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Interviste

Thiem: “Dopo lo US Open ho vagato senza meta. Credevo che uno Slam avrebbe semplificato tutto”

L'ex numero 3 del mondo si racconta: "Mia nonna ha venduto la casa per farmi giocare. L'infortunio al polso? Non ho ascoltato il mio corpo"

Ultimo aggiornamento: 25/11/2025 14:54
Di Beatrice Becattini Pubblicato il 25/11/2025
11 min di lettura 💬 Vai ai commenti
Dominic Thiem - Conferenza Stampa, Vienna Erste Bank Open 2022 (© e-motion/Bildagentur Zolles KG/Christian Hofer)

Un anno fa, Dominic Thiem ha scelto di concludere la sua carriera a soli 31 anni. L’austriaco da tempo, però, aveva smarrito la sua essenza tennistica, che lo aveva scortato fino alla terza posizione del ranking. L’infortunio al polso patito a Maiorca nel 2021 ha accorciato il percorso che lo ha portato al ritiro, privandolo di uno spaccato importante di vita tennistica. Perché Dominic è uno di quei ragazzi degli anni Novanta, figlio di una generazione a cui sono stati rubati gli anni migliori dalle leggende. Avrebbe meritato di godersi la maturità sportiva, dopo stagioni passate nel ruolo di comprimario dei Big Three. A volte il destino, invece, ha altri piani. Insieme a Daniil Medvedev rimane l’unico nato nell’ultimo decennio del XX secolo ad avere il privilegio di essere iscritto al circolo ristretto dei campioni Slam.

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Thiem: “Mia nonna vendette il suo appartamento per garantirmi una carriera”Thiem: “Dop loo US Open mi sono perso. Vagavo senza una direzione precisa”Thiem sul polso: “L’infortunio non è arrivato all’improvviso”

Quello che doveva essere lo slancio per cambiare definitivamente dimensione è finito per trasformarsi in un effetto collaterale per la mente di Thiem, che non ha più ritrovato sé stesso e i suoi colpi, quel diritto penetrante e il rovescio a una mano potente che gli consentivano di fare partita pari con i mostri sacri.

Thiem: “Mia nonna vendette il suo appartamento per garantirmi una carriera”

Nel podcast Jot Down Sport, Thiem si è raccontato con tutta la sincerità che un’intervista di questo tipo richiede. Non si nasconde dietro frasi di circostanza e ripercorre tutta la sua carriera con lucidità.

“Ho trascorso praticamente la mia infanzia su un campo da tennis a Lichtenworth” esordisce. “I miei genitori avevano una scuola di tennis lì e, quando i miei nonni non potevano occuparsi di me, i miei genitori mi portavano al campo. A un certo punto, molto presto – intorno ai quattro anni – avevo una racchetta in mano e giocavo con grande passione”.

Un’infanzia trascorsa con la racchetta in mano, inseguendo la pallina gialla e il desiderio di sfondare in un mondo complesso. Un sogno che ha richiesto una profusione economica non indifferente – in questo pezzo di Carlo Galati potete trovare la parte relativa ai costi sostenuti dalla famiglia di Thiem.

“Mia nonna vendette il suo appartamento, che era naturalmente una somma incredibile da investire nella mia carriera” confessa Dominic. “Per fortuna l’investimento ha dato i suoi frutti. Anche se probabilmente avevo circa 14 o 15 anni e molte altre cose per la testa, te ne rendi comunque conto da bambino—e questo crea parecchia pressione”.

L’austriaco apre il vaso di Pandora: il tennis è ancora uno sport per ricchi, una disciplina che richiede investimenti e esborsi spesso insostenibili, oltre a sacrifici sin da bambini, con una pressione che non risparmia neppure i più piccoli.

Thiem prosegue accennando al suo percorso scolastico, terminato anzitempo proprio per dedicare tutto ciò che aveva al tennis. Una situazione non rara sul circuito.
“Ho menzionato in un’intervista che molti tennisti professionisti non hanno un diploma scolastico. Anche io ho lasciato la scuola a 15 anni e ho detto: adesso è il momento di puntare tutto. Quella è stata la fine della mia istruzione, a circa 16 anni”.

Dominic è cresciuto circondato dal tennis. I genitori avevano una scuola e il padre sognava di diventare un grande allenatore. Così, ha iniziato con il figlio. L’ex numero 3 del mondo ricorda come avesse bisogno sin da subito di un sostegno, di un impulso per tirare fuori il meglio di se.
“Ho avuto spesso bisogno di una spinta dall’esterno, senza dubbio. I miei genitori erano piuttosto giovani quando sono nato e mio padre desiderava davvero diventare un bravo allenatore di tennis, così abbiamo intrapreso quel percorso insieme. Avevo bisogno di una piccola, o a volte grande, spinta esterna quasi ogni giorno”.

Una famiglia tennistica a tutti gli effetti non ha impedito al Dominic bambino di potersi approcciare a sport differenti, perché “è estremamente importante ed è assolutamente consigliato per qualsiasi bambino non specializzarsi troppo presto, ma praticare il maggior numero possibile di sport in parallelo. Però il tennis era sicuramente ancora lo sport che praticavo di più”.

Dalle parole del campione di New York 2020 si evince come il tennis sia un despota che totalizza ogni aspetto della vita. Perché la dedizione che richiede è massima. Anche al di fuori del campo, la vita ruota attorno alla racchetta. E le amicizie non fanno eccezione, anche se Dominic non crede di essersi perso alcunché in questi 32 anni.
“Il mio intero, o quasi intero, giro di amici all’epoca proveniva dal tennis. Quindi passavo la maggior parte del mio tempo con loro, durante la settimana e ai tornei nei fine settimana viaggiavamo insieme. Non mi è mai davvero sembrato di perdermi qualcosa, perché quello era semplicemente il mio stile di vita”.

Thiem: “Dop loo US Open mi sono perso. Vagavo senza una direzione precisa”

Il racconto prosegue con il percorso per arrivare a vincere uno Slam, un sogno bramato a lungo e sfiorato a più riprese prima di sollevare il trofeo dello US Open in un Arthur Ashe deserto a causa del covid.

“È stata molta ricerca e sperimentazione per quei pochi ultimi percentuali, per capire cosa mancava per vincere un titolo del Grande Slam” spiega, aggiungendo che, fuori dai riflettori, c’è tutta una parte logistica e organizzativa da non sottovalutare. “Pianificare tornei e viaggi era estremamente intenso e faticoso; tutto doveva essere ottimizzato affinché potessi arrivare in assoluta forma migliore, fisicamente e nel gioco, a quei quattro eventi del Grande Slam”.

Dominic si lascia andare a una confessione: credere che vincere uno Slam avrebbe messo in discesa il prosieguo della sua carriera ha minato tutte le sicurezze che era andato costruendosi.
“All’epoca avevo un atteggiamento piuttosto ingenuo, pensando che se avessi vinto il torneo e realizzato il mio grande sogno tennistico, tutto il resto della mia carriera sarebbe diventato facile. Ci credevo davvero in quel periodo”.

Invece, la realtà ha narrato tutt’altra storia. Il trionfo newyorchese ha costituito l’ultimo acuto di una carriera da 17 titoli ATP, tra cui un Major e un Master 1000 come Indian Wells.

All’improvviso la luce si è spenta per Thiem, a cominciare dalla sua mente. L’austriaco non ha mai nascosto di aver affrontato la depressione. Parlare di salute mentale non è più un tabù nello sport.
“Per un po’ ho vagato per il mondo un po’ senza una direzione precisa. Non volutamente, semplicemente è andata così” rivela. “Avevo vissuto così a lungo e così intensamente per una sola cosa, e credevo davvero che fosse l’unica cosa che contasse”.

Quando l’oscurità pareva aver liberato Dominic, è stato il fisico a tediarlo. Fino al grave infortunio al polso.
Sembra passata una vita, eppure ci ha provato a ritornare lì dove sentiva di meritare. Si è dovuto arrendere alle circostanze.

Adesso Thiem si mostra felice della sua nuova vita, tra le lezioni di italiano e le passeggiate con i cani.
“Imparo l’italiano con mia madre una volta alla settimana con un’insegnante che abbiamo trovato per caso, è qualcosa che volevamo fare da tempo. Forse presto potremmo fare un’intervista in podcast in italiano, su cose come il cibo e lo sport, niente di troppo complicato” racconta.

E anche il suo rapporto con la puntualità è: “decisamente migliorato, ma arrivare in ritardo è assolutamente un problema nel tennis professionistico. Spesso ero in ritardo di 15–20 minuti, ma ero comunque il primo ad arrivare alla Laver Cup o alle Finals. E cosa mi rende sempre felice? I miei cani. Mi portano fuori all’aria aperta e nella natura”.

Thiem sul polso: “L’infortunio non è arrivato all’improvviso”

Infine, Thiem conclude con l’infortunio che di fatto ha posto fine alla sua carriera.
“L’infortunio non è arrivato all’improvviso. Avevo quasi 28 anni e avevo sottoposto il mio polso a molte sollecitazioni fin da quando avevo 10 o 11 anni, quindi per quasi 17 anni. Ne ha passate tante” spiega con grande lucidità. “Perciò, non è una sorpresa così grande che l’infortunio sia avvenuto. Inoltre, si tratta di un infortunio molto comune per un tennista. Penso che più persone abbiano avuto questo infortunio rispetto a quelle che non lo hanno mai avuto”.

In un momento di fragilità, ancor prima emotiva, Dominic sente di aver commesso qualche errore. Non si colpevolizza, però sa che se avesse agito diversamente forse avrebbe cambiato il corso degli eventi.
“Ho commesso praticamente molti errori. Ho ricominciato troppo presto, senza dare al corpo il tempo di guarire e di rigenerare il polso, cosa dovuta ovviamente alla mia poca esperienza con gli infortuni. Come atleta competitivo, credo che si sappia controllare il proprio corpo in modo incredibilmente preciso e si percepisce immediatamente quando succede qualcosa di serio, e questo è stato semplicemente il caso in quel momento, quando si è verificato l’infortunio al polso”.


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