TENNIS – È una Sara Errani quantomai diretta e sincera quella che si confessa sulle pagine del settimanale “D” de “La Repubblica”, in edicola sabato 28 giugno: lo è soprattutto quando parla del rapporto delicato dei tennisti con i ranking settimanali. Simone Carusone
Generalmente siamo abituati a tennisti che affermano di non guardare le classifiche e di giocare indipendentemente dai punti da difendere e dalle posizioni del ranking in ballo.
La romagnola di Massa Lombarda, invece, ammette di essere molto influenzata dalla classifica mondiale:
«La guardo di continuo, mi appassiona. Ci sono tante giornate in cui sei distrutto dalla stanchezza. Durante il Roland Garros, o agli Internazionali di Roma, ho giocato tantissime partite, singolo e doppio, singolo e doppio. Mi svegliavo al mattino e dicevo: io non ce la faccio, oggi non ce la faccio. Ma è lì che devi reggere, muovere tutto con la volontà di riuscire a rialzarti e ricominciare. Il ranking mi motiva. Poi in campo pensi al tennis, ma questa cosa di contare i punti mi aiuta a trovare motivazione. A volte penso “10, 20, 50 punti in più chissenefrega…”, altre mi alzo dicendomi “Coraggio, se fai questo sono 5 punti in più”, e torna l’adrenalina».
Non mancano, però, i momenti di grande stanchezza,sia fisica che psicologica, ma grazie alla passione per lo sport e all’autocontrollo Sara riesce ancora a divertirsi:
«Lo sport a questi livelli è durissimo. Le articolazioni soffrono, per l’usura magari a 40 anni non potrò più muovermi. Non è come quando fai esercizio per restare in forma. Qui devi imparare a gestirti, ad ascoltarti. Eppure mi diverte ancora. Mi piace palleggiare con il mio allenatore. E mi piacciono i tornei, la competizione, studiare la strategia, pensare tatticamente a una partita».
L’ex finalista del Roland Garros, inoltre, non nega che le soddisfazioni professionali degli ultimi anni l’abbiano caricata di grandi responsabilità, e a volte, per questo, le piace scherzare con il suo allenatore, Pablo Lozano, per ricordare gli anni in cui la sua carriera era più “tranquilla”:
«Sì, e abbiamo anche la fortuna di essere molto ben pagati, ma ogni tanto guardo Pablo e per scherzare gli dico: “Certo, era bello quando ero quarantesima”, quando avevo ancora i miei spazi e me la godevo in un altro modo».
Le parole d’ordine della sua vita sono sacrificio, sofferenza e forza, che a lei di certo non manca da quando, a soli 12 anni, si trasferì da sola in Florida per frequentare l’accademia di Nick Bollettieri:
«Io lo sono per carattere. È una dote che avevo e che ho anche coltivato: la forza l’ho tirata fuori soprattutto da Bollettieri, è lì che ho imparato a soffrire. Non sono mai andata in gara pensando “Adesso vinco il torneo”. Sono sempre scesa in campo ripetendo “Adesso vinco il primo punto della prima partita. E poi penso al secondo, al terzo e così via, al risultato di quella partita e poi al secondo turno, se vinco”. L’obiettivo è domani, poi sarà dopodomani».