A cura di Davide Uccella
Maria, gemiti e gioia Parigi è ancora sua (Gianni Clerici, La Repubblica, 08-06-2014)
«Lei non ha diritto. Se io fossi il suo direttore la licenzierei. Lei non ha rispetto né per le campionesse né per noi spettatori che le applaudiamo. Per noi che abbiamo acquistato un biglietto cinque mesi fa, pagando i regolari 124 euro». In un camb i o di campo dell a finale tra Maria Sharapova e Simona Halep, lo spettatore seduto ai tonfi ni della tribuna stampa, aveva colto il dialogo tra un collega inglese e lo scriba, appena tornati dal bar in cui metà dei giornalisti presenti tentavano di tonificarsi. Vecchi habitué come siamo, lamentavamo la noia della finale di uno sport che amiamo, nonostante avessimo tentato di trovarvi elementi di ben diversointeresse, che mi par giusto elencare. Cittadinanza russa l’una e rumena l’altra, con precedenti storici di invasioni varie, da est ad ovest, di lingua e di costumi molto diversi. Gio- co aggressivo, nel tentativo di fare punto vincente della russa, e regolarità ben distribuita, nel tentativo di provocare l’errore della rumena. Nascite disparate, sottopiccolo borghese Sharapova, povera emigrante dagli Urali agli States; borghese di stirpe sportiva Halep, col padre divenuto benestante calciatore. Stupenda da top model Sharapova, con il suo metro e ottantotto per 56 chili più che tonici, piccolina di scoraggiante banalità Halep, costretta addirittura alla chirurgia estetica da un petto che ne squilibrava le vivaci corsette sino a pericolosi tuffi sull’arena. Non solo questo aveva spinto me e il collega britannico ad allontanarci dal nostro compito di osservatori professionali, ma i continui grantoli delle due, nel caso di Sharapova elevati a emissioni vocali più simili ad un’attività sessuale che sportiva.
Tutto ciò era tuttavia troppo complesso per essere co- mun icato allo spettatore, e mi sarei limitato ad obiettargli che il mio direttore era certo più ferrato in tema di giudizi e di licenziamenti. Nella speranza che simile procedimento venga differito, devo ricordare che , in vantaggio non sempre ammirevole, per un sete 5-3 nel decisivo tiebreak, Sharapova ha commesso la prodezza di quattro errori gratuiti consecutivi, rimettendo in partita la piccola Simona, incredula sino ad un sorriso che pareva simile a quello di una vincitrice. Tra l’indispettita, l’infuriata e l’impotente, Sharapova, già largamente favorita da queifurbonidei bookmakers, non faceva molto di più che trasformare i grantoli in gemiti, e a raggiungere un’autentica, sorprendente specializayione negli errori gratuiti. Sinché quel che mi era parso, in certi match precedenti, un suo autorevole tennis-pum, non finiva per prevalere su una ragazzina tutta corsa e coraggio.
Non vorrei che un mio fedele lettore, incredulo per la scoraggiata veridicità dello scritto, si spingesse all’acquisto di qualche altro quotidiano. L’atroce finale alla quale ho assistito potrebbe trovare accenti positivi in una trama nella quale la valorosapiccina rumena, inaspettata in un simile storico palcoscenico, ha alzato il livello dello spettacolo sino a quello abituale per una vincitrice di quattro Slam, Sharapova; oggi spinta alla disperazione per l’inattesa, ammirevole resistenza della piccola Halep, che pretendeva di negarle il quinto. Ma perché, mi domando, un recensore ha diritto a trovare orribile una commedia o un libro, e un povero cronista sportivo non pub permettersi di fare altrettanto? Speriamo in Nole e Rafa, amici.
L’urlo dì Masha. Regina Sharapova «Ho vinto la finale più emozionante (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 08-06-2014)
Perfetta non è. Perché, per quanto si sforzi, Maria Sharapova, che pure è una grande attrice, proprio non riesce a piangere. Il copione lo esigerebbe dopo la più intensa e appassionante finale donne del Roland Garros, da Capriati-Clijsters del 2001, l’ultima in 3 set, peraltro lunghissima, appena due minuti più breve di Sanchez-Graf, record, del 1994. D’istinto, quando il suo dritto affonda la sorprendente Simona Halep sancendo il 6-4 6-7 6-4, la divina Masha si accascia sulle ginocchia sopra la 3 Ore e 2 minuti La finale di ieri, seconda più lunga nella storia del torneo dopo le 3 ore e 4′ di Graf-Sanchez nel 1996 (lu.mar) sacra terra rossa, col viso fra le mani, replicando il gesto di due anni fa quando superb Sara Errani. Perfetta non è, perché stringiucchia a malapena a rete la mano dell’orgogliosa 22enne rumena che un anno fa era numero 57 del mondo e, adesso, da 4, alla prima finale Slam, lotta alla pari con la super stella russa allevata negli States, fra la Florida e la California, che 10 anni fa vinceva il primo Major, a Wimbledon, a 17 anni appena. Ma, come agonista, se non è perfetta è quantomeno straordinaria. «Come Nadal e Serena», sottolinea Virginia Ruzici, la campionessa rumena del Roland Garros ’78, oggi manager della Halep. «Avere il privilegio di lavorare con una campionessa cosí è fenomenale, la sua determinazione è straordinaria, non si pub descrivere», chiosa coach Sven Groeneveld.
Servizio Perfetta non è, Maria, anche se, sulla terra, ha vinto 54 degli ultimi 58 match, di cui 20 consecutivi, il quarto qui al Roland Garros. Commette 52 errori, di cui 12 doppi falli, cede d’acchito la battuta, recupera da 0-2 volando 5-2, riperde il servizio sul 5-3, epperò chiude comunque 6-4 il primo set in un’oretta spegnendo un po’ i tanti rumeni capeggiati dai dieci parenti/amici stretti in T-shirt rossa con l’incitamento: «Allez, Simona». John McEnroe riassume in telecronaca la sorpresa dei 15mila del Philippe Chatrier: «Simona è la più veloce del tennis dopo Steffi Graf, che stia attenta Maria a fare una gara di corsa perché-l’altra va al posto di guida». Purtroppo per lei, malgrado tante aperture sugli angoli e tanta veemenza, le ci vorrebbe un po’ più di servizio e magari qualche volée. «Qualche variazione che pian piano troverà», specifica la Ruzici. Che, come tutti, rimane incantata dal cuore della Halep, 168 centimetri di vitalità, capace di reagire da 0-2 2 2-2, e poi ancora ai quattro break di fila sul 4-4. Per giocare poi un tie-break pazzesco, risalendo da 3-5 a 7-5, e pareggiando i set: 4-6 7-6 dopo 2 ore e 10 minuti di corsa e sbracciate a mille all’ora fra due leonesse sempre distanti appena un palmo, senza che riuscire staccarsi fino allo sprint.
Timeout «L’esperienza, le sarebbe servita», lamenta ancora la Ruzici. Perché la divina Maria che già sfora sempre abbondantemente i 20 secondi alla battuta, anche fra la prima e la seconda, si prende sei minuti di pausa-toilette per riordinare le idee dopo i 4 errori di dritto del tie-break. Ma è piuttosto Simona a graziarla, sul 2-1,quando manca due palle del 3-1, e ancora sul 4-4, quando la riagguanta sfruttano due doppi falli di Masha, ma un po’ si arrabbia per una palla data buona all’avversaria («Avrei dovuto gestire meglio i nervi e pensare solo al punto dopo»), un po’ è svuotata, dopo aver superato i propri limiti. E paga l’ultimo sforzo cedendo a zero la battuta e gli ultimi 8 punti, finendo in lacrime in panchina finché la folla non la chiama a gran voce «Simo’na, Simo’na», restituendole il sorriso. No, non posso piangere alla prima finale Slam dopo che ho dato tutto e cho giocato così bene. Devo essere felice. Spero che questa sia la prima di tante altre finali, devo migliorare molto sul mio dritto, ma certo Maria è molto forte di testa e nei momenti importanti colpisce forte». Mentre Masha scala la tribuna per abbracciare il suo clan: «E’ stata la vittoria più piena di emozioni e la finale più dura fisicamente che ho giocato. Tutto il rispetto a Simona, ha giocato un match incredibile. Questo torneo significa così tanto per me, se mi avessero detto che sarei arrivata a 27 anni con 2 Roland Garros, più di tutti gli altri Slam, mi sarei ubriacata o gli avrei dato dell’ubriaco. Con l’età apprezzi meglio le cose, è incredibile che 10 anni dopo il primo, ho vinto 5 Majors». Non è perfetta, Maria. Ma quasi.
Sharapova bis «Ho imparato ad amare la terra» (Stefano Semeraro, Il Corriere della Sera, 08-06-2014)
Maria Sharapova è nata in Siberia, e quindi èfredda di natura Mentre tutte le sue colleghe – e molti suoi colleghi – dopo una vittoria si sforzano di trattenere le lacrime, led Masha la tigredava quasi l’impressione di provare a buttarle fuori. E stavolta ci è quasi riuscita «E’stata la finalelo Slam più dura della mia vita», ha detto sul campo, azzardando anche un discorso di ringraziamento in francese.
Maria, cosa ha sentito nel cuore nelle testa dopo il matchpoint? «Ho giocato tante finali Slam (9, ndr), ma questa è stata davvero la più emozionante di tutte. Forse perché diventando vecchia apprezzo di più certe situazioni…».
Il Roland Garros è stato l’ultimo dei quattro Slam che ha vinto, ma l’unico che havinto due volte: strano, no? «Davvero sorprendente. Se qualcuno sei o sette anni fa me lo avesse detto, gli avrei risposto che era ubriaco. Ma ho lavorato duro per riuscirci. Non sono Nadal, non sono nata sulla terra battuta, da piccola non a ho mai giocato: ho dovuto imparare come farlo”.
Qual è stato il momento più difficile? II suo coach Sven Groeneveld quanto l’ha aiutata? «Alla fine dello scorso anno giravo l’Europa cercando di risolvere i miei guai alla spalla. Non avevo neppure un coach. Quando ho messo insieme il mio team attuale ho capito che l’energia era quella giusta, che avevo trovato l’ultima tessera del puzzle. In campo ci vai tu, ma avere il team giusto è importante. Quest’anno la sconfitta a Indian Wells è stata dura: non perché ho perso, ma perché ho perso nella maniera Sbagliara».
Sono passati dieci anni dalla sua prima vittoria in uno Slam, a Wimbledon 2004: è possibile paragonare quel successo e quello di oggi? «E’ incredibile essere seduta qui dopo 10 anni. A 17 anni ti fai tante domande: posso riuscirci ancora? Rivincerò uno Slam? Ora sono semplicemente senza parole. Ma molto fiera di aver vinto contro un’avversaria che mi ha fatto correre tanto, in condizioni che sono passate dal freddo al caldo. Mi sono adattata a tutto e ora la coppa è mia».
Era quello che voleva di più, qui a Parigi? Niente shopping? «A Parigi sì. Non sono neanche entrata in un negozio, non ho mangiato neanche un “macaron” (dolcetti tipicamente parigini, ndr). Volevo solo il trofeo. Peccato che a me diano solo una copia piccolina: quello vero temo che dovrei rubarlo…».
E’ stato uno degli Slam più duri degli ultimi anni, con molte giovani die si sono fatte avanti. II tennis femminile è in buona salute? «Oggi è un misto di vecchio e nuovo, più qualcuno come me che sta nel mezzo. E’ normale, anche se tutti all’inizio mi chiedevano come avrei giocato contro Serena nei quarti, e se mi consideravo sfortunata nel sorteggio. Ma per me il sorteggio non significa mai nulla. 1 lo avuto molti match difficili (gli ultimi quattro al 3 set non accadeva a una vincitrice del Roland Garros dal 1976, Francoise Durt ndr). E’ stato lo Slam più “fisico” che abbia mai giocato».
Tanti giocatori evitano la superficie che amano di meno, lei invece ha finito per vincerci due Slam: qual è il segreto? «Be’ prima di tutto mio padre Yuri non sarebbe stato felice se avessi trascurato il Roland Garros! Da giovane sulla terra ero in difficoltà perché ero convinta di dovermela sbrigare in fretta nei primi turni, non avevo la pazienza di restare in campo quanto serviva. E cosl non mi preparavo a sufficienza. Cambiare questa mentalità è stata la mossa vincente».
Sharapova “Rambo” strapazza Parigi (Daniele Azzolini, Tuttosport, 08-06-2014)
Certe cose le avevamo viste solo nei film di Stallone, e nemmeno i primi della serie. Darsele così tante da far apparire il contesto non soltanto esagerato, ma anche un tantino fuori luogo. Ma davvero non bastano cento cazzotti per mettere al tappeto una rivale? E di che cosa stiamo parlando, di boxe o di altro? Di tennis sembra quasi impossibile. Al femminile, poi, pare addirittura uno sproposito. Un abbaglio. Tre ore di dritti e rovesci duri come uppercut, e loro due quasi insensibili, al centro del ring, pardon, del campo. Maria Sharapova ha messo kappaò Simona I lalep, e per le terre c’è finita lei, una volta tanto convincente nel dare un volto alla felicità, capace com’è stata di mettere da parte qualsiasi etichetta, prima per rotolarsi sulla terra, poi per dare la scalata alla tribuna e abbracciare il suo staff. E Simona? Ha messo in campo cuore e gambe, testa, polmoni, tutto. Cento volte è andata sotto, e cento altre ha recuperato, con una vitalità che ha pochi paragoni in campo femminile, salvo quella mostrata una volta di più dalla sua avversaria, la bellissima Maria, la pin up forgiata nella lega più dura che si possa immaginare.
Seconda perla Ed eccola, Maria, abbracciata alla Coppa. È Le lacrime di Simona «E’ vero, alla fine della partita ho pianto. Però non mi rimprovero nulla» la seconda, al Roland Garros, l’odiato mondiale della terra rossa che ha finito per donarle i momenti più belli. Il quinto Slam su nove finali, dieci anni vissuti da protagonista. Poche altre volte due finaliste sono sembrate così vicine. Merito di Simona Halep, che nella sconfitta ha saputo mettere in mostra tutti i buoni motivi che l’hanno consegnata alla finale. ll suo spirito di sacrificio, la voglia inesauribile di lottare su ogni punto. Nessuna fuga è durata più di qualche game. Maria è stata avanti 5-2 nel primo, 5-3 nel tie break del secondo, 4-2 nel terzo. Simona l’ha inseguita, addirittura più lucida nei momenti di difficoltà che in quelli in cui prendeva il sopravvento. L’aggancio nel tie break è stato un’operazione di alta chirurgia tennistica. Cercare le righe e trovarle a ogni colpo, anche quelli tirati con gli occhi ridotti a una fessura dalla fatica.
Che emozione «E un titolo che mi emoziona, questo», cinguetta Maria, di nuovo truccata e apparecchiata come si deve per l’incontro stampa. «Ho giocato molte finali, e ognuna è stata diversa Questa è stata emozionante. Forse perché ho lavorato moltissimo per guadagnarla. Rimonte, sempre rimonte. Anche oggi. Ogni volta che ho pensato fosse fatta, lei è tornata a farsi viva Simona è stata una grande avversaria. Per quanto mi riguarda, penso solo che sia incredibile essere qui, dieci anni dopo la prima volta, con un nuovo titolo in mano». Alla fin fine, anche Simona trova modo di sorridere. « Ho dato tutta me stessa, ho combattuto, non ho niente da rimproverarmi. Alla fine, è vero, ho pianto al riparo dell’asciugamano. Ma ora sonido». Mondiale sul rosso ha avvicinato le giovani più intraprendenti alla vecchia classe dirigente. Respingendo l’assalto della Halep, Maria Sharapova le ha respinte tutte quante. Ma non ha cancellato l’impressione di fondo, quella di un ricambio ormai alle porte. Forse già nei prossimi tornei. Forse il prossimo anno. La “generazione Halep” è ormai pronta ad assumere il comando.
Maria la tigre piega la ragazzina terribile «È il successo più duro, vorrei ubriacarmi» (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera, 08-06-2014)
Più rocciosa in difesa di Helmuth Duckadam e più snodata negli allunghi di Nadia Comaneci, la bambina rumena venuta dal futuro costringe Maria Sharapova a un durissimo trekking dentro se stessa, coda sfatta e mascara sbavato, su e giù perle pendici di un match ad altissima intensità emotiva, incerto fino al 4-4 del terzo set, quando la tigre siberiana finalmente conficca gli artigli nella preda riottosa e la Rai non perde occasione di fare l’ennesima, pessima, figura del campionario: finale thrilling del Roland Garros sospesa per trasmettere Frosinone-Lecce, playoff di Lega Pro (chapeau).
Simona Halep, 22 anni, da domani numero 3 del mondo, è l’evoluzione 2.0 di Saretta Errani, una Puffa con più tennis, servizio e fluidità di braccio (attenzione alle Chichis, Errani e Ymci, oggi nella finale del doppio, antipasto di Nadal-Djokovic), incontrista moderna con varietà di colpi e nessun timore reverenziale verso la divina, cui va dato merito di aver trovato per strada la pazienza di reinventarsi giocatrice da terra battuta, pur non essendoci nata («Non sono Nadal… Sul rosso qualche anno fa mi muovevo come un elefante sul ghiaccio!» scherza), incapace di scivolare com’è su quelle leve da modella però bravissima a prendere a cazzotti palla e avversarie con rabbia cieca e indistinta (a volte sconsiderata) par condicio, da Saetta nel 2012 (primo Slam a Parigi) a Simona ieri (quinto titolo in totale), «un’impresa estremamente fisica ed emotiva, il trionfo più difficile di tutta la mia carriera, per il quale varrebbe quasi la pena di ubriacarsi!».
Spicca, in cima alle 3 ore e 2′ di tennis grecoromano, prese bimani, errori (46 vincenti e 52 sbagli non forzati della russa, inclusi 12 doppi falli), break e sole cocente, l’assenza del boyfriend Grigor Dimitrov, collega bulgaro qui eliminato al primo turno, con il quale dev’esserci maretta anzi-chenò se lui non ha ritenuto di tomare a Parigi per l’evento, costringendo Maria ad abbracciare, dopo un notevole gesto atletico per scalare la tribuna, le maestranze assunte dalla Sharapova Corporation (coach Groeneveld, fisioterapista, palleggiatore) e poi la mitica coppa, della quale porterà a casa, in Florida, un’altra replica mignon. L’onore più grande è stata la premiazione affidata a Chris Evert, sublime visione conservata dal botoz e sbucata direttamente dagli Anni ’80, che quarant’anni fa (je n’ai pas vu le temps passer cantava Aznavour) conquistava il primo dei suoi 18 Slam a Parigi, grande madre (ma con quale classe…) delle massime interpreti del meccanicismo odierno, senza nulla togliere a Maria e Simona, che con generosità ci hanno offerto una finale avvincente, sudata e lottata, quasi d’altri tempi.
Uscita dal torneo Serena Williams, che rimane l’unico punto debole della Sharapova (l’ultimo successo sull’americana risale ormai a died anni fa, Los Angeles 2004), Maria ha fortissimamente voluto il titolo che la riporta al numero 5 del ranking, fuoriclasse attempata con i suoi 27 anni ma femmina ancora fascinosa per le copertine di stamane, soave apparizione prima che i gladiatori Rafa e Nole si prendano la scena, sbranandosi vivi, orrore, a vicenda
Sharapova regina a Parigi “La finale più dura in vita mia” (Stefano Semeraro, La Stampa, 08-06-2014)
«E’ stata la finale Slam più dura della mia vita». Ci sono voluti tre set (6-4 6-7 6-4) e tre ore e 2 minuti a Maria Sharapova per piegare la resistenza balcanica di Simona Halep, appena 120 secondi meno del record di durata di una finale a Parigi (Graf batte Sanchez 10-8 al terzo nel 1996), ma alla fine ha dimostrato che i pantaloni in casa li porta ancora lei. Il fidanza-tino Grigor Dimitrov, secondo Nadal il più promettente della nouvelle vague maschile, qui a Parigi è stato respinto al primo turno, la sua fidanzata feroce è arrivata fino in fondo. In un tabellone deserti-ficato di grandi nomi – anche se la Halep, a 22 anni grazie alla finale da domani sarà n.3 del mondo – lei ha tenuto alto il «brand» della ditta. Quello della ragazzina che a 17 anni era già capace di strappare Wimbledon a Serena Williams, che oggi è una super testimonial da 20 milioni di dollari all’anno e una busineswomen capace di piazzare a cinque euro il sacchetto i suoi zuccherosissimi bon bon «Sugarpova», ma che sul campo, a 27 anni, sa sempre ruggire.
Per prendersi il suo 5 Slam, dopo un primo set in cui era andata sotto, aveva recuperato e poi si era fatta riprendere, ha reagito da tigre al rush disperato della Halep che nel secondo set le ha scippato il tie-break. Tutto il centrale scandiva il nome della romena, Maria, stanchissima dopo un torneo appesantito di match complicati, si è semplicemente rifiutata di perdere. Così dopo il doppio fallo con cui ha regalato il 4-4 all’avversaria ha infilato 8 punti di fila, e raccolto il secondo successo parigino in tre finali consecutive dopo quello del 2012 contro la nostra Errani, la 20esima partita di fila vinta sulla terra rossa al 3 set. Da domani torna n.5 Wta, e si può dire che Chris Evert, madrina del torneo a 40 anni dal primo dei suoi 7 successi a Parigi, abbia consegnato la coppa in mani degne: la residenza è americana, ma l’educazione e il carattere di Maria restano siberiani. E dire che in passato sulla terra Maria si sentiva «come una mucca sul ghiaccio». «Sei anni fa non avrei mai detto che sarei riuscita a vincere due volte il Roland Garros: mi sembra un sogno. Merci beaucoup, Paris», dice.
Il tennis dei soliti noti (Daniele Azzolini, Avvenire, 08-06-2014)
La manif, l’aperò, lebac le Monop, les gars, le velib, e ovviamente les deux un. Nel dizionario delle abbreviazioni familiari, che a Parigi è molto chic e sembra nessuno possa fame a meno, c’è posto anche per il tennis, basta che sia d’alto bordo. La manifestazione, l’aperitivo, la maturità liceale (baccalauréat), la catena dei supermercati Monoprix, i ragazzi, le biciclette a noleggio (velo libre) e i due uno, cioè i due numero uno del tennis, Nadal e Djokovic. Cosa che rivela l’imbarazzo dei francesi nello scegliere chi amare di più. Forse perché, sotto sotto, non sopportano nessuno dei due.
Il tennis maschile è tradizionalista, molto meno quello al femminile. Ma il pubblico va oltre. Rivela una vena rottamatrice, persino un po’ granguignolesca, e molto amerebbe assistere a continui ribaltoni, sull’onda di quell’irresistibile gioco di società che invita a creare nuovi eroi per il piacere di distruggerli subito dopo. Forse per questo, l’altro giorno, in molti hanno fatto il tifo – persino un po’ spudorato – per gli oppositori dei due numeri uno, senza nemmeno amarli particolarmente. Rappresentavano però le due novità, il britannico Andy Murray, l’alleato scozzese, quasi fossimo ancora ai tempi della Guerra delle Due Rose; e il lettone Ernests Gulbis, subito ribattezzato il magnatino (è o no il figlio del magnate del gasdotto che serve mezza Europa?), dai modi già molto padronali, comprese le battute che fanno ridere solo quelli a busta paga. L’ultima sulle tenniste, «che sarebbe meglio si dedicassero a fare bambini». Una sortita talmente fuori luogo, da servire alla Sharapova una facile risposta vincente: «E un grande comico, Gulbis. Quando sono un po’ giù di morale mi basta ascoltare una delle sue corbellerie per ritrovare il sorriso».
Bagatelle, che certo non hanno cambiatola destinazione degli “olè” dei rottamatori francesi, salvo prendere atto, dopo pochi game, di quanto ancora distino le speranze di cambiamento dalla solida inacessibilitàdei due capofila. Sono bastati venti minuti delle rispettive partite per capire che Djokovic avrebbe cloroformizzato Gulbis e Nadal avrebbe approfittato di un Murray già cloroformizzato di suo.
Solita finale maschile dunque oggi al Roland Garros, solita sfida, la quarantaduesima fra i due, che nella metà del tempo ne hanno già giocate dieci in più di Nadal e Federer. Djokovic alla ricerca del primo titolo a Parigi. Nadal del nono. Pronostici inutili, tanto già si sa che se ci sarà spettacolo, esso verrà dalla rissa agonistica che i due porteranno in campo. Lo chiamano tennis, ma sa tanto di boxe.
Così, è toccato alle tenniste saziare la voglia di novità. Lo hanno fatto con zelo, finale compresa. Nella quale Maria Sharapova (dieci anni fa, nel 2004, festeggiava il primo titolo a Wimbledon) ha fatto da ultima fortificazione sulla strada del-l’orda generazionale che si è abbattuta sul Roland Garros. Così come Simona Halep, rumena, ventidue anni, pur perdendo è apparsa l’avanguardia dell’esercito delle feroci fanciulle, che dalla Muguruza vincitrice sulla Williams, alla Tomljanovic liquidatrice della Radwanska, passando per la facciosaTownsend e la mielo-sa Schmiedlova, fino alla Bouchard semifinalista, hanno cambiato il volto del torneo femminile. «Sembra che tutte queste ragazze sappiano bene come trovare la strada del successo», dice convinta Martina Navratilova. Il testimone sta per passare di mano. Solo tra le donne però.
Djokovic vuole strappare il trono a re Nadal (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport, 08-06-2014)
E’ una storia infinita, un serial che promette di continuare. La partita di tennis (maschile) più giocata nell’Era open: quella di oggi fra Rafa Nadal e Novak Djokovic è la puntata numero 42 di una rivalità che ha già sorpassato quelle fra Con-nors e McEnroe e Connors e Lendl, che contano 35 match ciascuna. Per arrivare alle 80 sfide fra Martina Navratilova e Chris Evert ce ne manca ancora, ma in fondo Rafa ha 28 anni, Nole uno di meno, di tempo davanti a loro ne hanno. Sul centrale del Roland Garros si incontrano perla 12a volta in uno Slam, e stavolta la superiorità di Nadal non è così scontata.
Negli ultimi due precedenti a Parigi (finale 2012 e semifinale 2013) ha avuto ragione lui, ma la sconfitta incassata dal rivale a Roma ha scosso molte certezze. «Il problema è che non mi sentivo più a mio agio sulla terra», ha ammesso qui a Parigi il n.1 del mondo. «Giocavo, ma era come se qualcosa non s’incastrasse bene. ll problema era soprattutto il diritto: non riuscivo a tirarne fuori colpi vincenti. Mi facevo prendere dall’ansia, e mi muovevo male». A Parigi però è arrivato il clic: «Passo dopo passo, tutto è andato a posto. E nella semifinale contro Murray (vinta in tre set secchi, ndr) il mio diritto ha funzionato molto, molto bene».
Attento, Djokovic. Nadal sta progettando di aprire una Academy tutta sua a Maiorca e qui ha palleggiato anche con Duck Lee Hee, un giovane protetto del suo coach Francesco Roig che ha una caratteristica: è sordo. Ieri però per la rifinitura ha scelto il suo vecchio amico Carlos Moya, un ex numero 1 del mondo e un mago della terra. Anche il serbo ieri si è allenato, alla faccia della stanchezza accumulata nel torneo e in semifinale contro Gulbis. Se vincerà per la quinta volta di fila contro Rafa (nei precedenti è sotto 22-19), si riprenderà anche il trono del ranking. Dagli Us Open in poi ha vinto 57 match su 60. Il Cannibale Nadal, oggi, ci dirà se il Joker sa ancora mordere negli Slam.
Nadal-Djokovic La risposta sarà decisiva (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport, 08-06-2014)
Avventurarsi in un pronostico per la finale maschile del Roland Garros tra Rafa Nadal e Note Djokovic è compito quanto mai gravoso. Fino a venerdi mattina lo spagnolo era sembrato in ritardo di forma, poco centrato nei colpi e non particolarmente reattivo negli spostamenti laterali. Invece il serbo macinava con sicurezza gli avversari imponendo alle partite un ritmo indiavolato basato sulla proverbiale elasticità fisica. Con le mutate condizioni atmosferiche, l’improvviso aumento della temperatura e di conseguenza un terreno di gioco meno soffice, ipronostici degli addetti ai lavori sembrano pendere a favore di Nadal. Le ultime sfide sono state appannaggio di Djokovic e dal punto di vista della fiducia hanno un certo peso, ma quando i valori in campo sono cosi vicini, basta un niente per far pendere la bilancia a favore di una parte o dell’altra. Il Nadal ammirato contro lo spento Murray ha mostrato un servizio calibrato, un back che non prendeva aria e, con la ritrovata rapidità di piedi , le incontenibili accelerazioni di dritto. Nole invece ha disputato contro un valido Gulbis un match a intermittenza, privo dell’abituale solidità , con poca spinta nelle esecuzioni di rimbalzo e alcuni momenti durante i quali ha mostrato un certo deficit fisico. Sono entrambi la massima espressione del gioco moderno basato sulla pressione da dietro e la ricerca di aperture sulle diagonali maggiori per poi pizzicare l’avversario con il mortifero lungolinea. Molto probabilmente il giocatore che saprà ribattere con continuità eseguendo la gittata più profonda sarà anche in grado di comandare lo scambio e in definitiva di avere la meglio.
Errani-Vinci, vicine al club delle grandi (Daniele Azzolini, Avvenire, 08-06-2014)
Il doppio perduto, come le pan perdu, un dolce fatto con il pane secco. Buono, ma da mensa povera Il giudizio è tagliente, né più né meno della risata di John McEnroe quando gli hanno chiesto se i gemelli Bryan, in cima alla lista delle coppie più forti di questi anni, potrebbero figurare in una classifica di tutti i tempi con tutti i titoli che hanno vinto. «What?», che cosa? «You cannot be serious», non potete dirlo seriamente, la sua risposta. Una volta il doppio era giocato dai campioni: oggi no, e la disciplina è diventata di contorno. Ma le coppie moderne qualcosa da replicare ce l’hanno. Per esempio, che oggi non puoi mai sapere chi ti troverai di fronte, dato che molte coppie sono di nuova formazione. Con quel che ne consegue… Difficile sapere se sono già affiatate oppure no, come giocano, come si dispongono. Questi pensieri agitano la vigilia della finale più italiana che vi sia, quella di oggi del doppio femminile. Da due anni e mezzo, Sara Errani e Roberta Vinci dominano la scena, e hanno raggiunto numeri prodigiosi, aprendo un piccolo (al momento) capitolo su di loro nel grande libro della Storia del nostro sport. Negli ultimi dieci tornei dello Slam sono state finaliste sette volte, e in quattro occasioni hanno vinto, gli Australian Open nel 2013 e nel 2014, Roland Garros e Us Open nei 2012. il quinto titolo, oltre a mantenere viva la dolcissima prospettiva di cogliere il Grand Slam (la vittoria nell’anno solare di tutte e quattro le prove majors), le depositerebbe al quinto posto nella classifica delle coppie più forti, un club prestigioso e quasi esclusivo, nel quale figurano le tenniste più grandi che si siano viste, dalla Navratilova alla King. L’impresa, dunque, è di quelle che valgono. Per portarla a termine, Sara e Roberta devono battere le “diversamente cinesi”, Peng e Hsieh, la prima della Repubblica Popolare, l’altra di Taipei: una coppia che in un anno ha scalato rapidamente la classifica fino a superare le stesse azzurre.