E’ ormai tempo di rush finale per il Masters 1000 di Roma, è tempo di resa dei conti agli Internazionali, anche per la carovana della stampa. La kermesse capitolina è al tramonto, ma si sa, i tramonti romani sono conosciuti in tutto il mondo per il loro rosso Pincio. E se in un luogo c’è un destino, un’identità, anche il tramonto del tennis lungo il Tevere voleva far coincidere il picco di emozioni proprio in occasione dell’ultimo atto, con gli scontri più attesi, e gli abbinamenti che avremmo sempre sognato.
E’ ormai tempo di rush finale per il Masters 1000 di Roma, è tempo di resa dei conti agli Internazionali, anche per la carovana della stampa. La kermesse capitolina è al tramonto, ma si sa, i tramonti romani sono conosciuti in tutto il mondo per il loro rosso Pincio. E se in un luogo c’è un destino, un’identità, anche il tramonto del tennis lungo il Tevere voleva far coincidere il picco di emozioni proprio in occasione dell’ultimo atto, con gli scontri più attesi, e gli abbinamenti che avremmo sempre sognato.
Sicuramente si è fatto centro nel femminile, dove Sarita Errani ha la storica opportunità di riportare lo scettro del Foro nelle mani di una campionessa di casa. L’ultimo trionfo manca esattamente da 29 anni con Raffa Reggi, e tra l’altro in un’edizione lontana da Roma. Per un trionfo vinto qui, bisogna invece scorrere gli annali fino all’anno di grazia 1950 con Annelies Ullstein-Bossi, e poi ancora fino alla seconda edizione assoluta del torneo, nel lontanissimo 1931, quando ad assicurarsi il successo fu Lucia Valerio. Un’occasione dunque storica, sempre che Sara non si senta troppo Davide (ricalcando la metafora usata da tantissimi colleghi), e sempre che la magica Serena cada in qualche sua tipica distrazione, come ieri nel secondo set contro Ana Ivanovic. La speranza, inutile nasconderselo, è che la Williams non sia troppo ansiosa di fare il Golia che ormai da due anni spadroneggia nel circuito, e che così non si creaino le condizioni di uno scontro apparentemente impari. L’ emiliana però può renderlo meno sbilanciato grazie al pubblico amico, pronto a creare una Davis-atmosphere, ma forte anche di uno storico del torneo che ha visto l’eliminazione di Na Li prima e Jelena Jankovic ieri: due top ten, due giocatrici che sulla terra hanno costruito tanti successi. Insomma, Sara pensi solo all’approccio del primo dei due head-to-head sul rosso del 2013, con il bel primo set di Madrid, dimentichi la frana di Parigi, o quel primo precedente senza storia già lontano 6 anni, sul campo Pietrangeli: quello è il modo giusto per arrivare sul ring, e con le armi tutt’altro che spuntate.
Quanto al maschile, la morale è che la “vecchia” generazione ha tenuto il punto, sbarazzandosi dei giovani ribelli che tentavano di insidiare i favori del pronostico. Come titola la Gazza “Il futuro può aspettare”, dunque nel pomeriggio l’epilogo maschile sarà non solo n.1 vs n.2, Nadal vs Djokovic, ma quello che ormai possiamo definire un grande classico: come nel 2009, e come per la terza volta negli ultimi quattro anni. E se per il serbo le camicette sono ben stese fuori al balcone della sua stanza, visto che ben sette ne ha dovute sudare per mandare in archivio il super torneo di Milos Raonic, Rafa Nadal non ha dimenticato che su quattro precedenti con Mr.Sharapova, in nessuno di questi la vittoria era arrivata senza un qualche patema: ieri tutto facile, come spesso accade se Nadal si sente al top, ma gli ultimi tempi sono stati anche quelli dell’incostanza, e dai match che non ti aspetti da un campione sempre molto, troppo provato dall’ansie fisiche, con un equilibrio delicatissimo.
Un equilibrio di cui la nostra stampa tiene conto, senza trascurare tutti i temi che abbiamo messo rapidamente sul tavolo.
Torniamo, allora al personaggio del giorno, a lei che come scrive il maestro Clerici su La Repubblica, “è tutto il contrario delle statue marmoree del Foto, e delle glamour girl contemporanee, quelle che infestano le comunicazioni e i loro soverchianti successi”, torniamo al percorso verso la grande occasione che parte da lontano, e all’ostacolo di un ultimo atto tutt’altro che agevole.
“Qualcuno, dopo la vittoria nei quarti su Na Li”, scrive Mario Viggiani sul Corriere dello Sport, “le aveva chiesto se si sentisse la più forte giocatrice italiana di sempre o se invece avesse ancora bisogno di qualche altro risultato importante. Diplomatica nella risposta (“Fate voi, noi giocatori magari ci pensiamo a fine carriera”), Sara Errani non ha ancora vinto uno Slam come Francesca Schiavone, che è stata finalista al Roland Garros anche un’altra volta. Però da ieri, con la finale parigina del 2012,1a semifinale del 2013 e quella agli US Open 2012, la 27enne romagnola sul piatto della bilancia mette anche una finale agli Internazionali BNL d’Italia. “Ormai”, aggiunge Piero Valesio su Tuttosport, “La Errani alla vertigine da altezza ci è abituata, ormai. Una finale e una semifinale a Parigi nonché una semifinale allo Us Open insegnano molto. Ma a Roma c’è qualcosa di diverso che potrebbe avere il suo peso sull’esito della finale di oggi”.
Entrando invece nel vivo del match, c’è anche da dire con Daniele Azzolini (Avvenire) che “non è più l’avversaria imbattibile di sei anni fa, quando giunse al numero uno. È rimasta poco, lassù, forse perché al tennis chiedeva una promozione sociale che ha ottenuto molto più in fretta di quanto non avesse previsto”. Vincenzo Martucci invece fa focus sul giocato, sottolineano come la “Jankovic regala il proprio servizio (50% appena di punti con la prima) e non attacca con pazienza e continuità quello dell’allieva di Pablo Lozano”. “Jelena”, per dirla con Viggiani, “è una che risponde forte ma è andata spesso in difficoltà nonostante la prima della Errani viaggiasse più o meno sempre intorno ai 130 km/h e la seconda anche sotto i 100, fino a scendere a un minimo di 90”.
Già il servizio: non solo punto di vista sul match, ma ormai un vero caso, e un argomento trattato quasi con rigorse scientifico, analisi maniacale. “Parliamo di un’operazione complicata”, osserva ancora Martucci, “un gesto spezzato, con la racchetta che rimane fino alla fine dietro la testa prima dell’impatto con la palla in ricaduta dopo il lancio. Un calvario per i 10mila del Centrale che assistono in silenziosa – sì, proprio così – apprensione a tutta la complicata liturgia e, soprattutto, alla ricaduta della palla di là del net col conta-chilometri sempre a bassissimo regime. «Ho servito peggio di venerdì»”. Sul tema ci si fionda anche Piero Valesio di Tuttosport, solleticando coach Lozano: “Parliamo di quel servizio su cui oggi Serena Williams potrebbe avventarsi come un’aquila su un coniglietto? «No che non parlo. Non ne parlerò mai più. Sapete perché? Perché il servizio di Sara è un falso problema. Lei può perdere tante partite, ovvio: ma il 95% di quelle sconfitte di certo non saranno da imputarsi al servizio. E’ arrivata 5 del mondo essendo così com’è sempre stata. Il problema è che più si parla del suo servizio, più ne parlo io soprattutto, e più mi si impedisce di lavorare su quel colpo. Perché si carica sulle spalle di quel colpo una responsabilità tale che blocca sul nascere ogni modifica. Dico solo che il cambiamento di movimento di questi giorni fa parte di un lavoro che non è ancora finito”. Insomma ancora da aspettare, ma mentre che la disputa vede pro e contro, ci pensa il maestro Clerici a fare il punto: “Non era certo un caso se la Errani non sbagliava nulla tatticamente, se utilizzava un recente punto debole come la battuta per lanciarsi la Dunlop alla sinistra della spalla, e per cavarne un gesto privo di mulinello, una traiettoria composita, con quel tanto di lift da ricordare il famoso “american kick”. Non era certo un caso se, dal lato che confina col Pietrangeli, Sara colpiva controvento con maggior forza parabole più alte, che l’assenza di un rovescio tagliato, ad una mano, destinava all’imbarazzo della bimane Jankovc. E, non certo soverchiata dal muscolo più sviluppato della serbiatta, equilibrava la partita con una manina più sensibile, specialmente in tocchi e drop”.
Dunque un repertorio che sa aggirare e dribblare gli handicap, e se, come scrive Stefano Semeraro su La Stampa, “il tennis fosse un pensiero che si balla, allora nessuna al mondo ballerebbe come Sara Errani. Un’idea dietro ogni figura, Sarita. Senso del ritmo, grinta e anima. Mai un passo fuori tempo. Perché anche se il tuo mestiere è scolpire pensieri nell’aria, e durano attimi, ti servono comunque ordine e rigore”. Addirittura qualcuno lo accosta a un genere musicale (Semeraro sceglie il tango, risponde Mei sul Messaggero con il rock)… ma alla fine si torna sempre da Clerici, e sul campo: “Sara affrontava con intelligente coraggio la partita contro una tipa che, si fosse trattato di cento metri o di salto in alto l’avrebbe sommersa. Un tipa, la Jankovic della etnia quella slava, che ha offerto negli ultimi vent0anni di tennis, una percentuale decisamente superiore a tutte le altre, anche se so come sia ormai disdicevole parlar di razze dopo le appropriazioni indebite di Rosemberg e Julius vola. La Janokovica, dicevo, che probabilmente prometteva di più quando vinse a Roma nel 2007 e nel 2008, ma che è rimasta nelle Prime Dieci, tra le quali, mi disse una volta Saretta “sono arrivata per caso. Mi domandavo, insomma, se tutto ciò fosse sufficiente perché Sara approdasse, come le sue antenate Lucia Valerio, Annalies Ullstein Bossi e Raffi Reggi, ad una finale degli Internazionali, quando da un mio vicino, Marcello Sportelli mi giungeva, per caso, una frase simile a una predizione – E’ un’azdora cl’impasta e zug cumpagna e pa”, e cioè “è come una massaia che impasta il suo gioco come il pane”. E, all’improvviso, mi ritornava alla mente la mia carissima balia, la Maria, e la sua capacità di impastare, ma con un mattarello. E sarebbe improvvisamente comparso, il mattarello, tra le mani della piccola, quando le scelte tattiche ventose, le rotazioni, i tocchi, non parevano più sufficienti”.
E mentre Sarita impasta, “la gente è con lei perché poi, subito dopo quel delicatissimo colpo, Sara scatena tutti i cilindri del motore sviluppando velocità, potenza e, soprattutto, angolazioni e idee appassionanti”. C’è insomma quella che per Pablo Lozano è il tratto distintivo di come persona: “La felicità. Sara, come ogni etere umano, deve essere felice di quanto sta mettendo in essere nella vita, sempre. Nel tennis, a questo livello, il pericolo di andare in overdose è sempre dietro l’angolo. Io amo questo sport e Sara con me: deve divertirsi. Se lei è stanca o spremuta e mi dice: oggi voglio andare a spasso, io rispondo: va bene. Se no diventa tutto un incubo, non c’è piacere. E senza piacere non si va da nessuna parte”.
Ora, che fare contro il titano? Paolo Bertolucci sulla Gazza dispensa qualche suggerimento tattico: “Intanto Sara deve cercare di non farsi subito travolgere e deve rimanere in piedi. A quel punto, con la sua varietà di colpi, variando molto il ritmo e senza accettare il braccio di ferro, che sarebbe davvero deleterio, potrebbe usare la mano buona che ha, anche con qualche smorzata, mettendola sulla tattica. E, togliendo potenza, potrebbe mettere in difficoltà Serena. Altrimenti e una lotta assolutamente impari, fra un peso massimo contro un peso piuma, ci sono 30 chili di differenza sulla palla, vale con tante, ma soprattutto contro Sara. II servizio è sicuramente il tallone d’Achille di Sara, soprattutto sulla sua seconda Serena entra sempre in maniera molto violenta, e potrebbe destabilizzarla completamente. Soprattutto sarà complicato riuscire a parare il servizio di Serena che é in assoluto il migliore di tutto il tennis femminile. Mentre quello di Sara, malgrado qualche accorgimento, rimane poco lineare. A livello di copi invece Sara deve cercare prevalentemente il dritto di Serena perché col rovescio l’americana disegna il campo in modo perfetto, lavorando molto col dritto, con qualche morbida molto lunga e profonda, tenendo Serena dietro, facendola lavorare molto, facendola pensare”.
Tanto per la poesia (e per le nostre emozioni), ci pensa Valesio: “Copriti bene, Sara. Perché oggi grandinerà, tirerà vento, cadranno attorno a te pezzi di meteorite perfettamente sferici e colorati di giallo. Dovrai proteggerti perché la tempesta sarà violenta, molto vicina alla perfezione. Ma non spaventarti, non tremare: perché anche le tempeste perfette hanno un centro dove tutto è quieto e dove si può minare il tornado. lÙ sei Sara Errani, orgoglio dell’Italia tennistica e non solo: lei è il tornado, la furia, la tempesta che si chiama Serena Williams. Ma proprio perché tu sei così diversa da lei devi sperare (non puoi, devi) di farcela Non è forse il piccolo ma fiducioso nei suoi mezzi che può abbattere biblicamente il potente? Non c’è bisogno di scomodare Davide e la sua fionda contro Golia per sapere che un semplice granello può bloccare un meccanismo che, osservato da fuori, appare inscalfibile. Ricordate la «Guerra dei mondi«? Sia nella sua imperdibile versione anni 50 sia in quella perdibilissima con Tbm Cruise, a far crollare i mostri venuti dal profondo spazio era un batterio. L’infinitamente piccolo contro cui i mostri non avevano difese. Ora Saretta non è certo piccola e Serena non è un mostro, tutt’altro. Ma è a questo schema su cui si sono basati estensori di infinite storie che Sara dovrà guardare oggi. Ana Ivanovic ci ha provato a superare Serena sul suo terreno (potenza e movimento, anzi movimento e potenza), ha messo nel carniere un preziosissimo secondo set ma poi ha perso il terzo quasi di botto. Sara non potrà certo inventarsi magie alla Houdini per aggiudicarsi gli Internazionali (successo che la farebbe rientrare tra le prime 10 della graduatoria mondiale): ma provare a infiltrarsi nel gioco monumentale di Serena provando a convincerla che non è onnipotente e che anche il suo diritto può non sfondare, questo sì. Questa potrebbe essere una buona idea. Sara non potrà certo inventarsi magie alla Houdini per aggiudicarsi gli Internazionali (successo che la farebbe rientrare tra le prime 10 della graduatoria mondiale): ma provare a infitarsi nel gioco monumentale di Serena provando a convincerla che non è onnipotente e che anche il suo diritto può non sfondare, questo sì. Questa potrebbe essere una buona idea. Potrebbe, Saretta nostra miracolosa, ispirarsi a un precedente nobilissimo di un’altra disciplina. Un precedente mirabilmente narrato da Norman Mailer in un racconto che chiunque ami lo sport dovrebbe avere letto: quello del match Foreman-Ali di Kinshasa nel ’74, quello che fu ri battezzato «Rumble in the Jungle’., la rissa nella giungla. Con Foreman strafavorito che sperava di abbattere Clay in forza della sua condizione scintillante. Ali giocò come il gatto con il topo, le prese di santa ragione per molti round prima di sollevare il volto e iniziare a vedere la furia di Foreman che calava di intensità e il timore di non avere più armi comparire inequivocabilmente nei suoi occhi. A quel punto smise di prenderle e vinse l’incontro. Dunque Sara copriti, vai alla battaglia e pensa a noi che pensiamo a te. Che non sarà facile è una semplice realtà sotto gli occhi di tutti: ma che Serena ogni tanto qualche partita la perda, e magari anche contro ogni pronostico come contro la Cepelova a Charleston e contro la Cornet a Dubai tanto per restare a quest’anno, è risaputo. E’ una macchina da punti ma come tutte le macchine può anche accusare problemi, ogni tanto. Sappi che siamo comunque tutti già orgogliosi di te. E ricordati di Ali: l’importante è prenderle senza andare ko. Perché non si sa mai: tutto poi di colpo può cambiare. Basta essere ancora in piedi”.
Intanto in piedi sono rimasti gli ultimi pilastri dei Fab Four. Scrive Crivelli sulla Gazza: “Gli invasori erano alle porte, ma sono stati respinti. L’impero resta saldo, anche se ai confini ormai premono gli aspiranti usurpatori. Ancora una volta, però, si daranno battaglia quei due per il trono di Roma: Nadal e Djokovic, i rivali del decennio, la sfida più giocata nella storia del tennis, un thriller infinito da quaranta episodi, seppur Raonic attenti davvero alle virtù agonistiche di Nole, mostrando quel coraggio e quell’orgoglio che fanno invece difetto al bel Dimitrov contro la furia di Rafa”.
Proprio su Rafa Clerici spende parole di speranza: “Mi aveva lasciato più che perplesso per i recenti infortuni spagnoli, contro suoi abituali sudditi, e per il primo set del match con Murray. in cui era parso una copia invecchiata di se stesso. Questa sera, d’un tratto, ho creduto di ammirare il Nadal degli anni passat, e quesl suo uncino che non sono ancora riuscito ad accettare razionalmente, nonostante una spiegazione del mio collega maestro ATP, lo zio Toni”.
Poco dunque, pochissimi spazio per Dimtrov, anche sulle pagine sportive, al contrario di Raonic, che riceve una pioggia di applausi fatti con l’inchiostro. “Raonic?”, scrive Grilli, “Bravo, molto bravo. Si vede che ha studiato. Continui così e sarà presto premiato. Dimitrov? Ci aspettiamo molto da lei, ha qualità innegabili ma deve impegnarsi di più… E si ricordi che il tennis non è solo sfoggiare un bel rovescio, è anche sudore e lacrime, e sporcarsi di terra rossa il completino quando serve, come avrà imparato dal professore di ieri sera… Ripassi tra qualche mese, per favore”.
Si entra quindi nel dettaglio, e Crivelli sottolinea come “Milos il canadese, che vive a Toronto da quando aveva 3 anni dopo i natali montenegrini, tiene una media alla prima di servizio di 215 km/h, raggiungendo il diapason con una battuta a 241. Sono saette (16 ace) che perfino un fenomenale ribattitore come Novak fatica a contenere, cui si aggiungono un rovescio finalmente adeguato alla classifica da top ten e il solito dritto a sventaglio che fa danni. Insomma, un avversario complicato, difficile da leggere per Djokovic, abituato a trasformare la difesa in attacco e dunque un po’ disarticolato dal bombardamento in due-tre colpi”. Mario Viggiani invece sul CorSport ne fa una sorta di onomatopea: “Bum: ace. Bum: servizio vincente. Bum: dritto devastante. Se sei alto 1 metro e 96 e sei cresciuto nel mito di Sampras (tanto da permetterti a un certo punto lo smash tipico di Pistol Pete, quello frontali con salto a piedi uniti) cosa puoi fare nella vita (almeno quella tennistica) se non picchiare? E Raonic ha picchiato tanto. E il povero Djokovic? Ha aspettato che la tempesta passasse poi, quando ha scorto uno spiraglio di sereno, ha chiuso l’ombrello ed è riuscito a girare dalla sua parte un match che per quasi due ore è sembrato pressochè compromesso”.
Chiudiamo allora con Clerici, ancora con una speranza, su quello che forse è il suo nuovo, vero pupillo in chiave Championships: “Mi è parso in ottima posizione per sosituire il primo Fab Four pensionato. Mi ha ricordato, il canadese nato in Montenegro, il suo vicino di casa Goran Ivanisevic, e addirittura richiamato alla memoria un giorno lontano in cui gli spettatori francesi fischiarono lo spalatino per troppi aces. Raonic sarà presto un autentico ordigno esplosivo, e non mi stupirei di qualche deflagrazione molto prossima. Magari già a Wimbledon, se riuscirà a rimanere equilibrio sui prati”.
Nel frattempo, restiamo (e sogniamo) con i piedi per terra. Su questa nostra, cara, terra rossa.