“Zio Toni” non è più uno scherzo

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“Zio Toni” non è più uno scherzo

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All’indomani della conquista del nono titolo al Roland Garros (e del 14° Slam in totale), Steve Tignor analizza il sodalizio ormai quasi ventennale tra Rafael Nadal e “Zio Toni”.

Non è passato molto tempo da quando Mary Carillo, commentando per la televisione americana, disse che le parole “Zio Toni” suonavano come una specie di scherzo. Quale tennista professionista si sarebbe portato dietro suo zio per farsi allenare da lui in un torneo del Grande Slam? Questo tennista era ovviamente Rafael Nadal, un ragazzo proveniente da una piccola isola e che, all’epoca, stava sfidando Roger Federer per il titolo al Roland Garros. In quel periodo il coach di Federer era il leggendario campione australiano Tony Roche. Zio Toni contro Tony Roche: era difficile non essere d’accordo con Mary Carillo che sosteneva che la sfida tra allenatori era impari.

Ne è passato di tempo, da allora. E così l’uomo che ora è universalmente conosciuto come “Zio Toni” – Toni Nadal, sembra essere diventato lo zio di tutti; ma nessuno osa più dire che suona come uno scherzo. Domenica scorsa, Rafa è stato ricoperto di elogi per aver vinto il suo 14° titolo del Grande Slam. Quello che non è stato detto, però, è che suo zio ha vinto il suo 14° titolo Slam da allenatore. Si è discusso molto se Rafa verrà considerato come il più grande giocatore di tutti i tempi, ma potremmo porci anche un’altra domanda: Toni Nadal può essere già considerato come il miglior allenatore di tutti i tempi?

Toni, che se possibile è ancora più realista di suo nipote, avrebbe quasi sicuramente qualche obiezione da fare, e non avrebbe poi tutti i torti. Se è vero che è molto difficile paragonare giocatori di diverse epoche, è ancora più difficile confrontare i vari allenatori. Almeno per quanto riguarda i giocatori delle varie epoche si può trovare un punto in comune: vincere. Il ruolo dell’allenatore, invece, è molto cambiato attraverso i decenni, e il tipo di coach che conosciamo oggi difficilmente esisteva prima degli anni ’70.

Prendiamo, ad esempio, l’allenatore più famoso di tutti, l’Australiano Harry Hopman. Era in attività quando il tennis era ancora uno sport per dilettanti, quando la Coppa Davis, più dei tornei del Grande Slam, era l’obiettivo massimo per un tennista. Questo lo ha fatto somigliare più a un allenatore “di squadra” che a un coach rivolto a un singolo giocatore. Ha creato una stirpe di giocatori australiani che hanno dominato la Coppa Davis per più di un decennio, e negli anni ’70 – quando si trasferì a Long Island – ispirò giocatori del calibro di John McEnroe, Vitas Gerulaitis e Peter Fleming. Sicuramente Hopman è irraggiungibile per la quantità di giocatori che ha seguito, ma non è rimasto legato con uno di loro per tutta la sua carriera come Toni Nadal ha fatto con Rafa.

Nick Bollettieri, invece, è stato un misto tra i due. Come Hopman ha provato a far emergere più giocatori possibile dalla sua accademia ma, come i moderni allenatori, ha anche accompagnato i suoi giocatori più talentuosi, come Monica Seles, Andre Agassi e Boris Becker. Ora Nick ha i numeri, ma attualmente non segue in via esclusiva nessun campione.

Poi ci sono i genitori: Jimmy Evert, Gloria Connors, Karolj Seles, Melanie Molitor, Mike Agassi, Richard e Oracene Williams, Judy Murray e tanti altri. Essi fondamentalmente pongono le basi per il successo dei loro figli, prima di lasciare ad altri il compito di seguirli quotidianamente. Pete Fischer ricoprì un ruolo simile con Pete Sampras, allo stesso modo di Robert Lansdorp con Tracy Austin e Maria Sharapova, e Jelena Gencic con Novak Djokovic. Forse è proprio perché Toni non è il papà di Rafa che i due riescono a portare avanti un sodalizio professionale e familiare che dura ormai da due decenni.

Infine ci sono gli allenatori professionisti, quelli che prendono talenti già formati e li portano a vincere i tornei del Grande Slam: Lennart Bergelin con Bjorn Borg; Paul Annacone con Pete Sampras e Roger Federer; Roche con Ivan Lendl, Pat Rafter e Federer; Dennis Ralston con Chris Evert; Tony Pickard con Stefan Edberg; Heinz Gunthardt con Steffi Graf; Nancy Lieberman (e altri) con Martina Navratilova; Lendl con Andy Murray.

Quello che si può dire è che l’unico di questi allenatori che può avvicinare i 14 titoli Slam di Toni Nadal è proprio Tony Roche. Ha vinto titoli con Lendl, Rafter e Federer (quest’ultimo tra il 2005 e il 2007). Ma Roche non aveva su nessuno dei suoi giocatori l’impatto che Toni Nadal ha sul suo.

Zio Toni è una rara combinazione di allenatore “di base” e coach professionista: è come se fosse Mike Agassi, Brad Gilbert, Jimmy Evert e Dennis Ralston riuniti in una sola persona (forse il paragone più vicino potrebbe riguardare il tipo di rapporto che legava Carlos Rodriguez a Justine Henin). Toni ha introdotto suo nipote a questo sport e gli ha insegnato come colpire la palla, ed è nel box dei giocatori in ogni match. Quando domenica scorsa ha vinto il suo nono Roland Garros, Rafa è subito andato sugli spalti per abbracciare la sua famiglia e il suo allenatore.

Cosa forse più importante, Toni ha instillato in Rafa una filosofia del tennis – lezioni sullo sport unite a lezioni sulla vita e viceversa. Lo ha trattato molto duramente, gli ha chiesto molto di più di quanto chiedesse ad altri, non ha mai lasciato che si comportasse come un divo. Gli ha insegnato ad essere stoico, ad accettare che le cose negative accadono – in campo e fuori – e che la vera vittoria sta nell’affrontarle e superarle. Ha fatto suo il sogno di Rafa di essere un campione e gli ha insegnato a non accontentarsi.

In breve, Toni è stato – e probabilmente lo è ancora – un gran rompiscatole (l’autobiografia di Rafa nel 2012 avrebbe forse dovuto essere sottotitolata “Le mie avventure con quel pazzo di mio zio”); ma era il giusto rompiscatole e, guardando indietro, il suo ruolo di zio era perfetto. Era emotivamente, più che finanziariamente, coinvolto nella carriera di suo nipote; Toni non viene pagato da Rafa. Insieme a Sebastian, il papà di Rafa, forma una coppia che si completa nel team: è libero di essere severo con il suo allievo, senza avere tutte le complicazioni che vengono da un rapporto genitore-figlio, e allo stesso tempo questo fa sì che Rafa possa essere positivamente influenzato da suo padre.

La cosa importante è che questa collaborazione zio-nipote non ha mai finito di svilupparsi, è stata fondamentale all’inizio della carriera di Rafa, ma in seguito è diventata professionale. Rafa è famoso per cercare sempre di migliorare il suo gioco, per provare a cambiare i suoi colpi e per tentare di trovare sempre soluzioni più efficaci per vincere i punti. Il movimento del servizio è notevolmente diverso rispetto a sei anni fa, e questo in parte deriva dal rapporto che ha con il suo allenatore. Il loro livello di confidenza è tale che possono provare insieme qualunque cosa, e Toni è famoso per essere di mentalità molto aperta, anche rispetto a idee di persone che non ha mai conosciuto. Spesso Toni si riferisce a Rafa usando l’espressione “noi”: abbiamo fatto questo, abbiamo vinto quello. In questo caso non si sta prendendo il merito, bensì sta semplicemente ammettendo che dietro i successi di Nadal ci sono il lavoro e la volontà di due persone.

Ovviamente il nipote è d’accordo. Anni fa, durante un periodo negativo della sua carriera, chiesero a Rafa se avesse mai considerato l’ipotesi di cambiare allenatore. Lui semplicemente alzò un sopracciglio, fece una smorfia e disse “Eh?”. A differenza di qualsiasi altro giocatore, è impossibile immaginare Rafa senza il suo mentore. Un rapporto che all’inizio sembrava uno scherzo si è trasformato nella migliore accoppiata giocatore/coach di tutti i tempi. Dovremmo tutti avere uno zio in grado di fare tutto questo per noi…

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