Personaggi
Il tifoso che visse due volte

TENNIS – La transizione dalle sfide Sampras-Agassi al presente dei Fab Four visto con gli occhi del tifoso. L’appassionato da poltrona e i due tempi della vita tennistica di Roger Federer.
Si racconta che all’inizio del terzo millennio c’era un signore di circa 30 anni che – stanco di infinite abbuffate di Borg-McEnroe, Edberg-Becker-Lendl, Sampras-Agassi – stava stravaccato in poltrona predisponendosi all’invecchiamento naturale. Aveva l’atteggiamento crepuscolare di chi pensa di avere già visto tutto quello che c’era da vedere, e aveva davanti agli occhi un esagitato australiano col berretto girato dall’altra parte e un argentino con poca voglia di allenarsi. I due giocavano, pensate un po’: nel sacro tempio, una finale con un pathos solo di poco inferiore a quello di baciare tua sorella.
‘anno successivo non andò tanto meglio. Certo, non c’era più quell’esagitato; certo, Sampras dopo lo scempio di luglio aveva chiuso la carriera nel modo migliore possibile; certo, quel ragazzotto svizzero non sembrava l’ultimo arrivato; però la presenza di un bombardiere che aveva avuto milioni di problemi fisici, addirittura in finale, non sembrava promettere granché. E poi questo svizzero l’anno prima era uscito al primo turno e a Parigi era stato battuto da Horna, figuriamoci. Però in fondo gioca bene, colpisce pulito, sembra non fare sforzi. Vince lo svizzero e il nostro tifoso è contento. Ah, sospira, c’è ancora spazio per questi panda, meno male. Non durerà, pensa, adesso arriverà sparatutto e buona notte.
Ma quando l’anno successivo lo svizzero vince prima a Melbourne e poi di nuovo a Wimbledon il nostro 35enne (il tempo passa anche per lui) comincia a scoprirsi un po’ più interessato. Certo – riflette – non avrei mai creduto che riuscisse a vincere 3 slam. Incuriosito finisce col dare un’occhiata ai risultati e si accorge che lo svizzero fino a lì ha perso la miseria di 4 partite. Comincia ad inarcare il sopracciglio. Prova a vedere cosa succede ai successivi US open. Vinti. Guarda il Master. Sempre quello svizzero. Che – incredibile – non solo vince ma comincia ad assomigliare a qualcuno che non crede di aver mai conosciuto. Mc? Si forse ma quella solidità dal fondo… Borg? Ma no, altro tocco questo svizzero. Lendl? Si forse quel dritto… ma Lendl non accarezzava certo la pallina in quel modo. Edberg forse? Troppo leggerino.
Il tempo passa e lo svizzero non perde più. Tra il 2005 e il 2006 su 173 ne vince 164. Sommate al 2004 sono 232 su 247. Il tifoso nel frattempo ha capito chi gli ricorda: nessuno. E’ come quelli di prima ma è un altro, non è Borg o Mc o Sampras: è Federer. Il tifoso non è più crepuscolare: non solo non pensa più a Borg&Mc o a Sampras&Agassi ma il tennis è di nuovo lo sport più bello del mondo. Scopre che da tempo non va a mangiare una pizza l’ultima settimana di agosto o la prima di settembre, da tempo le ultime due settimane di gennaio dorme la mattina presto, da tempo aspetta metà luglio per abbronzarsi. Ed ha sempre un sorriso beato, legge che a qualcuno non piace Federer e si dice che figurarsi, c’è gente che dice che la Cappella Sistina si ok, però questo Michelangelo…. e gli sale alle labbra un mezzo sorriso di compatimento.
Il tempo passa e Federer continua a volteggiare sui campi senza che nessuno sia in grado di procurargli qualche problema. Al tifoso da un certo fastidio Nadal, ma lo spagnolo in fondo riesce a giocare i mesi primaverili, compete bene a giugno ma poi da luglio ad aprile non se ne vede traccia, non arriva neanche alle semifinali. E’ una puntura di insetto, fastidiosa ma niente di più. Il 2007 comincia esattamente come gli altri anni e come gli altri anni finisce. In mezzo però Federer lascia per strada qualcosa. Perde due volte con Canas, si lascia rimontare da Djokovic in Canada, soprattutto si limita a vincere, non stravince più. Il tifoso capisce, lo ha visto altre volte, il grande campione cominciare leggermente a peggiorare.
E a gennaio del 2008, il tifoso sa che la sconfitta contro Djokovic in semifinale non è un incidente di percorso. A Federer gli incidenti di percorso non capitavano. E’ invece lo scricchiolio, il cartello in cui c’è affisso “sta per finire”; col senno di poi è la fine del regno di Federer I e della tranquillità del suo tifoso. Che limitava le sofferenze alla terra rossa parigina e poi volava insieme al suo eroe sul resto del mondo, da Melbourne a Londra, da New York a Shanghai. Da quel gennaio del 2008, Federer diventa un normale fuoriclasse. Ogni tanto perde, spesso in modo bruciante, ogni tanto vince. Ma vince soffrendo, non è più in grado di disintegrare nessuno. Muta persino il suo atteggiamento, e insieme a lui, muta il suo tifoso. Niente più gesti di compatimento, niente più partite tranquille davanti alla Tv, niente pronostici facili.
Ma il tifoso che ha visto Borg, McEnroe, Sampras, Edberg, è abituato anche a questo e si predispone allo struggente tramonto. Chissà magari un ultimo giro di giostra, come quello di Edberg, col fuoriclasse inseguito da standin ovation e parite che gli fanno riconsiderare la decisione di ritirarsi. E prima, purtroppo, l’impietosa discesa in classifica, niente più Wimbledon o Master, chissà magari un New York, contro quello che verrà dopo di lui. Si torna a mangiare qualche pizza, a prendere il sole un po’ prima. A metà 2009 il sussulto. Federer non solo vince, ma solo un’innata sufficienza gli fa buttare alle ortiche il Roger Slam. Il suo tifoso neanche se ne accorge, è contento. Però lo sa che non c’era Nadal, che Djokovic si è perso tra le braccia di Todd Martin, che Murray figurarsi se vincerà mai qualcosa. E’ contento, ma sa che è finita, non discute. Vede passare gli slam tranquillo, si inventa che in fondo basta il gran tennis, i risultati pazienza, in fondo anche il grande Mc ha smesso di vincere nel 1984, che delitto sarebbe stato non vederlo gli anni successivi. Le partite con Djokovic e Nadal che un tempo lo avrebbero visto vincitore adesso non sono le stesse, si parte sempre da sfavoriti. E se è vero che c’è una soddisfazione nuova a sovvertire il pronostico è vero che solo tre anni fa non ci sarebbe stata storia.
Ma, al chiuso dei palazzetti, in un autunno che sembrava far cadere le ultime foglie del gioco di quello che per il tifoso era il Re, Federer vinceva e vinceva. Il tifoso si fa cogliere dall’orgoglio: è sempre il più grande. Dimentica crepuscoli e tramonti e parte per la battaglia: si lotta per tornare al vertice, ci tornerà. Adesso si gioca con la guardia abbassata, improvvisamente i colpi non si lesinano più. Per il tifoso comincia una nuova vita e lancia in resta si stravince il primo Bercy e l’ennesimo Master, poi la scoppola a Melbourne, ma la lezione a Nadal in America e a tutti quanti gli altri sulla terra blu. Il solito Parigi e infine, l’apoteosi. Il tifoso guarda i sacri prati speranzoso e incattivito, non c’è più età non c’è più passato. Ha il suo giocatore e lo vede favorito tra i favoriti, Se vince, poche storie, è il numero 1. E quando vince il tifoso impazzisce, pensa che forse erano prematuri i discorsi sull’età, sulle corse non più belle come una volta, sul dritto che non spacca in due l’avversario. Non conta più niente quello che si era pensato l’anno scorso. Alle olimpiadi ci si danna per la sconfitta perché il tifoso adesso non vede più il giocatore in declino, è rinato con lui, e lui è il favorito, quindi la sconfitta in finale brucia. Travolge Djokovic a Cincinnati, chi è il numero 1 del mondo oggi?
Tanto aristocratico fu il primo dominio tanto sembra popolare e infuocato il secondo. Adesso il tifoso vive i suoi ultimi momenti e “in questi ultimi momenti amerà Federer più di quanto l’abbia mai amato… Non solo Federer, ma i suoi rivali e tutto il tennis. Tutto ciò che vuole è la risposta che noi tutti vogliamo: quanto ci resta ancora? Non possiamo far altro che restare lì e guardarlo finire di giocare”.
Flash
Per Nadal il compleanno più amaro, lontano da Parigi
Il campionissimo spagnolo, fermo per un infortunio all’ileopsoas che mette a rischio la sua carriera, non è abituato a festeggiare lontano da Parigi

A partire dal 2022 la giornata nazionale del tennis in Spagna si festeggia il 3 giugno, non una data casuale, ma il giorno del compleanno di Rafael Nadal.
A onor del vero Rafa non ha festeggiato molti compleanni in terra spagnolo poiché la data della sua nascita cade proprio a cavallo delle due settimane in cui si gioca il Roland Garros. Destino, forse. La sua prima partecipazione allo slam francese risale al 2005 quando, proprio nel giorno del suo diciannovesimo compleanno, si trovò a giocare e vincere la semifinale contro colui che sarebbe diventato poi il suo più grande rivale, e amico, Roger Federer. Fatalità, forse. Due giorni più tardi Rafa vincerà per la prima volta il Roland Garros, sconfiggendo Mariano Puerta.
Da quel giugno 2005 solamente in tre occasioni Nadal non era a Parigi a festeggiare: nel 2009 quando perse negli ottavi da Soderling, nel 2016 quando dovette ritirarsi per un problema al polso e nel 2020 quando non si giocò il torneo causa pandemia. E da quel giugno 2005 è inutile ricordare che per ben altre 13 volte, pochi giorni dopo il suo compleanno, Rafa ha alzato al cielo il trofeo destinato al vincitore, sbriciolando ogni statistica e ogni record Slam, ante Nadal.
A pochi giorni dall’inizio del Roland Garros 2023 Rafa ha annunciato che questa edizione non l’avrebbe visto scendere in campo e ha aggiunto che il prossimo anno sarà il suo ultimo anno nel circuito. Ciò significa che il prossimo 3 giugno, infortuni e avversari permettendo, sarà l’ultima volta in cui, nel giorno del suo compleanno, Nadal potrà scendere sulla terra rossa del Philippe Chatrier, mentre tutto il pubblico intonerà per lui “Joyeux Anniversaire”. I francesi, evento raro, l’hanno adottato come fosse un eroe di casa. Una statua campeggia sotto il centrale di Parigi e lì resterà a memoria dell’incredibile impresa sportiva compiuta da Rafa negli anni. Egli ha conquistato l’amore del pubblico non solamente a suon di vittorie, ma anche dimostrando una sportività e un’umiltà fuori dal comune. Il famoso “merci” ai ragazzi che gli passano l’asciugamano o ai raccattapalle, la classe nel non avere mai, nemmeno nei momenti più difficili, distrutto una racchetta, il suo sorriso e la sua disponibilità hanno conquistato il cuore di tutti gli appassionati, anche di coloro che per ragioni sportive hanno poi tifato per un suo rivale. L’immagine di Rafa e Roger che piangono tenendosi per mano nel giorno dell’addio di Federer rimarrà a suggello della fine di un’epoca, scritta da due campioni immensi in campo, e fuori. Ed essere campioni fuori dal campo resta sicuramente la sfida più difficile. Si dice che i grandi sportivi non si ritirano mai davvero. Per questo oggi, mentre Rafa festeggia a Maiorca con la sua splendida famiglia, a Parigi lui c’è e ci sarà finché si giocherà il Roland Garros. Le sue imprese verranno raccontate ai nuovi appassionati da coloro che le hanno vissute e saranno tramandate come una leggenda negli anni. Perché è così che accade ai campioni.
Chi entrando nello stadio del Santos può non pensare a Pelè? Chi sedendosi sugli spalti di quello che era il San Paolo non si lascia sopraffare dalla nostalgia per le magie di Maradona (ora lo stadio, peraltro, si chiama come lui)? Chi varcando la soglia di Wimbledon non vede Roger danzare sull’erba? Chi nello United Center di Chicago non immagina Michael Jordan volare a canestro? Chi a Misano o al Mugello non si aspetta di vedere un sorpasso impossibile di Valentino Rossi? E così chiunque entri sul Philippe Chatrier avrà sempre l’impressione di poter vedere da un momento all’altro, Nadal correre e combattere per chiudere con un lungo linea impensabile uno scambio che sembrava perso.
Buon trentasettesimo compleanno, Rafa. Parigi ti aspetta per festeggiare con te il prossimo anno.
evidenza
Il Roland Garros indifeso: Nadal e gli altri campioni in carica che hanno lasciato orfano il torneo
Rafa Nadal è l’ultimo di una (breve) lista di vincitori dell’Open di Francia che non hanno giocato a Parigi l’anno successivo. Chi sono gli altri e perché non c’erano?

“Dipende se Rafa giocherà” aveva detto a Roma fa Novak Djokovic, una risposta che molto probabilmente valeva per tutti i tennisti alla domanda su chi sarebbe stato il favorito a Parigi. Quel “se giocherà” si è rivelato infaustamente premonitore: non sarà Rafael Nadal ad alzare la Coppa dei Moschettieri nel 2023. Nella conferenza stampa di giovedì 18 maggio, un tennista di trentasei anni, quasi trentasette, e dall’aspetto sereno ha affranto gran parte del mondo tennistico spiegando che il proprio corpo reclama una lunga pausa. La più immediata conseguenza sportiva di ciò è l’impossibilità di difendere il titolo del Roland Garros – il quattordicesimo messo in bacheca.
Nadal non aveva mai mancato l’appuntamento parigino dal suo esordio (con successo finale) nel 2005, ma aveva dovuto rinunciarvi l’anno precedente a causa di una frattura da stress alla caviglia sinistra. Quella del 2023 è dunque la sua prima assenza come campione in carica. Ci è allora venuta la curiosità di sapere chi altri non si fosse presentato l’anno successivo al trionfo. Curiosità che evidentemente è venuta anche a qualcun altro che ringraziamo per la rivelazione. Vediamo quindi chi sono i tennisti (maschi) dell’Era Open a non essersi presentati per la difesa del titolo, con l’auspicio (ormai la certezza, assicura lei) di non doverne farne uno anche per le ragazze.
Il viaggio parte dal maggio 1970, due anni dopo l’inizio dell’Era Open, il momento di svolta in cui i tennisti professionisti furono ammessi a giocare i tornei del Grande Slam e gli altri eventi organizzati o riconosciuti dal’ILTF fino ad allora riservati agli amatori. L’ILFT era la federazione internazionale che ancora si beava di Lawn nel nome e il Roland Garros del 1968 fu il primo Slam “aperto”. Il vincitore a Parigi nel 1969 e dunque primo della lista dei campioni uscenti-assenti è Rod Laver, il mancino australiano che nell’occasione si prese la rivincita della finale dell’anno precedente sul connazionale Ken Rosewall.
Laver, che in quella stagione vinse il Grande Slam, era sotto contratto con la NTL (National Tennis Leagues), un tour professionistico maschile fondato due anni prima. Esisteva anche un altro tour pro, il World Championship Tennis, che insieme al Grand Prix è stato il predecessore dell’ATP. Nel 1970, il WCT acquisì la NTL e con essa i contratti dei suoi giocatori. Pare quindi che, almeno in parte, proprio per via del proprio contratto Rod non partecipò a quel Roland Garros, sebbene giocò poi a Wimbledon e a Forest Hills (US Open), due degli altri eventi sotto l’egida dell’ILTF. Nel dicembre di quello stesso anno, WCT e ILTF raggiunsero un accordo, mentre quello del 1969 rimase l’ultimo Open di Francia disputato da Laver. Il suo successore a Parigi fu così il ceco Jan Kodeš, vincitore in finale su quello Željko Franulović che avrebbe diretto il torneo di Monte Carlo per quasi due decadi.
Rimaniamo nel Principato volando però al 1982 e al secondo nome della lista, probabilmente quello facile da indovinare. Nel torneo monegasco, Bjorn Borg, numero 4 del seeding, si arrende a Yannick Noah, dopo aver battuto in tre set Adriano Panatta al secondo turno. Fin qua, nulla di strano. Guardando con attenzione, tuttavia, di fianco a quel “4” che precede il nome del sei volte campione a Parigi c’è la Q di qualificato. Perché Borg rientrava da un’assenza dal circuito di cinque mesi, la più lunga fino a quel momento, ma soprattutto aveva deciso di disputare solo sette eventi del Grand Prix invece dei dieci richiesti. Sul New York Times dell’epoca, il suo coach Lennart Bergelin spiega che Borg ha deciso di non giocare il Roland Garros a causa della regola che lo obbligherebbe a passare per le qualificazioni. “Non abbiamo ancora preso una decisione riguardo a Wimbledon” aveva aggiunto. Quello di Monte Carlo era il primo torneo a cui partecipava in stagione. Sarebbe rimasto l’unico. Senza Bjorn a difendere il titolo (il quarto consecutivo), la coppa restò comunque in mani svedesi, raccolta da un diciassettenne Mats Wilander che batté Guillermo Vilas in quattro set.
Nel 1990 non era più un fattore, Wilander, mentre il numero 1 del mondo Ivan Lendl si chiamò fuori dai giochi per prepararsi sull’erba con obiettivo Wimbledon. Fuori subito le prime due teste di serie Edberg e Becker per mano di due teenager, rispettivamente Sergi Bruguera e Goran Ivanisevic, in finale – la prima slam per entrambi – arrivarono i secondi favoriti del seeding: ebbe la meglio l’underdog, il trentenne Andres Gomez sul ventenne Andre Agassi. Il mancino ecuadoriano perse però il suo feeling con la palla nei mesi successivi, chiudendo l’anno con 12 sconfitte consecutive. Nel 1991, a Madrid, vinse il suo terzo match in stagione, ma si infortunò alla coscia al turno successivo e fu quella la motivazione per cui rinunciò al Roland Garros. Tuttavia, secondo il suo ex coach Colon Nuñez fu il mediocre stato di forma di Andres la ragione principale che portò alla decisione del forfait. “L’infortunio è stata l’ultima goccia” le parole di Nuñez riportate dal Tampa Bay Times. “Non ha retto alla pressione come avrebbe potuto. Ora sta lavorando con un preparatore atletico, cercando di tornare in forma. Di sicuro possiede ancora il talento”. Agassi tornò in finale, ma fu nuovamente sconfitto, quella volta da Jim Courier.
1970, 1982 e 1991. Non succedeva da trentadue anni che il campione in carica del Roland Garros non tornasse a difendere il titolo. Allora, magari non da così tanto ma certo dopo parecchio tempo, l’imminente Open di Francia 2023 sarà un torneo… aperto.
E quello del 2024? “Dipende…”.
ATP
Struff, Marozsan e adesso anche Hanfmann: la rivoluzione dei qualificati è in atto
Grazie a Yannick Hanfmann, quello di Roma è diventato il quarto Masters 1000 consecutivo con almeno un giocatore proveniente dalle qualificazioni ai quarti di finale. Come spiegare questo fenomeno?

Da adesso in avanti potrebbe essere una buona idea prestare molta più attenzione alle qualificazioni dei grandi tornei del circuito. Se non altro per poter dire con fierezza e senza falsa modestia agli amici “ve l’avevo detto” … Ve l’avevo detto che quello Struff, quell’Altmaier, quell’Hanfmann, o chissà chi nelle prossime settimane, sta giocando bene e che avrebbe potuto essere la sorpresa del torneo. Certo, non si tratta di nomi sconosciuti a chi segue il tennis con passione e continuità, ma da qui a pronosticarli nei quarti di finale – o anche più avanti – di un Masters 1000 ce ne passa. Bisogna avere occhio. La presenza di veri e propri outsider nelle fasi finali dei ‘mille’ sta però diventando una costante e allora lo scouting nelle qualificazioni è doveroso.
La stagione dei qualificati e dei lucky loser
Madrid è stato il torneo di Karatsev e soprattutto di Struff, arrivato a un set dal vincere il primo titolo ATP della carriera in uno degli eventi più importanti dell’anno e per di più da lucky loser (in questo caso ci voleva molto più che semplice occhio per prevedere un risultato del genere dopo aver visto le qualificazioni: sì, serviva proprio quello a cui state pensando). Presi da Aslan e Jan-Lennard, in pochi si sono accorti anche di un altro che ha raggiunto un risultato inimmaginabile: Daniel Altmaier, 4 vittorie in carriera nei main draw dei Masters 1000 e degli Slam prima di Madrid, anche lui lucky loser alla Caja Magica e spintosi fino ai quarti dopo aver battuto, tra gli altri, anche un certo Yannick Hanfmann – manco a dirlo, proveniente dalle qualificazioni pure lui.
Karatsev e Struff hanno esagerato così tanto in Spagna che hanno deciso di dare forfait a Roma, dove sarebbero dovuti ripartire dal tabellone cadetto. Daniel e soprattutto Yannick, invece, non avevano ancora finito il loro lavoro. Altmaier si è fermato al secondo turno dopo una comunque ottima prestazione contro Tiafoe, mentre Hanfmann, numero 101 del mondo e best ranking di 92, sta provando a replicare il percorso seguito da Struff.
Il successo su Rublev – il terzo su un top 10 in carriera, il secondo a Roma dopo quello su Fritz – lo ha portato per la prima volta nei quarti di finale di un 1000, esattamente come era stato a Madrid per Karatsev e Altmaier, per Struff a Montecarlo e anche per Eubanks a Miami: quattro 1000 consecutivi con almeno un giocatore nei quarti di finale reduce dalle qualificazioni e oltretutto mai arrivato prima a un traguardo simile. Impossibile poi non aggiungere a questi nomi quello di Marozsan, capace di battere Alcaraz in quella che rimarrà l’impresa del torneo e una delle più grandi sorprese di tutta la stagione.
Due possibili spiegazioni
IL NUOVO FORMAT DEI MILLE – Le differenze tra i giocatori citati sono tante. Quello che più merita un discorso a parte è sicuramente Karatsev (che potete trovare qui), in quanto già protagonista di un grande exploit nel 2021. Tutti, però, hanno potuto raggiungere un risultato simile anche grazie al nuovo formato di alcuni Masters 1000. Essendo questi spalmati su due settimane, i giocatori impegnati nelle qualificazioni hanno tutti un giorno di riposo o prima dell’esordio nel main draw o prima dell’eventuale secondo turno.
In questo modo il bilancio tra i pro e i contro di essere un qualificato assume tutt’altro valore: resta infatti il vantaggio di conoscere già le condizioni di gioco e di aver acquisito fiducia dai match vinti nel tabellone cadetto, mentre l’altro piatto della bilancia, rappresentato dalla stanchezza, diventa molto meno pesante. Con il format tradizionale, infatti, per raggiungere i quarti i qualificati possono essere costretti a giocare anche cinque partite in cinque giorni: con la nuova formula questa possibilità viene cancellata.
IL LIVELLO DEL CIRCUITO CHALLENGER – E poi c’è un altro elemento che riguarda fondamentalmente tutti i giocatori in questione: il livello del circuito Challenger, con la riforma voluta da Gaudenzi, si è alzato in maniera evidente e più e meno giovani ne hanno potuto beneficiare. Tra Hanfmann, Struff, Eubanks e Altmaier il più piccolo è quest’ultimo con 24 anni. Lo stesso Marozsan ne ha 23: nessuno, insomma, è il predestinato che inizia a vincere sin da subito e che scala la classifica in un amen. Tutti sono cresciuti sfruttando la palestra sempre più allenante e competitiva (grazie all’aumento dei montepremi e a una nuova categoria di tornei, i “175“) dei Challenger e di questo insieme di giocatori fanno parte anche altri nomi interessanti come quelli di Shevchenko, Borges e anche del nostro Arnaldi.
L’ultimo esempio: Yannick Hanfmann
Quasi nascosto da altre grandi sorprese (di Alcaraz si è già detto, ma anche l’eliminazione di Sinner non era attesa), a Roma Hanfmann ha già vinto 6 match tra qualificazioni e tabellone principale. L’anno scorso Yannick aveva giocato solamente in 7 main draw del circuito (un numero già eguagliato in questa stagione), raggiungendo come miglior risultato la semifinale a Kitzbuhel e con un bilancio complessivo di 7 vittorie e altrettante sconfitte. Il suo record in questo 2023 è al momento sul 12-6.
La svolta? Forse i risultati nei Challenger di fine 2022: finale a Rio de Janeiro, quarti a Bergamo e semifinale a Helsinki. Di sicuro qualcosa è cambiato e lo ammette lui stesso: “È una sensazione fantastica scendere in campo contro un giocatore come Rublev e non percepire più paura. Prima forse la sentivo, pensavo ‘Wow, ok, non so come posso giocare con lui’, ma ora so che posso battere questi giocatori. Sono abbastanza esperto per capire cosa posso fare in campo, soprattutto sulla terra battuta, e mi sento pericoloso contro chiunque”.
Per imitare in tutto e per tutto quanto fatto da Struff a Madrid, Hanfmann dovrà superare ancora un paio di ostacoli piuttosto grossi (Medvedev e poi eventualmente Tsitsipas o Coric). Del resto i punti in comune tra i due sono tanti: tedeschi, quasi coetanei (del ’91 Hanfmann, del ’90 Struff), caratteristiche di gioco simili e sintetizzabili nella potenza del dritto e del servizio, nessun torneo ATP conquistato, carriere discrete e passate prevalentemente nell’ombra di Zverev.
Beh, lunedì prossimo Sasha perderà il titolo di numero 1 di Germania mettendo fine a un primato che è stato sostanzialmente indiscusso per ben sette anni. E a prendere il suo posto sarà con tutta probabilità proprio Struff. A meno che Hanfmann non porti in fondo quello che per lui è già il torneo della vita vincendolo.