16/11/2012 10:46 CEST - Coppa Davis

Berdych, Almagro, Ferrer: quanto conta la testa?

TENNIS - Da venerdi a Praga si scrive la storia della centesima finale di Coppa Davis. Le luci e le ombre, le qualità e le debolezze di Berdych e Almagro, Stepanek e Ferrer, può aiutare a capire come la scriveranno.  Luca Pasta



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Tomas Berdych
Tomas Berdych

REPUBBLICA CECA-SPAGNA: IL SORTEGGIO

Venerdi
Stepanek v Ferrer
Berdych v Almagro

Sabato
Minar/Rosol v Granollers/M.Lopez

Domenica
Berdych v Ferrer
Stepanek v Almagro

La centesima finale di Coppa Davis della storia incombe. Con quel suo sapore speciale, di atto appunto finale, conclusivo della stagione, ma, allo stesso tempo, con quel suo gusto di evento particolare, diverso, a parte. E quattro personaggi, tra gli altri, vi si avvicinano, ciascuno con le sue aspirazioni ed il suo particolare stato d’animo: l’indomito David, l’emarginato Nico, il bellone incompiuto Thomas, il folletto antipatico Radek. Noi non siamo certo in grado di immedesimarci in loro, ma possiamo pensare che, molto probabilmente, un sentimento comune li animi: la voglia di dimostrare qualcosa che, nonostante tutto, non hanno ancora dimostrato nelle loro rispettive carriere.

Prendiamo David Ferrer. Ormai è una costante dei piani alti del circuito, è il motorino inesauribile che tutto conosciamo, l’uomo che non teme la fatica. La sua continuità ad altissimo livello è impressionante, le sua qualità fisiche e psichiche stupefacenti. Quest’anno ha vinto 7 titoli, più di chiunque altro nel circuito, e 74 incontri, superato solo al fotofinish da Djokovic, che con la vittoria nella finale del Masters ha toccato quota 75. Molti lo elogiano, lo ammirano, tutti lo rispettano…Ma…c’è sempre un “ma” per David Ferrer. E’ bravo, “ma” non è uno di loro quattro, è continuo, “ma” i suoi 7 titoli del 2012 valgono meno dei 6 di Federer e di Djokovic, ha vinto molto, “ma” i suoi tornei non sono di primissimo livello.

E’ condannato ad essere il primo dei secondi. Ebbene, non sono nella testa di David Ferrer, ma ho il sospetto che la sua indiscussa serenità e perenne positività di atteggiamento siano accompagnate da un sentimento latente di ribellione a questa sua condizione.

Gli sforzi ed i sacrifici sovrumani che compie per ottenere da sé il 120% del suo potenziale forse hanno, senza che magari lui stesso se ne renda conto, anche un altro obiettivo: riuscire per una volta a realizzare qualcosa di grande davvero, qualcosa che di solito riguarda i Federer, i Djokovic, i Nadal, i Murray. Cercate di ricordare l’esultanza di David nel momento del trionfo a Bercy poco più di 10 giorni fa: non era un modo di gioire “normale”, soprattutto per lui; era qualcosa di più, si trattava della consapevolezza di aver vinto, una buona volta, un Masters 1000, un qualcosa che di norma non appartiene ai suoi standard. Certo, i giornalisti e gli osservatori pronti a dire che quel titolo lo ha vinto per “sciopero” dei fab four (due assenti, due precocemente eliminati) non sono mancati. L’ennesimo “ma” è arrivato a perseguitarlo., puntualmente Adesso David scende in campo alla O2 Arena, ma non è quella londinese che lo ha ripudiato ingiustamente, proprio lui che aveva due vittorie come Del Potro, ma che aveva battuto l’argentino nello scontro diretto.

La O2 Arena ora, è quella di Praga. E l’occasione di fare qualcosa di veramente grande, che nessuno potrà sminuire, è davanti a lui. Nella finale del 2008 giocata e vinta dalla Spagna in Argentina, David aveva giocato un solo incontro, perdendolo con il suo omonimo Nalbandian, e furono Felicano Lopez e Verdasco a firmare la vittoria. Nel 2009, finale in casa proprio con la Repubblica Ceca e grande vittoria 8-6 al quinto di Ferrer con un signore che ritroverà probabilmente tra pochi giorni, Radek Stepanèk. Ma gloria e successo da condividere con il mito Nadal, che aveva dato il via alle danze battendo Berdych. Nel 2011 infine, stesso copione, un importantissimo punto conquistato contro Del Potro certo, ma chi è che di punti ne porta due e soprattutto quello decisivo? Domanda inutile. Rafa. E quando si ha accanto un tipo simile, si finisce per essere offuscati dalla sua luce abbagliante. Questa volta è diverso, davvero diverso. E’ lui che può prendere in mano la Spagna e guidarla verso la vittoria, è lui che può essere “il protagonista” e non il gregario. Si tratta di vedere se sul tappeto di Praga, annunciato molto rapido, le sue inesauribili energie fisiche e mentali gli permetteranno di non essere soffocato rapidamente dal devastante Berdych, ma sapranno portare la sfida sul terreno della lotta, in quella zona dove non è secondo a nessuno.

Se per una volta Ferrer non sarà il gregario, sarà il caso di oocuparsi allora di colui che potrebbe esserne il gregario in questa occasione. Nico Almagro è sempre stato un tipo un po’ particolare. Almagro: una parola che sa di rovescio, rovescio ad una mano splendido. Che sa di terra, rossa, magari sudamericana. Quella sulla quale ha vinto la metà dei suoi 12 “terrosi” titoli ATP. Forse una parola che non sa di servizio, ma soltanto fino a quando uno non va a leggere le statistiche di fine anno dell’ATP e scopre che al quinto posto nella classifica 2012 degli ace c’è proprio lui, che ne ha serviti solo 11 in meno di Federer avendo giocato 3 partite in meno. Un tipo particolare, scontroso, ombroso, irascibile. Nico è ormai da alcuni anni tra i top spagnoli, ma rimane una figura in disparte, non legata al clan iberico classico. Un tizio, tra l’altro in rapporti non esattamente ottimali con uno degli avversari che lo aspettano a Praga: tutti ricordiamo il passante sparato da Nico al corpo di Berdych in Australia, il rancore di quest’ultimo tradottosi nella mancata stretta di mano finale, le apparenti pacificazioni non si sa quanto sincere, le ultime gentili dichiarazioni di Berdych del tipo “Almagro è il punto debole della Spagna”. Ma Anche Nico forse è stufo. Stufo di essere “l’altro” rispetto allo stato maggiore iberico, stufo di essere “il terraiolo”, stufo forse anche di essere quello che con Nadal e Ferrer perde sempre. Praga è una grossa chance anche per lui, che, in fin dei conti, ha aiutato il suo paese a giungere sulle rive della Moldava, la lotta con John Isner in semifinale non si può dimenticare. Può smentire almeno per un weekend, e non qualunque, gli stereotipi che lo perseguitano. A meno che uno di questi, non gli sia fatale: se mentre scrivo forse Corretja non ancora deciso, secondo il capitano ceco Navratil il “marchio d’infamia” della terra potrebbe costringere Nico a fare posto, suo malgrado, al collega volleatore il “Deliciano” di mamma Murray, sì avete capito, Feliciano Lopez, nella speranza che oltre ad irretire le fanciulle sugli spalti, confonda i cechi sul campo. Vedremo se venerdi i primi piani saranno per gli sguardi seducenti di Feliciano o per i lineamenti scolpiti, quasi da indios, del nostro Nico.

Passiamo ora dall'altra parte della tenzone. Thomas Berdych e David Ferrer cos'hanno in comune? Proprio niente. Perchè si dovrebbe accostare uno stakanovista iberico, un motorino inesauribile, un operaio di alta specializzazione ad un gigante estemporaneo, irregolare, talvolta pigro e semovente, capace di toccare il paradiso e l'inferno nella stessa partita? Perchè anche Berdych, come Ferrer, da anni prova a fare l'ultimo passo, a salire l'ultimo gradino senza riuscirci. Regolarità e sacrificio, o genio casuale discontinuo, due modi diversi di sfiorare i fab four senza raggiungerli. Forse nel caso di Berdych i rimpianti sono ancora maggiori. Perchè si tratta di un tipo che ha fatto piangere Federer più di una volta, per dirne una. Perchè è stato finalista Wimbledon per dirne un'altra. Perchè se è in giornata e può colpire relativamente da fermo quasi nessuno può resistergli. Perchè la sua violenza convive con una mano che sa essere delicata. Dovrebbe avere la testa di Ferrer, ma ha la sua. Ora Berdych gioca in casa la finale di coppa Davis per il suo paese. Solo la “madre” di questo paese, la Cecoslovacchia vinse l'insalatiera, nel 1980. Vincerla oggi, magari con l'apporto personale di due punti, vorrebbe dire firmare un'impresa di quelle che rimangono per sempre nella storia del tennis.

Superficie molto veloce, pubblico totalmente a favore, le condizioni ideali quindi? I ragionamenti logici con la testa di Berdych non funzionano. Colui che due mesi fa in un ambiente ostile come quello di Buenos Aires, su una superficie invisa come la terra, è stato capace di piegare Monaco in cinque set nella prima giornata della semifinale con l'Argentina per poi battere freddamente Berlocq nell'incontro decisivo, potrebbe essere capace in patria di divenir preda dei fantasmi della sua mente. Se invece si alzerà dal letto con il piede giusto, magari ispirato da quanto fatto 10 giorni fa dalla sua ex Safarova in Fed Cup, è probabile che la Repubblica Ceca possa contare su due dei tre punti necessari per vincere. E' un nonnetto che il 27 novembre compirà 34 anni, colui che dovrà cercare di regalare al suo paese il terzo punto. Radèk Stepanek. Eh già, proprio lui, il seduttore di belle tenniste, il già fidanzato di Martina Hingis, il marito di Nicole Vaidisova. Da molti ritenuto tanto antipatico in campo, quanto simpatico fuori. Un signore da 12 titoli di singolare comunque, che in un pomeriggio romano di alcuni anni fa si prese lo sfizio di battere Roger Federer. Uno dei pochi appartenenti a quella razza in via d'estinzione dei volleatori, quelli capaci di farci ancora provare l'emozione di uno schema offensivo o di un ricamo nei pressi della rete. Eppure, in ultima analisi, un'altra personalità complessa: talvolta spavaldo, sicuro di sé, aggressivo, talvolta cupo ed incerto. Nella semifinale di doppio del Masters di Londra è proprio questa la faccia che ha mostrato: trovatosi suo malgrado nel bel mezzo della “faida indiana”, ha finito, nel supertiebreak, per risentire più lui dell'atmosfera belluina, di quanto non ne abbiano risentito coloro che l'avevano generata, il suo compagno Paes ed i nemici di quest'ultimo, Bhupathi-Bopanna. Ma a Praga Stepanèk potrebbe mostrare l'altra faccia, quella sontuosa ed elegante dell'attaccante esaltato dalla superficie amica e dal calore del pubblico, fattore dal quale sa forse trarre più vantaggi dell'algido Berdych.

Sicurezze ed incertezze, fiducia e paura, popolano probabilmente le menti dei nostri personaggi in queste ore. Solo il campo ci dirà quale storia scriveranno. Ma speriamo che siano ispirati, perchè la centesima finale di Davis merita una bella storia.

Luca Pasta

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