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Nadal da effetti speciali: lifting per tornare Rafa (Martucci). Muscolo Dimitrov, Fognini nulla può e Nadal è guarito (Clerici). Intervista a Flavia Pennetta: “Contro gli Usa e tutti i gufi” (Piccardi)

Last updated: 16/04/2015 11:29
By Alberto Giorni Published 16/04/2015
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12 Min Read

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Nadal da effetti speciali: lifting per tornare Rafa (Vincenzo Martucci, Gazzetta dello Sport)

Si chiama lifting. Roger Federer l’ha fatto, doppio, l’anno scorso, cambiando coach (Stefan Edberg) e adottando una racchetta con la tomaia più grande. Rafa Nadal lo fa adesso, qui a Montecarlo, dove il litfing è un’arte, abbracciando una racchetta con lo schema delle stringhe più larghe (e più alto): «È un cambiamento per avere più effetto, mi ci sono allenato a Maiorca appena rientrato da Miami, e forse ho un po’ meno controllo, ma in teoria più potenza. Vediamo, quando cambi è sempre un rischio. Questa mi piace, e continuerò a giocarci». Si chiama lifting perché cambia le cose, le rinfresca, le abbellisce, non pub riportare agli anni d’oro i due protagonisti dell’ultimo decennio, ma aiuta. Roger è tornato Magnifico e Rafa vuole fortissimamente imitarlo. Curiosamente, superano il primo ostacolo con lo stesso 6-2 6-1, sia pure con riscontri cronometrici molto diversi (55 minuti lo svizzero, 69 lo spagnolo) e contro avversari, entrambi francesi, ma dalle caratteristiche diverse: un osso duro come Chardy dal buon braccio, con cui Federer aveva anche perso l’anno scorso sulla terra rossa di Roma, e uno dei giovani più promettenti della covata francese, come il 2lenne regolarista Pouille.

AGGRESSIVITÀ I due fenomeni puntano molto a questa stagione sul rosso, e si vede. «Sono proprio contento di essermi allenato prima, qui, perché le condizioni cambiano tanto, col vento e la temperatura, dal caldo al freddo, con la palla che schizza oppure no. Il mio avversario mi ha aiutato non servendo bene, e io ho trovato facilmente la mia zona confortevole di palleggio per dettare i punti», si auto-applaude Roger. Che, con questo tennis, con questi avversari e col nuovo gioco-champagne, sa di avere una chance anche al Roland Garros, dove ha disputato cinque finali e ha fatto festa solo quando non aveva davanti Nadal: «Ho giocato molto aggressivo, ma sulla terra bisogna anche difendersi. Ci possono essere scambi lunghi, e non sempre perché lo vuoi. Per me è importante saper scegliere il momento giusto, spingere e andare avanti». Bravo, con 19 vincenti a 5, ed appena 12 errori gratuiti, firma il successo numero 17 nei 19 match dell’anno.

SOLIDITÀ Luca Pouille è un buon giocatore. Ma, spingendo da fondo non può abbattere la Maginot Rafa: «Non è un problema di età, non è più difficile ora, per i giovani, rispetto a quando cominciavo io. Lucas ha tutto per essere un buon giocatore e ha appena battuto Thiem, che era arrivato nei quarti a Miami. E un problema di livello, che Federer, io e Djokovic stiamo tenendo più che in tutta la storia del nostro sport. Questa è la realtà. Se questi ragazzi continuano a giocar bene, continuano a migliorare, giocano tanto, per mesi ed anni, saliranno anche loro di livello». Alzare l’asticella significa: «Ho giocato un match solido, un po’ più di quanto avevo fatto ultimamente, senza errori di fila, sono stato aggressivo quando dovevo esserlo e ho tirato i passanti che non tiravo da un paio di mesi. Torno in albergo con una magnifica sensazione: ho giocato forse il miglior match dell’anno, con la giusta mentalità e concentrazione». Infatti la partita vera dura 20 minuti, poi il mancino di Maiorca aumenta il ritmo e va all’incasso di errori diretti e scelte sbagliate (…)

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Muscolo Dimitrov, Fognini nulla può e Nadal è guarito (Gianni Clerici, La Repubblica)

Programmi? mi chiede un giovane compagno di banco, ormai ignaro di pubblicazione cartacea, e comunque fulmineo nel contattare il suo blog. «Sono incerto» rispondo addentando il sandwich di mezzogiorno «tra due scelte. La dubbia salute di Nadal, la sua partita e quella di Fognini. Giocano allo stesso orario». Il giovane sorride, per ricordarmi le indubbie possibilità dell’informazione contemporanea. «Fai come me. Li guardo tutti e due insieme. Insieme?. Lo vedo premere un bottoncino, che anche la mia nipotina quattrenne chiama “touch” in inglese, e contemporaneamente appaiono sullo schermo di due tv il Campo Centrale e quello secondario, detto retoricamente “Dei Principi”. Mi rimane il dubbio, certo storicamente superato, che invece di vedere benino una sola partita, se ne vedano male due. Per mia fortuna, e non solo per la sua nota bontà d’animo, Nadal si affretta a fugare le ipotesi pessimistiche che lo riguardano. Ricordo infatti l’intervista di ieri di Rafa, capace di dichiarare «La verità è che gioco male», confermata dalla Mutua che elenca un’appendicite, e ricorrenti malanni alla schiena e alle articolazioni del ginocchio. Confermata anche dalle statistiche che, dallo scorso Wimbledon, gli ascrivono 19 vittorie ma ben 8 sconfitte, 2 addirittura sofferte contro over 100, il bambino Coric (124) e Berrer (127 ). Per rendere meno lugubre la mia attesa, Nadal mi appare via via più simile al ricordo di chi ha vinto 9 Roland Garros, e non ai resti di se stesso.

Mentre domina il francesino Pouille posso così spostarmi sul campo detto dei Principi gremito di italiani, posto che tra loro sia riuscito a penetrare un turista bulgaro, compatriota e tifoso di Dimitrov. L’amoroso afflato dei mille italiani non trova, purtroppo, pronta rispondenza nel tennis di Fognini, in difficile situazione nei riguardi di un giovane che, a torto, qualcuno riteneva limitato a superfici più veloci. E’ un tennis di continua potenza, quello del bulgaro, aggressivo, rovescio ad una mano stracolpito, recuperi con una efficace frustata di diritto, pochi errori. Il Fognini odierno, pena-lizzato da due false partenze ad inizio set, forse propiziate dall’allenatore di Dimitrov, Rashed, maniaco muscolare, non può che autoassolversi.

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Intervista a Flavia Pennetta: “Contro gli Usa e tutti i gufi” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Brindisi, finalmente. Papà Oronzo, detto Ronzino. Mamma Concetta, per tutti Concita. Le orecchiette con pomodoro e cacioricotta, la parmigiana di melanzane («Potrei divorarne una teglia senza stancarmi»), l’abbuffata di parenti: «Il Tc Brindisi è esaurito per colpa loro!». Dopo quindici anni di onorato professionismo, dieci titoli in singolare (con l’apice di Indian Wells), una camera con vista sull’attico delle top-lo (agosto 2009) e quattro Fed Cup in valigia, la campionessa toma a casa: «Ho chiesto al c.t. Barazzutti se potevo dormire dai miei. No, mi ha risposto: giusto così». Sembra la tappa nobile di una tournée d’addio. «A me pare piuttosto un bellissimo trappolone» se la ride Flavia Pennetta, che rientra in azzurro contro gli Usa di Serena Williams nel momento più difficile, con la squadra spaccata dal divorzio Errani-Vinci e sull’orlo del burrone della B, da salvatrice… «Alt! Rifiuto il ruolo di salvatrice della patria!». Parliamone, Flavia. «È tutto fantastico. L’entusiasmo, il circolo di cui mio padre è stato presidente tirato a lucido, l’atmosfera. Non gioco a Brindisi da quando ero una bambina. Avevo 5 anni: senza rendermene conto, mi ritrovai una racchetta in mano». Lo spareggio Italia-Usa è un bel vernissage. «Qualche anno fa sarei stata nervosa. Oggi, sono contenta: mi piace questa possibilità. L’assenza di Venus sposta un po’ gli equilibri ma Serena sa essere devastante. Io sto bene, sono pronta, darò tutto».

Come sta invece l’Italia terremotata dallo schiaffone di Genova e dallo strappo secco tra Sara e Roberta? «Non è più il gruppo storico, senza nulla togliere a Giorgi e Knapp, e questo mi intristisce un po’ perché significa che il tempo passa. Devo confessare di aver proposto al c.t. di riunire a Brindisi il mitico quartetto: Pennetta, Schiavone, Errani, Vinci. Una scelta di cuore e di pancia. Ma Corrado, è ovvio, fa le convocazioni con la testa». La Schiavone, k.o. a Bogotà, potrebbe venire a tifare. «Io gliel’ho chiesto. Con una Schiavo in Fed Cup ho sempre la sensazione che si possano fare miracoli». Flavia, ma insomma: cosa è successo tra Errani e Vinci? «Sono cose private e io non ho voluto mettermi in mezzo. Essere unite è importante, in doppio, ma se in campo ti porti le tensioni ecco che la coppia migliore del mondo diventa normale, come a Genova con la Francia. Lasciare la vita privata fuori non sempre è possibile. Chissà quante altre volte in passato avranno litigato e poi l’hanno gestita bene, da professioniste. Ma a un certo punto la situazione è esplosa». Lei e Sara in singolare. E in doppio? «A Hertogenbosh, sull’erba, nel 2009 io e Sara battemmo in finale Krajicek e Wickmayer. Mica male, no?». Tutt’altro.

Proviamo a guardare il futuro oltre Brindisi e oltre il 2015. «A gennaio avevo deciso che questa stagione era l’ultima. Poi Salva, il mio coach, mi ha detto: sei matta? Se ti metti dei paletti, ti freghi da sola». Ha ragione. «Allora ho deciso che a novembre mi farò un bell’esame di coscienza: ho ancora voglia o no? E giocherò mese per mese, in base a come mi sento, e quando me la sento. Senza più devo, devo, devo… Rio 2016 non rappresenta un’attrattiva irresistibile, per me. Pechino 2008 fu entusiasmante, Londra 2012 una delusione: l’avevo aspettata troppo. Sono felice della mia carriera, non ho molto altro da chiedere». E chi lo dice a papà Oronzo? «Già… Lui vorrebbe che continuassi fino a 5o anni Mamma, invece, accetta che io sia cresciuta, che abbia altre ambizioni personali». Tipo una famiglia? «Eh». Ma il suo fidanzato, Fabio Fognini, ci sente da quell’orecchio? «Siiiiii. Stiamo bene insieme: ormai è più di u1i anno, alla faccia dei gufi. Fabio in campo ha sempre l’impulso che lo sovrasta, ma ora è più calmo (…)


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