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Reading: Djokovic-Federer, Roma si gode la finale più bella (Clerici). Djokovic, vittoria con polemica: “Questo Centrale è un pericolo” (Crivelli). Nadal ferito, “Ora Parigi mi aiuterà” (Grilli). Sharapova-Suarez Navarro, che sfida! (Stoppini).
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Rassegna stampa

Djokovic-Federer, Roma si gode la finale più bella (Clerici). Djokovic, vittoria con polemica: “Questo Centrale è un pericolo” (Crivelli). Nadal ferito, “Ora Parigi mi aiuterà” (Grilli). Sharapova-Suarez Navarro, che sfida! (Stoppini).

Last updated: 17/05/2015 10:31
By Alessia Gentile Published 17/05/2015
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15 Min Read

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Djokovic-Federer, Roma si gode la finale più bella (Gianni Clerici, La Repubblica).

Avrei voluto seguire la semifinale tra Federer e Wawrinka in territorio neutrale, cioè nella mia amata Svizzera italiana, magari addirittura a Lugano, dove si son disputati più di una volta i Campionati Internazionali, e de) cui Club mi onoro di esser socio. Roger è infatti nato a Basilea, Wawrinka a Losanna. Penso che il match sarebbe stato seguito a Lugano con imparzialità superiore a chi predilige il francese o il tedesco. Come credo di aver già scritto, dopo una approfondita ricerca in Vaticano, la prossima santificazione di Federer non lascia dubbi sulla sua infinita prevalenza, nei riguardi di Wawrinka, nello Stato della Chiesa. In un tennis club svizzero, la simpatia per il Divo sarebbe probabilmente inferiore, in seguito al suo patriottismo messo in dubbio da nove primi turni di Coppa Davis non disputati per ragioni dettate dal calendario o, secondo i più, dal denaro. Non voglio qui affermare che, come ai tempi della nostra Davis, fosse in pratica impossibile opporsi all’eroe di casa, e ad un sostegno sottile ma insieme massiccio. Devo però accennare ai dubbi sui rapporti umani tra due persone, una delle quali affrontava una sorta di divinità dalla quale era già stata sconfitta 15 volte, contro due successi che dovevano aver più sorpreso l’eterno perdente che l’abituale vincente. Ieri sera la partita è durata, in effetti, soltanto sei minuti, quelli iniziali vissuti dal vero Wawrinka. Il tre a zero, con tanto di break, deve aver non solo sorpreso, ma sconvolto il povero Stan, sino a lasciarlo incredulo, a domandarsi: “Ma vi par possibile? Contro Roger Federer?”. Da quell’istante è iniziata la vera partita tra il Divo Roger e un avversario che credeva in lui infinitamente più che in se stesso. Nel secondo set abbiamo addirittura assistito alla vicenda di un tennista al quale bastava rimandare la palla perché l’avversario la mancasse. Nel mio abituale cinismo sono arrivato, a un certo punto, a contare 19 punti contro 2 del povero Stan, terrorizzato quasi avesse intravvisto la Medusa. Simile luttuosa vicenda era stata preceduta da un match ambiguo. Anche a proposito di Nole Djokovic e David Ferrer, rimaneva una viva incertezza sulle caratteristiche odierne, se non addirittura umane, dei semifinalisti. Nole aveva sin qui vinto mostrandosi nella peggior forma sofferta quest’anno. A chi non lo conoscesse bene, i suoi match contro due peones, o gregari, abituale definizione di tipi quali Almagro ( n.60) o Bellucci (qualificato), sarebbero parsi vinti da un tennista sì lottatore, sì atleta, ma ben diverso dal Numero Uno del mondo, dal fenomeno quest’anno sconfitto un sola volta (da Federer a Dubai), dal terzo tennista insomma che potrebbe raggiungere il Grande Slam, dopo Budge e Laver. L’avversario, David Ferrer, era stato definito il primo dei secondi. Apparente contraddizione, ma in fondo etichetta tipica, già indossata in passato da infiniti involontari allenatori dei winners, tipi bravi in tutto, ma anche del tutto privi del colpo vincente, dell’ispirazione improvvisa che fa di un semiperdente un vincitore. Il match si era, infatti trascinato in apparente equilibrio sinché per due volte Ferrer si era offerto con insufficiente personalità, a 4-5 nel primo, fallendo la palla del 5 pari, e, da quattro pari nel secondo soffrendo una serie di 8 punti a 1.

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Djokovic, vittoria con polemica: “Questo Centrale è un pericolo” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport).

Come un cavallo di razza che avverte l’importanza della corsa e accelera divenendo intoccabile, ecco Novak Djokovic che d’un tratto ritorna a essere il “solito” Nole energetico, stimolato, iperconcentrato, che sfrutta le occasioni e poi chiude la porta. Robottino Ferrer ci prova, rema sempre due metri dietro la riga di fondo, prova ad opporsi con le solite gambe da podista, ma si arrende con onore, con un break per set e non senza aver provato a rimanere attaccato al match con la solita tigna. Nole, però, gli neutralizza le tre palle break che Ferru si procura nella partita e, quando si tratta di abbassare il sipario, mette tre prime pesantissime. Come ammetterà lui stesso, la miglior esibizione settimanale, il viatico più esaltante verso la 6^ finale e l’eventuale quaterna di successi a Roma: “Non ho mai perso il servizio contro un grande ribattitore, non ho avuto cali di concentrazione, non gli ho consentito di rientrare nel match. Se dovessi usare una parola per questa vittoria, sarebbe solidità”. Come di consueto, Nole si congeda dagli ottomila del Foro con la dedica siglata a pennarello sulla telecamera nel suo italiano personale («Come bella è questa Roma»), ma stavolta ha il fuoco dentro: “Su questo campo non si poteva giocare, troppo pericoloso”. Durante il match, più volte, il numero uno chiama gli addetti a sistemare la terra lungo la linea di fondo, ma quella con la superficie diventa una battaglia frontale: “Questo è un bellissimo torneo, perciò non vorrei parlare delle condizioni del campo, però l’anno scorso era preparato molto meglio e a questi livelli tutti i dettagli contano. So – prosegue – che ci hanno lavorato solo nelle ultime tre settimane, e sono troppo poche per un Masters 1000. Sono sicuro saranno più bravi l’anno prossimo, però adesso si formano buche sulle quali è facile inciampare e vedersi girare una caviglia”. Poca terra, il sole al mattino e un clima più umido al pomeriggio, tanto che a un certo punto Djokovic si fa lanciare un paio di scarpe nuove dal suo angolo: “Le condizioni sono cambiate velocemente, si scivolava di più, ho cambiato per avere più tenuta”. Novak non perde dal 28 febbraio, finale di Dubai contro Federer. Un cammino di grazia verso il sogno della conquista di Parigi, l’unico Slam che lo ha sempre respinto. E dove Nadal, incredibilmente, avrà una testa di serie al di fuori delle prime sei. Nole, che prima di tutto è un uomo di sport, applicherebbe per Rafa la clausola-Wimbledon: “Lì succede che giocatori più indietro in classifica vengano premiati con una testa di serie più alta per il loro valore sull’erba, credo che Nadal lo meriterebbe sulla terra, anche se dobbiamo rimetterci alle decisioni di ogni organizzatore”. Certo che le difficoltà del più grande di sempre sul rosso sembrano un cancello aperto verso la grande, ultima meta: “Ovunque sarà in tabellone, Rafa ha vinto così tanto a Parigi che continua ad essere favorito. Quanto a me, non mi importa trovarlo già nei quarti o in finale: in uno Slam, devi solo pensare a una partita per volta”. E la sua mente è già al Bois de Boulogne.

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Nadal ferito, “Ora Parigi mi aiuterà” (Massimo Grilli, Il Corriere dello Sport).

Tutte quelle rincorse, quei drittoni vincenti, il volto sempre più spigoloso, scavato da una dozzina d’anni di battaglie. Il Re della terra battuta è stanco, vulnerabile come non è mai stato: Riuscirà il Roland Garros a rivitalizzarlo per l’ennesima volta? “Eppure mi sento molto meglio rispetto a qualche tempo fa – ha ribattuto Rafa Nadal venerdì notte, dopo il quarto di finale perso contro Wawrinka – non sono stanco, sento di aver lottato bene anche se ho commesso qualche errore di troppo, e di non essere invece stato fortunato. Resto fiducioso riguardo al Roland Garros. Questo non vuol dire che lo vincerò, o che penso di vincerlo, significa solo che penso che giocherò bene e se gioco bene posso anche ottenere buoni risultati”. All’undicesima partecipazione al Foro Italico, solo per la seconda volta non è arrivato a giocare il match decisivo (7 vittorie e due finali perse il suo bottino) eppure Nadal è pronto ad abbassare la testa e a caricare ancora, come mille altre volte nella sua carriera. A Parigi si presenterà con la testa di serie numero 7, con la quasi certezza quindi di incontrare già nei quarti uno tra Djokovic, Federer, o Murray. “Al Roland Garros ho giocato spesso da grande favorito, ho vinto il torneo nove volte e non ho mai pensato di doverlo vincere 15. Stavolta non sarò il favorito numero 1, ma di fatto questo non cambia molto per me. E comunque non sarà certo la fine del mondo se non vincerò. Ora mi devo riposare qualche giorno poi volerò a Parigi, dove il campo centrale è molto grande e mi aiuterà, come mi aiuterà tornare a giocare tre set su cinque, cosa che favorisce i giocatori più forti. E poi lì non si gioca di notte. Storicamente a Roma non ho fortuna con gli orari, giocare di notte non aiuta il mio dritto e il mio lift Non mi ero nemmeno mai allenato di sera. I campi sono lenti e le palle pesanti per l’umidità, restano un po’ di più sulle corde e non prendono a sufficienza la rotazione”.

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Sharapova-Suarez Navarro, che sfida! (Davide Stoppini, La Gazzetta dello Sport).

Maria, Carla, Daria, Simona: di italiano c’erano solo i nomi in semifinale. La finale è tra le prime due: Sharapova contro Suarez Navarro, Russia contro Spagna. Non sarà la partita più attesa, ma è quella tecnicamente più logica per questi Internazionali. Perché lo dice la storia di questa stagione. Lo dice, soprattutto, una Sharapova tornata numero 2 del ranking: la Halep è alle spalle, non male in vista di Parigi. Ma per parlare francese c’è tempo. Roma è anche la sua terra, in fondo l’aveva detto a inizio settimana: “Sento che posso vincere il torneo, ho buone sensazioni”. Non dice sempre così. Forse Maria ha trovato ancora una volta il modo di mostrare che la terra è una superficie che la stimola. Una vittoria oggi vorrebbe dire 11^ titolo in carriera sul rosso, numero che ora può vantare solo Serena Williams. Non è stato semplice arrivare in finale per Maria: ha dovuto domare Daria Gavrilova, una che forse venerdì sera in camera aveva visto Rocky IV. Perché stava venendo fuori un po’ la storia di Ivan Drago e Sylvester Stallone, con il Centrale a fare il tifo inizialmente per Maria, prima di cambiare sponda e cominciare a urlare «Daria, Daria». L’avessero mai fatto: Sharapova a quel punto ha dato ancora di più le spalle al campo e ha trovato la forza di reagire, battendo un’avversaria che già a marzo a Miami l’aveva battuta. Alla faccia di una terra del Centrale che non va giù neppure a lei, non solo a Djokovic: “Non è una storia di oggi, è da anni che il campo qui è un problema”, aggiunge Maria. Un problema sarà pure affrontare oggi una come Carla Suarez Navarro, uscita vincitrice dalla battaglia con Simona Halep, a colpi di break (9 solo nel terzo set) e di winners. E non sorprenda, perché Carla è una delle tenniste più in forma del 2015, anno nel quale ha raggiunto almeno i quarti di finale in 10 degli 11 tornei disputati. E che ieri, contro la romena, ha vinto la 31^ partita dell’anno. Ha migliorato il suo best ranking: ora è numero 8, vincendo oggi potrebbe diventare 7. E nella classifica Race è al numero 4. Occhio, perché c’è pure il lato negativo: è alla terza finale dell’anno, le altre due le ha perse. Con Maria Sharapova è in svantaggio 3-1 nei precedenti. Ma sulla terra non si è mai giocato. E qui punta tutte le sue fiches la spagnola: “Da quando ho cambiato racchetta il mio gioco è diventato più aggressivo, del resto per affrontare le top ten non posso fare altrimenti. Ma il segreto è nella testa, è lì che sono migliorata. Maria? Sa fare tutto e gioca bene nei momenti cruciali. Però siamo sulla terra, ho fiducia”. Chissà, magari qualche consiglio arriverà pure da Francesca Schiavone, con la quale condivide quello straordinario rovescio a una mano, ormai una rarità tra le donne: “Con Francesca mi sono allenata a lungo, è un’amica, oltre che un punto di riferimento”.


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