il primo set: prima gli era successo solo una volta, a New York nel 2007 con Ferrer).

Eppure si continua a leggere che Nadal è straordinario, un guerriero indomito che cade sempre in piedi, co-protagonista di queste sfide con Nole che stanno riscrivendo la storia del tennis. Ammesso e non concesso questo, non ne vince mezza. Sette legnate consecutive sui denti (e in climax: sempre più lunghe, intense, dolorose…ma Rafa non le vinceva tutte le partite epiche?).

Spero che non si torni nella diatriba da osteria tra federasti e nadaliani, è una discussione puramente intellettuale, non vorrei attizzare le due fazioni, ma quale strana e assurda malattia mentale staremmo ora ad attribuire a Federer se avesse perso sette partite (e finali) di fila con Nadal, se avesse perso la finale più lunga della storia degli Slam con un break di vantaggio nel quinto set (dando il via alla strada del controbreak sbagliando un rovescio a campo vuoto), se avesse fatto suo il non lusinghiero record di essere il primo giocatore della storia a perdere tre finali major di fila? Perché ogni volta che perde Federer lo si dà per morto, lo si processa elencando analiticamente le occasioni sciupate durante quel determinato match, accusandolo di non aver messo sul piatto il suo tennis stellare nei momenti cruciali, mentre di Nadal si finisce sempre per dire “ha lottato, ha mollato solo all’ultimo, onore a Nadal, Rafa comunque c’è”?

Perché alla (vecchia e noiosa) provocazione che sostiene che Federer abbia vinto per mancanza di avversari e perché ha approfittato di un Nadal ancora acerbo, non si comincia a rispondere altrettanto provocatoriamente che Rafa abbia vinto in un periodo in cui l’unico avversario era un giocatore (affrontato in sette dei dieci Slam vinti) che per caratteristiche tattico-tecniche e per evidenti risvolti psicologici non ha mai sofferto (e che quindi, GOAT o meno, era per lui rivale “comodo”) e perché ha approfittato di un Djokovic ancora acerbo?

Chissà se Gianni Clerici inviterebbe lo spagnolo alla stessa lettura che ha consigliato a Federer per anni, quella di Freud. Di certo il guerriero una volta creduto indistruttibile si vede ora su un lettino, a parlare dell’infanzia, del rapporto con i genitori, di zio Toni, della fidanzata, di un moretto burlone che nei primi anni di circuito si fece conoscere quasi più per le imitazioni e per gli scherzi, ma che ora fa tremendamente sul serio, soprattutto quando vede dall’altra parte della rete Rafa il guerriero.

“Dopo che mi hai scoperto, trovarmi non era un granché, ma ora viene il difficile: tornarmi a smarrire…”

Ma tranquillo, Rafa: almeno a te nessuno chiederà di scacciare i tuoi demoni accorciando gli scambi, giocando il back e andando a rete.

Riccardo Nuziale

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