A cura di Davide Uccella
Fair play e qualità l’assalto di Djokovic al regno di Nadal (Gianni Clerici, La Repubblica, 07-06-2014)
SONO tornato dalmatchvinto da Nole Djokovic su Ernests Gulbis sinceramente ammirato dalla qualità dello spettacolo. Sin dal primo game li ave-vovisti capaci di scambi attorno ai 15 tiri, come ormai avviene al tennis dell’era post serve & volley; ma mi era capitato raramente di assistere a una simile lunghezza delle parabole, che non si limitavano a superare il rettangolo di servizio, ma cadevano spesso a uno o due metri dalla riga di fondo. Ero giunto nella tribuna stampa semideserta causa le necessità elettroniche del giornalismo contemporaneo, attendendomi un Gulbis ammirevole, eguale a quello visto nel corso del torneo.
Ma non lo credevo capace di un livello in tutto simile a Nole Djokovic, che soltanto il sortilegio di Roland Garros poteva privare di un’altra vittoria. Alla mia ammirazione per il ritmo, e l’attrazione delle righe, si sarebbe presto aggiunto una considerazione etica. Nel quinto gioco, Gulbis al servizio, il giudice di linea avrebbe esploso un fragoroso grido di out. Vivamente dubbioso, Ernests chiedeva il controllo dell’arbitro di sedia, che, col tradizionale medio puntato, confermava la chiamata. Ed era alloraDjoko ad avvicinarsi e cancellare col piede l’impronta della palla, con il gesto che conferma un giudizio positivo: smentendo così giudice e arbitro.
Simile correttezza mi spingeva ad ammirare ancor di più un match di insolita qualità, e comunicarlo al mio vicino, il quale mi porgeva un giornale. Leggevo, un po’ sorpreso, una dichiarazione di Gunther Bresnick, il coach che ha aiutato Gulbis a divenire, da goliardo scioperato, un professionista ammirevole. «Senza un miracolo, Ernests non vincerà. Sta giocando al livello dei primi, ma gli manca ancora un dieci per cento per raggiungere Djokovic, che vuole davvero Parigi, per diventare uno degli otto che hanno vinto ogni torneo Slam».
Sono rimasto dapprima sorpreso, poi ammirato, dalla capacità di un altro che non aveva interesse a dire il vero, così come non l’aveva Nole nel contraddire l’arbitro a suo sfavore. E mi son detto che questo, nonostante la massiccia introduzione del denaro, è ancoraun ambiente rispettabile. Mentre così riflettevo, il gioco non era sceso dal suo alto livello. Due break nel primo e uno nel secondo avevano distanziato Gulbis, che, ammirevole, non si rassegnava. Nel terzo, addirittura a 15, avrebbe brekkato un Djokovic non certo arrendevole, e con un parzi ale di 12 punti a 3 vinto il set. Ma Nole non è solo capace di colpire, ma addirittura di incassare. Nel quarto, un parziale di 13 punti a 5 avrebbe di fatto chiuso una splendida partita.
L’avrebbe seguita una sorta di esibizione di un Nadal che appare ogni giorno migliore della sua controfigura sofferta a Montecarlo e a Roma. Un Nadal che senza del tutto apparire stupefacente, secondo una ambigua definizione di un mio spiritoso collega, pare aver ritrovato il suo terribile uncino sinistro. Il Nadal che avrà certo dalla sua la forza di chi detiene il record di ben otto vittorie a Parigi non saràcerto avversario facile peril grande Djokovic che ho visto. Nell’ultima riga a mia disposizione mi scuso con le nostre donne, Errani-Vinci, per essermi permessoli preferireilmatchdi Djokovic, contemporaneo alla loro semifinale. Ma, come disse un indimenticabile genio democristiano, «non posseggo il dono dell’obliquità».
Nadal contro Djokovic, la solita terra (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 07-06-2014)
Riecco gancio cielo. Non quello di Jabbar, quello di Rafa: il dritto più famoso del tennis sulla terra rossa, quello che rotea velocissimo nell’aria improvvisamente di nuovo calda di Parigi e schiaccia al suolo la famosa palla gialla trasformandola in quella palla magica dei bambini, con un primo salto altissimo, imprendibile anche per la racchetta «dai colpi puliti» dell’eroe britannico di Olimpiade, Us Open e Wimbledon, Andy Murray. Il Roland Garros rimane ancora una volta a bocca aperta davanti al figliol prodigo, campione di 8 degli ultimi 9 anni. E con lui Novak Djokovic che, vedendo il rivale finalmente vulnerabile sul rosso, dopo gli scivoloni contro Ferrer ed Almagro, la finale fortunosa di Madrid e il successo nello scontro diretto di Roma, già assaporava il primo urrà a Parigi per colmare l’unico buco nella collezione Slam. Anche se il mal di testa — un colpo di sole? — nel terzo set contro Gulbis merita più del semplice: «Stanchezza generale».
Effetto sole Il sole e i 22 gradi improvvisi sono alleati preziosi per il padrone di casa a Porte d’Auteuil. Ma gli appena 43 punti vinti da Murray sono davvero ridicoli a paragone degli 83 dello spagnolo, peraltro sorretto dal 91% di punti con la prima e da 24 vincenti, dati impressionanti come il risultato, 6-3 6-2 6-1, emblema della progressiva disfatta scozzese. «Ha giocato una delle più belle partite di sempre qui al Roland Garros», applaude zio Toni. «Ha sbagliato pochissimo, in queste condizioni, era estremamente difficile controllare la palla che arrivava dal suo dritto e, appena era dentro il campo, colpiva così vicino alle righe… Bisogna rimandargli tante palle indietro e io non l’ho potuto fare abbastanza. Colpa mia, ho giocato quattro ore mezzo più di lui: dovevo chiudere prima match di cui ero in controllo. Eppoi lui ha servito bene e io non ho risposto bene, e per evitare che picchiasse duro subito, ho esagerato con la risposta», si lamenta Andy.
Dritto Rafa è tutto contento: «E’ stato importante servire così, ma soprattutto il mio primo dritto ricomincia ad essere molto positivo, e poi riesco a tirarne un altro e ad avere più chances. Come non succedeva un mese fa, ogni settimana sulla terra sto facendo qualcosa meglio. E sono molto molto contento di essere ancora in finale al Roland Garros». Soprattutto, è contento di essersi ritrovato proprio alla vigilia della rivincita con Nole: «Lui mi ha battuto quattro volte e, anche se non c’è mai riuscito qui, psicologicamente è in una posizione migliore della mia. Anche se sono di nuovo aggressivo e mi sento di nuovo bene, con buone sensazioni. E il solito obiettivo: vincere Parigi».
Stanchezza Nole non vorrebbe ammetterlo: «Ho visto un po’ del match contro Andy, non sono sorpreso, tutti sappiamo quant’è forte su questo campo. Questo è Rafa al Roland Garros, ha alzato il livello del suo gioco e comincia a sentirsi al massimo quando ne ha bisogno». Ma il campione si ribella: «Il favorito è lui, ma io sono pronto alla sfida fisica e a quella mentale. Sono stato così vicino da batterlo negli ultimi due anni da credere di farcela ora. D’accordo, qui lui ha perso solo una volta, ma io l’ho spuntata nelle ultime quattro finali, non è imbattibile». La sensazione è che urli un po’ alla luna. Gancio cielo è tornato.
Solo Djokovic insidia Nadal l’uomo terra (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport, 07-06-2014)
Il re Nino contro il Joker serbo, un passato che vuole trasformarsi in futuro contro un presente che non si accontenta di consumarsi nell’attesa, mescolati in una mano di carte secca, e storica. Non succede spesso nel tennis, anzi in passato tante volte i calcoli del computer hanno smentito il risultato di una finale importante. Stavolta invece nel big match di domenica al Roland Garros fra Rafa Nadal c’è in palio tutto, o quasi. A partire dal numero 1 del ranking. Se vince Rafa resterà sul trono e si godrà la nona coppa dei moschettieri, la 5a consecutiva, il 14 Slam (come Sampras) l’ennesimo dei suoi record sul rosso. Se Nole riuscirà a stanarlo dal suo fortino si riprenderà il n.1, e completerà anche lui – dopo Perry, Budge, Laver, Emerson, Agassi, Federer e appunto Nadal – il Grande Slam in carriera. Parigi è l’unico asso che manca alla sua collezione.
PREVISTA. Era la finale che tutti si aspettavano, che tutti volevano forse, e in semifinale Nadal e Djokovic non hanno faticato troppo a prendersela. Soprattutto Rafa, che ha masticato e digerito Andy Murray in tre set con la voracità di un cannibale. Un’ora e quaranta minuti di pasto solitario, 6-3 6-2 6-1, contro un Murray incapace di reagire. «Che sarebbe stata dura lo sapevo anche prima di entrare in campo – ha ammesso il campione di Wimbledon – ma se c’è qualcuno a dare la colpa quello oggi sono io. Non ho fatto niente per vincere (e le zero palle-break conquistate la dicono lunga in merito, ndr)». Djokovic ha faticato un po’ di più – soprattutto per colpa del caldo (28 gradi) arrivato dopo giorni di mezzo autunno – contro Gulbis, che gli ha scippato un set (6-3 6-3 3-6 6-3), ma si è perso alla distanza: «alla fine: lui buttava due volta la palla sopra il net – ha detto Emests -e io sbagliavo la terza. L’unica notizia buona è che stasera potrò uscire dalla mia camera d’albergo. Mi concederò anche un sigaro. Ma non ditelo al mio coach…». Djokovic invece si vuole concedere una speranza, anche se i numeri di Rafa sulla terra, in particolare su quella parigina, sono scoraggianti. Al Roland Garros ha perso solo una partita in dieci anni e 65 match, l’ottavo lasciato a Soderling nel 2009. Sul rosso ha vinto 44 tornei, appena due meno del record di Vi-las, e dal 2004, quando afferrò il primo a Sopot, ha perso solo 15 partite. Ma tre solo quest’anno. «II problema è il passato – commenta il Cannibale – tutti fanno paragoni. Sul rosso vinto solo due titoli (a Rio e Madrid, ndr), ma per me è stata una buona stagione. Con Federer il tema tattico era diventato ripetitivo, io e Nole usiamo più colpi. Lui sarà teso perché vuole vincere per la prima volta a Parigi, io perché inseguo la nona, non fa differenza. Per me conta solo vincere il Roland Garros, il numero non importa».
PRECEDENTE. Una finale contro Djokovic l’ha già vinta, sul Philippe Chatrier: l’unica di un 2011 incuidovette inchinarsi 11 volte a Nole. «Ma non è un caso se centrale di Parigi Rafa non ha quasi mai perso», spiega il serbo. «II campo ha degli but’ molto larghi. Rafa ama quella visuale quando gioca lì sente di poterti recuperare ogni palla». Il dritto assassino di Rafa contro il rovescio e la risposta-boomerang di Djokovic, quella che, come dice Raonic, ti toma sempre indietro. E anche Gulbis, che ha servito fisso sopra i 200 all’ora, ieri se ne è accorto. Dalla parte di Djokovic c’è una statistica. Nella rivalità infinita fra lui e Nadal, che conta già 41 precedenti, un record assoluto per il tennis, Nole è sotto nel conto totale (22-19) e anche in quello dei match giocati sulla terra (134), ma si è imposto nelle ultime 4 occasioni, l’ultima a Roma. Ed è l’unico che è riuscito a battere 3 volte lo spagnolo nello Slam: Federer, e poi Ferrer, Hewitt e Murray, si sono fermati a 2. «La vittoria a Roma mi ha dato molta fiducia», ha spiegato Novak, «e sapere che negli ultimi due anni qui sono stato vicino a batterlo (prima in finale poi in semifinale, ndr) mi fa pensare che questa potrebbe essere la volta buona. Sono un po’stanco: colpa del caldo, ho due giorni per recuperare. Lui è il favorito, basta guardare la sua carriera qui, ma io sto giocando del buon tennis. E voglio quell’ultima coppa che mi manca». Per impedirglielo ci vorrà davvero il miglior Nadal.
Rafa contro Nole, Parigi si regala il «Clasico» della racchetta (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera, 07-06-2014)
Come natura crea, apparecchiato da coincidenze astrali che nessun essere urna-no — né Ernest Gulbis né men che meno Andy Murray — ha saputo/potuto contrastare, El Clasico del tennis è il gran finale che Parigi si regala nella stagione della rivoluzione mancata, quella della nouvelle vague (Dimitrov, Raonic, Nishikori più la pia speranza Fognini) ri-spedita al mittente dai portentosi senatori nati a undici mesi di distanza e destinati a ritrovarsi, come nel Giorno della Marmotta, l’uno di fronte all’altro, nell’eterna ripetizione di una rivalità che di questo sport è sangue, fegato, cuore.
Nadal-Djokovic, atto 42, è la finale più desiderata, attesa, pronosticabile, la partita che porta con sé alte dosi di testosterone e incertezza, perché sia Rafa che Nole hanno ottime ragioni per aspirare al titolo di Parigi, una legittimità che il vecchio niño tenuto insieme con i cerotti, l’isolano che alla nona finale parigina non si è ancora stancato di pensare in grande, riassume (bene) così: ‘«Djokovic avrà addosso motivazione e pressione. Io pure. Lui vuole il primo Roland Garros, io voglio il nono. Dov’è la differenza?». Lo scarto, minimo, è nei dettagli. Il lettone Gulbis, con Nole, si è squagliato sotto il peso della tensione («Non sono abituato a questi palcoscenici: ero nervoso, non sentivo la palla, lottavo con me stesso»), lasciando vagare per il campo quel dritto così macchinoso simile all’apertura alare di un rapace, però con il becco spuntato: rimesso in gioco da un colpo di calore che ha tolto forze al serbo nel terzo set, Ernesto non ne ha approfittato, accontentandosi di aver giustiziato Federer negli ottavi.
Murray, che pure a Roma aveva costretto Nadal al terzo set, è stato annientato dal miglior match stagionale di Rafa, scontando la stanchezza delle maratone con Kohlschreiber e Monfils, fino ad arrivare alla semifinale, insolitamente calda, molle come il pudding della colazione. Se Simona Halep ha la possibilità di tentare il golpe alla regina Sharapova oggi nella finale femminile e l’inossidabile coppia Errani/Vinci (settima finale Slam) domani proverà a riannettersi il titolo di doppio dopo il trionfo 2012, l’eredità di Nadal rimane nelle mani di Nadal, che ha allungato la sua striscia vincente a Parigi a 65 match .(34 consecutivi), con la sola eccezione del quarto turno 2009 con lo svedese Robin Soderling, un tipo estroso, ormai fuori dal circuito, a cui ancora oggi telefoniamo per cercare di capire come ha fatto. n centrale di Wimbledon era il giardino di Boris Becker, il mentalist bolso ma carismatico cui Djokovic chiede l’antidoto per neutralizzare Nadal. Ma il centrale di Parigi è il salotto di Rafa. «Nemmeno lui è imbattibile» si dice a voce alta Nole per favorire l’esorcismo, pur sapendo che i record (nonostante gli ultimi quattro k.o. nei confronti diretti: 22-19 per lo spagnolo) crescono sulla terra fertile dell’isola di Maiorca. Nove volte uno Slam non l’ha mai vinto nessuno. Ecco perché El Clasico ha il sapore dell’impresa, qualsiasi siano le braccia dentro cui si accoccolerà.
Nadal-Djokovic, a Parigi c’è il nuovo clasico (Stefano Semeraro, La Stampa, 07-06-2014)
Nadal contro Djokovic è il nuovo clàsico del tennis, l’ordalia fisica che ha sostituito il magnifico incastro di stili fra Nadal e Federer ed è già diventata la rivalità più cospicua della storia del tennis Open: 41 le puntate precedenti, Nadal è avanti 2219 (e 13-4 sulla terra), ma ha perso gli ultimi 4 match, corn-presa la finale di Roma. Domani, alle tre del pomeriggio al Roland Garros sarà anche una finale perfetta, oltre che una corrida feroce e la rivincita del 2011: chi vince ritorna (nel caso di Djokovic) o rimane (nel caso di Nadal) n. 1 del mondo. Il match che può spaccare la terra e l’anno 2014 del tennis -se lo giocano comunque due r assuefatti al trono: come tutti sospettavano fin dall’inizio e come i due fenomeni hanno confermato in semifinale. Novak ha ceduto un set (6-3 6-3 3-6 6-3) al suo vecchio compagno di college Ernests “Pierino” Gulbis, che ha messo i riccioli a posto, serve ai 210 all’ora, ma è ancora di molte incollature dietro il suo modello. D trita-tennisti made in Maiorca ha ridotto ad un pudding le magre speranze di Andy Murray in un’ora e 40 minuti, più che una lezione un’esecuzione, concedendo zero – dicasi: zero – pallebreak al campione di Wimbledon. II Niño a 28 anni è alla sua nona finale parigina in 10 anni, su questa terra ha perso un solo match su 65 (contro Soderling, nel 2009). Ha la chance di raggiungere un traguardo che è sfuggito persino a Borg, i 5 centri di fila. «E poi a Ra-fa piace giocare sul “Philippe Chatrier” – spiega Djokovic, che ieri è sembrato più affaticato del solito – perché è un campo con degli ‘out’ enormi e lui ha l’impressione di poterti rimandare indietro ogni palla. Io ho sofferto un po’ il caldo, ma ho due giorni per recuperare. Chi è favorito? Be’, guardate alla carriera di Ra-fa… Però la vittoria a Roma mi ha dato fiducia, voglio vincere l’unico Slam che mi manca». Nadal, che può raggiungere Sampras a 14 Slam e intanto ha già sorpassato Lendl come finali (20, il record sono le 24 di Federer), spera in unagiornatadi sole. «II problema è il passato», dice Rafa il neoboskoviano. «Tutti i paragoni con quello che ho vinto sulla terra. Ma io non bado ai numeri, bado a vincere il Roland Garros. Con Federer era diventato un match ripetitivo, io e Djokovic usiamo più colpi. Una nuova sfida tutte le volte. La vita, e il tennis, in fondo non sono questo?».
Errani-Vinci: «Mai pensato dl smettere con II doppio» (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport, 07-06-2014)
«Ma guardate che a smettere di giocare il doppio io eSara non ci pensiamo pro-prio» Sorride con gli occhi verdi e birichini Roberta Vinci. Con la compagna di sempre ha appena battuto, anzi stroncato in due set (6-2 6-1) Lude Hradecka e Michaella Krajicek, la sorellina di Richard, e domani le due amiche prove-ranno a sollevare per la 5 volta in tandem una coppa dello Slam A Parigi ci sono già riuscite nel 2012, contro Kirilenko e Petrova, l’anno scorso si sono arrese ad altre due russe, Makarova e Vesnina (gli altri titoli: Us Open 2012, Australian Open 2013/14). Stavolta tocca alle diversamente cinesi: Su-Wei Hsie, che è di Taiwan, e Shuai Peng, chevieneda Hunan, nella Repubblica popolare. 11 compromesso storico le ha portate in vetta al ranking di specialità, da dove hanno scalzato proprio le nostre, che perb al momento sono prime nella Race.
«La Hsieh èbrava a rete, la Peng spinge da fondo – spiega Sara – insomma si completano bene». D segreto per batterle sta nell’armonia di squadra. «Noi riusciamo a tirarci fuori il meglio anche quando non siamo al 100% – aggiunge Roberta – io qui ho dovuto combattere con gli infortuni, Sara con la stanchezza. II doppio ci prosciuga? No, perché nei tornei piccoli non lo giochiamo e comunque la settimana prossima riposeremo. E poi ci sostiene il nostro team allargato)). Chiosa ironica di Sara: «non tutti gli anni sono uguali forse stiamo diventando vecchie..». Un fatica che peraltro paga. «Con il doppio guadagniamo un sacco di soldi», ammette Roberta, che poi indica l’unica possibile fonte di screzi: «Se Sara provasse ilfrdanzato, l’ammazzerei. Impossibivisto che non ce l’abbiamo? E voi che ne sapete..». Buone notizie infine per il 1 turno la Fed Cup di febbraio contro la Francia: «il vantaggio è che giocheremo in casa – dice Roberta -e noi ci saremo».
Sara&Roby un doppio nella storia (Daniele Azzolini, Tuttosport, 07-06-2014)
Una volta al di, a piccole dosi, il doppio è come una medicina Sostiene eprotegge, tiene a bada lo stress, abbassala pressione, ha persino effetti antidepressivi. Contro il logorio del tennis modemo, il doppio è un carciofo salvifico. Capita che Sara e Roberta, le cichi, vi si aggrappino, e in esso ritrovino gli slanci offuscati dai troppi match di metà stagione, quando il calendario non concede ponti festivi e le vacanze di metà settembre appaiono ancora lontane. Ma capita, riche, che il doppio diventi l’occasione in più, una motivazione condivisa dalla coppia e per questo ancora più intensa, quasi passionale. E ofûa percorsi meno scoscesi del singolare per scrivere, a quattro mani, un capitolo italiano nella storia del tennis. Non è facile comporre quotidianamente le tessere di un puzzle che combini ambizioni personali e di coppia, piccole e grandi delusioni perciò che poteva accadere nel singolare e invece non è accaduto, e voglie ferocissime di rimettersi in gioco di lì a poche ore, di fianco a una compagna di viaggio che, nel piatto, riversa a sua volta i propri stati d’animo. Ma Sara e Roberta hanno il vantaggio dell’amicizia, che immerge le fondamenta nella reciproca comprensione. Ed è questo ìl segreto.
Sono in finale, Errani e Vinci, e se viva di misurare con un paradosso la consistenza della meta raggiunta, si potrebbe argomentare, con disincanto, che non faccia più notizia O quasi… Il fatto è che ci hanno abituati bene, le ragazze, ma non è facile tenere separata questa nuova, possibile conquista nello Slam, con i numeri che la rendono ancor più preziosa, e diversa dalle altre che l’hanno preceduta e preparata. C’è un doppio azzurro che, per la prima volta, domenica, può entrare nel novero dei più forti di sempre. E sono i numeri a dirlo, se è vero che nell’arco di 2 stagioni e mezza, dal 2012 a oggi, Sara e Roberta hanno guadagnato 4 titoli major (Australian Open 2013-2014, Parigi e Us Open 2012) e sono state finaliste in 7 Slam sui 10 fin qui giocati. Una continuità impressionante, che le spingerà, con i15 titolo, fra le prime 5 coppie dell’Era Open, accanto alle celebratissime Billie Jean King e Rosemarie Casals, che intorno ai Settanta vinsero 4 Wrmbledon e uno Us Open. Un Club di dieci atlete che, con la King e la Casals, comprende Navratilova e Shriver, davanti a tutte, con 20 titoli (7 Australian Open, 4 Roland Garros, 5 Wimbledon e 4 Us Open), Gigi Fernandez e Natasha Zvereva con 14 titoli, Serena e Venus Williams con 13, Virginia Suarez Pascal e Paola Suarez con 8. Le adesioni numero undid e dodici sono in mano alle Cichi, che in caso di vittoria conquisterebbero metà Grand Slam, e potrebbero dare con fiducia l’assalto a Wimbledon, l’unico titolo che manca, quello che vale il Career Grand Slam che solo tre coppie hanno ottenuto.
Prospettive che le due ragazze sembrano quasi trascurare, concentrate sulla dolcissima idea di conficcare, bene in profondità, le unghiette sulla nuova preda Parlano d’altro, infatti… «Abbiamo un bel gruppo che ci sostiene, è quasi una famigliona, con bambini, babbi, mamme. Coach e parenti, amici. È la nostra fortuna, perché all’interno di essatroviamo le parole di incoraggiamento che ci servono, e si stemperano le ansie». Hanno ragione ascantonare. Ansia e stanchezza hanno giocato un brutto tiro alla Errarvi, in un quarto difinale del singolo affrontato senza forza nelle gambe. «Problematiche sempre esistite», dicono, «ma abbiamo imparato a conviverci. È stato così negli anni passati, e magari non ne abbiamo parlato. Quest’anno il tema stanchezza è emerso in modo più accentuato, ma sono situazioni che conosciamo, e non per questo ci è mai passato perla testa di rinunciare al doppio». Hanno battuto Hradecka e Krajicek, affronteranno Peng e Hsieh (3 set faticosi contro Muguruza e Suarez Navarro), le diversamente cinesi – una della Repubblica, l’altra di Taipei – attuali capoclassifica «Forti, e molto ben amalgamate. Bel doppio», il giudizio. Di fatto, le uniche che le abbiano avvicinate fino a superarle. La finale, dunque, servirà a definire la classifica Ma, in fondo, pure questo conta poco. «Conta solo vincere», dicono le Cichi a una voce. E così che la medicina del doppio funziona.
Intervista a Virginia Ruzici – «Semplicità e qualità: ecco la Halep» (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 07-06-2014)
Virginia Ruzici, campionessa romena del Roland Garros 1978 e finalista 1980, è la manager di Simona Halep, un’altra romena finalista a sorpresa, oggi, contro Maria Sharapova.
Quando e perché ha scommesso su Simona? «L’ho vista giocare 6 anni fa a Parigi juniores, me l’aveva raccomandata Cino Marchese, dopo che aveva vinto il Bonfiglio, e m’ha impressionata: aggressiva, qualità fisiche naturali, rapidità, come Sanchez e Graf, meno potenza, più qualità».
Ha impiegato tanto nella transizione da stella juniores a stella pro. «L’allenatore dell’epoca, Tomai, le cambiò l’impugnatura del dritto e quindi doveva riprendere fiducia su quel colpo. Eppoi ha avuto diversi problemi fisici. Ha avuto anche bisogno di tempo per rinforzarsi fisicamente e credere in se stessa».
Qual è la caratteristica tennistica che più le piace di Simona? «E’ diversa delle giocatrici di oggi, ha una velocità particolare, è un’incontrista che può fare tante cose, sfrutta tanto il contropiede, conosce la palla corta, è piccolina , ma ha anche un bel servizio nel quale deve credere di più».
La terra è la sua superficie migliore? «Quando la vidi giocare la prima volta pensai subito che avesse il potenziale da top 10, la terra è la superficie preferita ma può giocare bene ovunque perché ha una capacità di adeguarsi eccezionale».
Lei è solo manager o anche un po’ coach? «Cerco di non invadere altri campi come quello del coach, ma a febbraio abbiamo cambiato, ora lavora con il belga Wim Fissette, ex della Clijsters, che l’anno scorso ha portato Lisicki in finale a Wimbledon».
Simona Halep somiglia a Virginia Ruzici. «Anch’io ero una giocatrice di gambe, lei sembra che danzi. Mi ricorda molto Arancia Sanchez».
Come persona, com’é? «Molto modesta, gentile con tutti. E’ molto vicina alla famiglia e al fratello che l’ha spinta al tennis ma non s’e’ realizzato come pro».
Come sta vivendo la Romania un finalista a Parigi? «Mi dicono siano impazziti: prime pagine dei giornali, grande attenzione. E’ già un idolo, perché è un esempio di semplicità e di lavoro duro. La Romania attendeva da tempo un personaggio così».
E la storia del seno che s’è ridotto, che tanto stuzzica le pruderie? «E’ una cosa di 5 anni fa. Parliamo di tennis: Simona è una gran bella tennista».