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Opinioni

Come può cambiare il ranking. E se fosse reintrodotto il bonus point?

L'attuale sistema che assegna i punti per le classifiche mondiali appare meritocratico, ma potrebbe esserlo ancora di più se venisse ripristinato il bonus point?

Last updated: 19/02/2017 11:46
By Gabriele Ferrara Published 16/12/2016
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4 Min Read
Juan Martin del Potro - Zagabria, Finale Coppa Davis 2016 (foto Prensa AAT/Sergio Llamera)

Sono mesi ormai, anzi anni, che si discute di quali potrebbero essere i cambiamenti per rendere il tennis ancora più divertente e globale in termini di presa sul pubblico di tutto il mondo. Si è parlato dell’abolizione del let, dell’introduzione del punto secco sul 40 pari, di set meno lunghi e, addirittura, di match a tempo prestabilito. Di questo hanno parlato anche Chris Kermode e Steve Simon, rispettivamente CEO dell’ATP e della WTA. Entrambi si sono mostrati estremamente aperti, forse anche troppo, a queste innovazioni. Senza voler entrare nel merito di tali questioni di cui si parla e scrive a sufficienza, un aspetto che forse meriterebbe più attenzione è quello riguardante il ranking, che – al di là di quanto può essere penalizzante risalire dopo un lungo stop – non sempre è meritocratico al 100%, né rispecchia sempre i valori dei giocatori. A questo proposito, Rafa Nadal ha detto più volte che lo stesso dovrebbe essere biennale, in modo da non penalizzare troppo chi è vittima di infortuni, senza però specificare bene come dovrebbe funzionare il sistema da lui agognato.

Un elemento che potrebbe rendere le classifiche mondiali più meritocratiche e “giuste” sarebbe senza dubbio la reintroduzione del bonus point (in vigore tra il 1996 e il 2000), che corrispondeva un punteggio aggiuntivo a quello del torneo, premiando in maniera particolare chi riusciva a sconfiggere giocatori più quotati, prescindendo però dalla posizione di chi riusciva a fare ciò. Questo lo schema riassuntivo:

Schermata Bonus Points System
Fonte: Spaziotennis

Nella prima colonna c’è il riferimento alla classifica dell’avversario che, battuto, darebbe diritto ai punteggi che compaiono nella seconda. La terza, invece, fa riferimento al premio che si avrebbe nel caso in cui la vittoria contro lo stesso avversario avvenga in un torneo dello Slam – all’epoca ciò valeva anche per tutte le altre finali o partite giocate al meglio dei cinque set.

Ovviamente, rispetto alla fine del ventesimo secolo, sono cambiate molte cose: adesso, infatti, i tornei del circuito maggiore sono divisi in quattro categorie ben definite (Slam, Masters 1000, 500 e 250), con ogni manifestazione del medesimo rango che dà punteggi uguali. Prima, invece, c’erano sì gli Slam e i Super 9, ma i Championships Series e i World Series davano punti diversi a seconda del montepremi, senza avere così uno schema fisso. Sarebbe sicuramente interessante vedere come cambierebbero le classifiche mondiali con questi bonus, che favoriscono chi è in ascesa e riesce a sconfiggere avversari più quotati, facendolo ancora di più se l’importanza del torneo è massima. Ad esempio, è davvero giusto che la vittoria al terzo turno di Wimbledon di Querrey su Djokovic assegni lo stesso numero di punti di un’ordinaria partita archiviata da Federer contro Evans per accedere agli ottavi dello Slam londinese? In questo modo, probabilmente, Thiem non sarebbe n.8 del mondo, né Berdych sarebbe rimasto in maniera praticamente fissa nei primi 10 per 6 anni e mezzo, mentre del Potro avrebbe quanto meno la certezza di essere testa di serie ai prossimi Australian Open (anche se nel suo caso Davis e Olimpiadi dovrebbero dare punti ATP, argomento che meriterebbe un’analisi a sé stante).

Certamente l’attuale ranking ATP tende a riconoscere il valore dei giocatori, ma in tal modo si avrebbe una visione ancora più oggettiva di quelle che sono le gerarchie del tennis, stimolando peraltro in misura maggiore i giocatori più indietro in classifica ad emergere nonostante le innumerevoli difficoltà.


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