Alla ricerca della vera grandezza: la classe dell'automobilismo

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Alla ricerca della vera grandezza: la classe dell’automobilismo

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NON SOLO TENNIS – Terza puntata dedicata all’approfondimento sul G.O.A.T. Si parlerà di automobilismo, partendo da Senna fino ad arrivare a Schumi, con dei tratti comuni che caratterizzano i campioni del mestiere. Prima puntata – Seconda puntata: l’atletica, la regina delle Olimpiadi

“Si certo, bravo è bravo. Ma non potrà mai emozionarmi come Senna”.

Qualunque sia il soggetto in questione ad essere “bravo”, questa è una frase ricorrente ripetuta ad ogni dibattito da ogni buon “Senniano”, l’equivalente motoristico dal federasta e del nadaliota. Se nell’atletica avevamo un parterre di grandi, qui per la massa (non Felipe, s’intende) ce n’è uno solo: Ayrton. Ispirazione per canzoni di Lucio Dalla, biopic vari, statue in tutto il Mondo. Se proprio si vuol pensare a qualcuno che gli si possa vagamente accostare per grandezza occorre risalire all’automobilismo pioneristico, quello dei Fangio e dei Nuvolari, fidandosi delle cronache dell’epoca e delle testimonianze dei nonni, che comunque al massimo sentivano le telecronache alla radio.

Facendo un piccolo ex-cursus, un bonus per la grandezza è dato dall’appartenere ad epoche lontane delle quali esistono poche testimonianze. Una specie di antropologica elevazione inversamente proporzionale alla quantità di fonti disponibili su una data persona. Opinione del sottoscritto, come detto nel paragrafo iniziale, è che in passato fosse invece più facile essere dominatori in quasi tutti gli sport, a causa di una minore concorrenza. Ciononostante su tutti i forum sportivi è un fiorire di “Vorrei vedere Federer con la racchetta di Gonzales”, “Wiggins con la bici di Coppi prenderebbe 15 secondi al chilometro”, “Chissà come se la caverebbe la Idem con la canoa degli Inuit”, “Ah, quelli di Zeno Colò, quelli si erano tempi in cui lo sci era sci, mica tutte queste sciancrature…” come se anche le antiche glorie non usassero i miglior ritrovati tecnologici del loro periodo. Chiuso ex-cursus.

Senna, dicevamo, quanto a grandezza (a livello popolare, beninteso) sta ben avanti a piloti che hanno vinto molto più di lui. Il più vincente di tutti, come molti sapranno, è Michael Schumacher: 7 titoli mondiali e un indizio che fa una prova: l’aver portato a dominare due scuderie (Benetton e Ferrari) che prima e dopo di lui han conosciuto tempi bui, spesso infliggendo distacchi pesanti ai compagni di squadra. Come Nadal tallona Federer, Vettel pare in grado di battere Schumacher. Ma come Schumacher è da molti stato considerato minore di Senna nonostante abbia vinto più del doppio, anche oggi in molti (forse per sciovinismo ferraristico) considerano Alonso migliore o almeno pari a Vettel.

Senza entrare nel merito di chi abbia ragione, da dove deriva questa automobilistica passione per i perdenti (o “meno vincenti”, se così vogliamo definirli)? Nel caso di Senna, ammetto che mi è difficile spiegarlo: non ha molte di quelle caratteristiche che di solito rendono un atleta venerabile. Non è di umili origini, anzi: la sua famiglia è sempre stata benestante; in carriera si è rivelato diverse volte scorretto in pista (in un’epoca in cui molti lo erano, ma non è una scusante) e agitato fuori (celebri i duri confronti con un giovane Schumacher e il pugno a Irvine) e tutte le sue vittorie principali le ha conseguite guidando la macchina migliore, la stessa cosa che si imputa comunemente a Vettel come un grave malus.

In molti tirano in ballo il talento dell’asso brasiliano. Ora, so di attirarmi le ire di molti appassionati, ma d’altro canto ho sempre sognato di battere il record di commenti per un articolo: io, da profano, non capisco come si possa vedere dalla tv o dagli spalti del talento nel guidare una macchina di F1. Sicuramente lo vedo nel motociclismo, e ancor di più nel rally. Nella Formula 1 e in tutte le gare su pista, non credo esista un modo più “bello, soave, appagante per l’occhio, esaltante” di guidare una macchina rispetto ad un altro.

Guardando una partita di tennis, è chiaro anche a chi non ha mai visto una racchetta, che Federer e Nadal abbiano due stili diversi, con una loro estetica che li rende tifabili appunto anche per il loro stile di gioco. Nella formula 1 invece questo non è visibile. Ci vuole del talento sicuramente, io non potrei mai andare a oltre 300 kmh, ma ciò non si ripercuote in uno stile di guida che salta all’occhio. Il più grande talento di un pilota è a mio avviso la freddezza: saper gestire quando si ha la macchina più forte e non staccare il piede dall’accelleratore fino all’ultimo.

Come controprova, guardate qualche filmato su Youtube dei duelli fra Senna e Prost, o Mansell e Patrese, o Vettel e Webber, cercando di capire chi è l’uno e chi l’altro senza guardare i numeri e il casco. Sotto questo aspetto, Senna aveva un talento pari a molti suoi contemporanei, ma non superiore. L’unica grande manifestazione di talento, intesa come la si intende di solito, quindi come genialità unita a padronanza tecnica, testimoniata in anni di Gp, me la fornì Hakkinen con questa incredibile intuizione.

I punti fondamentali della grandezza di Senna sono quindi da ricercare più che altro fuori dalla pista. Ne possiamo individuare tre: sul gradino più basso del podio, potrà sembrare una battuta, viene da una Nazione “simpatica”. Ci sono alcuni paesi che si attirano notoriamente le simpatie dei supporters, il Brasile è uno di questi. Ben pochi odieranno un atleta “perché è brasiliano”, cosa che invece può succedere con altri Paesi del Mondo. Per fare un paragone tennistico, numerosi su questo forum sono gli attacchi alla “boriosa neutralità svizzera” di Federer o alle “insopportabili esultanze spagnole” di Nadal, ma suonerebbe ridanciana una critica all’ “odioso stile brasiliano di Kuerten”.

Credo di poter dire che anche l’essere giamaicano, sul passaporto ma anche nell’animo, di Bolt, influisca in qualche modo, dato che i Caraibi e le nazioni piccole in genere sono sempre prese con simpatia dai supporters. Ma ciò da solo non basta, era brasiliano anche Piquet (anche lui 3 titoli mondiali in un periodo che si interseca con quello di Senna) e nessuno lo considera altrettanto grande.

Al secondo posto, il suo aspetto munifico. Come molti tennisti di alto livello, ha donato molto in beneficenza e istituito una sua fondazione umanitaria; ciò, ma non solo, ha fatto sì che molte sue frasi, estrapolate da conferenze stampa, divenissero pubblici aforismi di popolarità globale che trascendeva il mondo dello sport. Oltre a questo, lo ha portato a interlacciarsi con grandi personalità dell’epoca, dal Principe Alberto a Lady Diana, dimostrando si saper valere carismaticamente la ribalta. Al primo posto però, inevitabilmente, nella mitizzazione di Senna ha ruolo la sua morte.

Il capitolo su quanto la morte influisca sulla mitizzazione di uno sportivo (o di chiunque in generale) è un argomento delicato, e analizzandolo in modo logico si rischia di passare per cinici. Spesso si possono sentire, o leggere su forum, commenti come “quello è così famoso solo perché è morto”. Tacciati di crudeltà, spesso non hanno tutti i torti. Un esempio secondo me lampante, al di fuori del mondo sportivo, è il confronto fra Marylin Monroe ed Elizabeth Taylor. Entrambe vere icone di pari livello mediatico nella loro gioventù, la prima morì appena 36enne divenendo un mito, l’altra ha continuato la carriera lasciandoci nel 2012 e sarà da tutti ricordata come una grande attrice, ma non certo ai livelli di popolarità di Marylin.

Qualcosa di simile accade anche nello Sport. Eventi della vita che portano il tifoso, giustamente, a simpatizzare per l’uomo, finiscono per riflettersi anche sull’atleta, con un meccanismo tanto illogico quanto in realtà spontaneo. L’automobilismo è pieno di questi esempi. Basti pensare ad un altro comunemente ritenuto un grandissimo di questo sport, Gilles Villeneuve: zero titoli mondiali e appena sei vittorie in carriera (Schumacher, per fare un paragone, ne ha ottenute 91). Eppure è nel gotha di questo sport, contrariamente a suo figlio Jacques, che un mondiale lo ha vinto. Molti considerano Villeneuve un grande per il suo stile di guida: memorabile è il suo duello per il secondo posto del GP di Francia con René Arnoux. Eppure nessuno inserirebbe Arnoux fra i più grandi di sempre, nonostante abbia dimostrato in quell’occasione talento pari a Villeneuve, vincendo in carriera anche un GP in più del canadese.

Possiamo dunque dire, facendo leva su tutto il nostro cinismo per analizzare i fatti logicamente, che la morte, o altri gravi drammi a livello umano, siano un “esaltatore” di grandezza. Da sola non fa un’icona (chi sa qualcosa di Ratzenberger, se non che è morto il giorno prima di Senna?) ma può causare il salto di quell’ultimo gradino verso il mito.

Il recente evento riguardante Micheal Schumacher, in coma dopo una caduta con gli sci, pare confermare questo trend. Sempre rispettato come pilota per i suoi risultati, non è mai stato troppo popolare a livello umano. Gli stessi tifosi della Ferrari durante gli anni lo hanno rimproverato, ad esempio, di non aver imparato l’italiano, caratteristica di nullo conto per la valutazione di un atleta (nessuno rinfaccia a Valentino Rossi di non parlare il giapponese). Dal giorno dell’incidente però numerosi sono gli attestati di stima a livello umano (giusti e logici) conditi popolarmente da un’esaltazione delle sue qualità di pilota, spesso negate (anzi, anche sbeffeggiate in occasione del suo infruttuoso ritorno alle corse) in passato.

Chiudo con una nota: trovo troppo scarso il risalto che ha un sicuro grande di questo sport, sia per i suoi risultati in pista che per la sua capacità di combattere le avversità: Alex Zanardi. Molti appassionati di sport sapranno tutto di lui, ciononostante la “Casalinga di Voghera” potrebbe non averne mai sentito parlare, contrariamente a Senna. In questo caso, le consiglio una ricerca al proposito.

Amminoacidi di Grandezza individuati:

  1. Appartenenza ad un’epoca lontana sulla quale si tramandano testimonianze orali di pochi.

  2. Carisma mediatico.

  3. Attività in campo umanitario pubblicamente riconosciuta

  4. L’appartenenza a una nazione con buona/alta considerazione a livello geopolitico.

  5. Eventuale morte (o grave incidente) dell’atleta.

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