A cura di Davide Uccella
L’ora delle bimbe terribili Ma la Townsend si ferma (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 31-05-2014)
Cenerentola non va più di moda. «Perché mai dovrei fermarmi?», chiede la 2lenne Ajla Tomljanovic che, a caccia del record di una croata nei quarti Slam di Karolina Sprem a Wimbledon 2004, butta fuori dal Roland Garros anche la numero 3 del mondo e del tabellone, Aga Radwanska, a far compagnia alla 1, Serena Williams, e alla 2, Li Na. Col suo metro e 80 per 67 chili lancia negli ottavi la «new generation» insieme alla ventenne spagnola Garbine Muguruza (1.82 per 73 chili) e alla ventenne canadese Eugenie Bouchard (1.78 per 61 kg). Mentre la diciottenne di Chicago, Taylor Townsend, s’arena, non a caso, col suo metro e 70 per 79 chili, nella terra scivolosa di questa bagnatissima Parigi, e contro una spagnola, Carla Suarez Navarro. Come una pernacchia a Mats Wilander: «Taylor viene da un altro pianeta, come John McEnroe. Lasciatele fare quello che vuole, sboccerà come un magnifico fiore».
Garrison In attesa che Taylor capisca perché debba ridurre la massa grassa, Zina Garrison l’aiuta da coach motivatore, con la sua storia di bulimia, durata 8 anni (dai 19, dalla morte della madre), guarita col numero 4 del mondo e la finale di Wimbledon del ’90. «Non ho cambiato tanto nel mio tennis, ma ho lavorato tanto sulla tattica, sto studiando come abbracciare i punti forti e consolidare i deboli. Ora credo di più in me stessa, so che ho tante armi, tanti talenti non comuni. Non potevo chiedere un primo Slam migliore e una migliore occasione per mostrare al mondo che cosa posso fare. Il tennis è tutto per me». Forse la mancina dal gran dritto avrà una wild card per Wimbledon («Il mio torneo preferito»), con l’eco «Taylòr-Taylòr» del pubblico di Parigi per avergli regalato un tennis diverso e il Nae Nae, la danza hip hop.
Evert Tomljanovic continua la sua marcia di potenza: l’anno scorso, al rientro dopo la mononucleuosi, è stata la giocatrice che ha risalito più posizioni in classifica, dal numero 253 al 78 (ora è 72), grazie a Chris Evert: «D’estate mi sono allenata 2-3 anni in Florida, ma alla Evert Academy mi sono trovata meglio. Così, a 13 anni, la mia famiglia s’è trasferita negli Usa, a Boca Raton: sono stata fortunata ad avere Chris come amica e mentore: ci chiamiamo sempre…». Anche se dall’anno scorso, non s’allena più 11 con papà Ratko (stella della nazionale di pallamano) ma con David Taylor (ex coach Stosur). Derby Muguruza supera anche il derby-giovani con Anna Schmiedlova e spiega la sua, nuova, concentrazione: «Quando sono tornata in hotel, il mio coach m’ha confiscato il cellulare dopo che ho battuto Serena. Non posso parlare e messaggiare con nessuno. Infatti, avevo un match mentalmente molto difficile, contro una coetanea che conosco molto bene, sul Centrale con tanta gente. Ma sono migliorata anche di testa. E, nel profondo del mio cuore, credo di poter vincere il Roland Garros». Come Eugenie Bouchard, che è il solito diesel. Ma, dal 4-5 del primo set, soffoca il rovescio della svedese Johanna Larsson, come purtroppo non aveva fatto la nostra Flavia Pen-netta. Peraltro ancora in gara in doppio in coppia con l’altra giovane rampante, Kild Mladenovic (1.84 per 60 chili), altra figlia di ex sportivi emigrati dell’Est Europa.
Le ragazze del ’93 comandano la rivolta (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport, 31-05-2014)
Ormai non è più un torneo di tennis, è una class action. Un assalto alla Bastiglia del tennis che ogni giorno lascia sulla terra rossa una testa (di serie, per carità) coronata. Nei primi due giorni era toccato a Na Li e Serena Williams, le due favorite del tabellone femminile, eliminate rispettivamente da Kristina Mladenovic e Garbine Muguruza. Ieri alla numero 3 del mondo, Agnieszka Radwanska, ghigliottinata in due set dalla terza delle terribili ragazzine del ’93, Ajla Tomljanovic. Non era mai successo che le prime tre del tabellone evaporassero prima degli ottavi di uno Slam, e l’evento ha tutta l’aria di accompagnarsi a una rivoluzione in progress. Fra i maschi la casta dei Fab Four, attorniata da una robustissima guardia di veterani (quasi il 30% del tabellone di Parigi è composto di over 30), non pare intenzionata a smobilitare in tempi brevi. Fra le donne forse sta per tracimare l’ondata verde: insieme a Danton-Kristina, Marat-Garbine e Robespierre-Ajla, a puntare decisamente al vertice ci sono la statunitense Sloane Stephens, n. 13 Wta, la francese Caroline Garcia (n. 43 ma per l'”opinionista” Andy Murray destinata in fretta al n. 1), la portoricana Monica Puig, n. 41, e la slovacca Jana Cepelova, n. 61, tutte classe ’93. E poi la canadese Eugenie Bouchard, già n. 16 e addirittura di un anno più giovane come la russa Elina Svitolina, n. 33, la tedesca Annika Beck, n. 51, e l’altra slovacca Anna Schmiedlova, che a Parigi ha sradicato Venus Williams. Per non parlare poi delle “bimbette” Donna Vekic (croata, ’96 e n.67) e Belinda Bencic (svizzera, ’97 e n.80).
EMULAZIONE. La rivoluzione si nutre fra l’altro di emulazione. «Dopo aver visto uscire le numero 1 e 2 – ha ammesso la croata Tomljanovic, n. 76 Wta, che a 9 anni ha convinto la famiglia a emigrare negli Usa per farla allenare da Chris Evert – mi sono detta: posso farcela anch’io. Infondo sono cresciuta con le ragazze che le hanno battute». E che come lei hanno in comune un destino da migranti. La Mladenovic in realtà è nata nel Nord della Francia, a Saint Pol sur Mer, ma è figlia di due ex atleti serbi, mamma Dzenita, nazionale di pallavolo, e papà Dragan, pro’ di pallamano. La statuaria Garbine, n. 35 Wta, è spagnola ma è nata a Caracas da mamma venezuelana. A Barcellona è sbarcata a 6 anni, e dopo il col-paccio del primo turno la Federtennis di origine si è svegliata chiedendo al governo che, come nel caso del pilota di El Tomas Maldonado, si muova per sostenerla e per farle cambiare passaporto. Garbine ha fatto sapere che ci penserà, intanto si preoccupa di cogliere l’attimo (ieri ha battuto la Scimiedlova) proprio come la Tomljanovic, mazza tostissima che nel 2012 ha sconfitto anche la mononucleosi che l’aveva fatta precipitare al n.495 del ranking. Allenata oggi da Dave Taylor, l’ex coach della Stosur, nel 2013 ha riconquistato la Top 100, ora è per la prima volta negli ottavi di uno Slam e spera di imitare la connazionale Iva Majoli, che nel ’97 scippb il titolo di Parigi alla Hingis. In Australia Ajla aveva già sfiorato l’impresa, quando aveva servito per il match contro la Stephens: «Stavolta mi sono detta che non dovevo farmi scappare l’occasione. Però per chiamarmi Cenerentola aspettate almeno i quarti…».
SCETTICISMO. La favola della rivoluzione delle ragazze è destinata, comunque, a un lieto fine. Anche se c’è Ernests Gulbis che, interpellato sulle sorelle minori, la pensa così: «Spero che non diventino professioniste, perché è una dura scelta. Una donna deve godersi un po’ di più la vita, pensare alla famiglia. A che bambini puoi pensare se a 27 anni sei una tennista professionista?».
Le star si smarriscono a Parigi e Gulbis provoca: “State a casa” (Gianni Clerici, La Repubblica, 31-05-2014)
VA BEH che era giovedì, quello nero del 24 ottobre 1929, e adesso siamo al giorno dopo, venerdì. Però qualcosa di storico è successo anche nel tennis, perché da] 22 aprile 1968, inizio era Open, non era mai accaduto, mi assicura l’amico statistico Luca Marianantoni, che le prime tre favorite, o cosiddette teste di serie per colpa di un traduttore ignorante, fossero eliminate. Serena, Lina e oggi Radwanska. Hanno, in comune, la primae la terza, il tipo di nascita. Entrambe, l’americanae la polacca, ad esser generate da padri imprenditori del futuro, gente che, come mi ricordava oggi l’ex campionessa Ruzici (Parigi 1978 ) a proposito delle Williams, aveva avuto l’illuminazione alla vista di un grande assegno sventolato in tv, quando i premi per le donne erano una novità che la King avrebbe iniziato a mutare.
Ciò mi ha spinto, mentre la solita parentesi di pioggia costringeva gli spettatori a nascondersi nei corridoi del Centrale, a perdere la mia vana giornata confrontando le origini tennistiche con la professione dei papà e delle mamme, e ne ho trovate qualcosa come 27 tra le prime 100, soprattutto dell’Est, il cui destino avrebbe avuto origini legate agli sport prof di famiglia. Va benissimo che un tempo i primi 3 rampolli aristocratici erano destinati alla manutenzione del Casato, alla Santa Madre Chiesa, e alle Armi. Ma mi domando come il miraggio dei premi possa determinare il destino di tante vite, che spesso subiscono traumi inguaribili ai primi fallimenti, o addirittura ai primi successi. Il mio vicino di banco, occhieggiata la colonnina, mi ricorda che una volta, invece che in campo, le sventurate finivano in convento. Ma, da proto-femminista beneficato da un pasto in casa Thatcher, e da una cravatta da Indira Gandhi, mi domando se non si dovrebbe scoraggiare una quantità di padri al loro ruolodi prosseneta sportivo. Il risultato della loro attività è infatti assai lontano da quanto accadeva in anni di improvvisazioni, certo meno atletiche, meno muscolari, di tempi in cui non era stato ancora inventato il rovescio bimane come arma fondamentale, e fosse quasi indispensabile emettere le stridenti emissioni sonore che hobattezzategrantoli (grugniti più rantoli ). Tempi che gli appassionati di storia ricordano per le mitiche prodezze di Suzanne Lenglen e Helen Wills, o vecchi afionados quali il cronista rivivono nei sogni popolati da Althea Gibson, Maria Ester Bue-no, BillieJean King, Martina Navratilova o la stessa incantevole Henin.
Le rozze presenze delle ultime nascite programmate hanno oggi trovato una critica negativa da parte del tennista più noto per la sua disinvoltura dialettica, Ernests Gulbis, ilquale ha osservato: « Spero che non continuino in questo modo nella loro carriera sportiva. Una donna dovrebbe vivere, come noi uomini, una vita vera, certo dedicata alla famiglia e ai figli, ma anche ad un lavoro che le ispirasse». Giova forse ricordare che Gulbis è figlio della più grande attrice drammatica del suo paese, la Lituania.
La Mauresmo coach di Murray? Che idea (Piero Valesio, Tuttosport, 31-05-2014)
Altro che Matthau e Lemmon; questa sì che sarebbe una strana coppia. Anzi: se vi pareva anomala quella fra Andy Murray e Ivan Lendl pensate a come potreste definire quella fra Andy e Amelie Mauresmo. Lui: lo scozzese con lo sguardo spesso cupo, talvolta attraversato dai fantasmi dell’infanzia, capace di un tennis che Ivano ha reso furiosamente produttivo. Lei, francese, leggiadra nel sorriso e nelle movenze; capace di comunicare oggi con il suo stesso modo d’essere la raggiunta serenità umana. Lui gioca di potenza e di linee, lei giocava di estro: cosa può (anzi, potrebbe) ottenere un’allenza così? Per ora è solo un boatos che è serpeggiato fra i vialoni del Roland Garros nella ultime ore. Ma certo è che dopo il divorzio da Lendl Andy è alla ricerca di un coach come Dio comanda: si è parlato di Wilander fra gli altri. Ma una voce così suggestiva, ovvio, cancella tutte le altre. Perfino quella di qualche tempo fa che riferiva di come avesse sondato niente-popodimeno che Martina Navratilova per sostituire Lendl. La cosa potrebbe anche non essere affatto un’assurdità anche se l’elemento che ha dato la stura alle voci è il fatto che Amelie fosse seduta nel box Murray durante il primo match parigino dello scozzese, vicino a Kim Sears, fidanzata del nostro. Comunque vero è che Amelia, attualmente capitana della formazione francese di Fed Cup, con un uomo ha già lavorato: fu con Michael Llodra, uno che gioca con movenze simili alle sue. Llodra in quella fase raggiunse i quarti al Queen’s e vinse a Eastbourne. In passato solo Istomin è stato per un certo periodo allenato in senso letterale da una donna: sua madre. La suggestione della possibile scelta di Andy è tuttavia un’altra: lui i Championships li ha già vinti, tra l’altro. Ma se fosse invogliato a compiere questa scelta trascinato dal desiderio di «femminilizzare» il suo gioco, magari di ingentilirlo, certo di arricchirlo? Da una persona capace di essergli madre senza esserlo visto che di madre naturale è già dotato? E se volesse imparare a giocare la palla in modo diverso per non sottoporre, tra l’altro, la sua schiena a sforzi eterni? Vedremo.