Con Djokovic e contro Federer, perché il tennis non è solo eleganza

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Con Djokovic e contro Federer, perché il tennis non è solo eleganza

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TENNIS – A Wimbledon, Federer ha fermato il tempo. Djokovic invece, sconfiggendo il sublime svizzero ha semplicemente ribadito di essere il migliore. Il racconto di una vittoria vissuta dall’altra parte del fiume, sostenendo il serbo.  

 

Programmare un weekend al mare nella tre giorni conclusiva di Wimbledon per seguire le fasi finali del torneo più importante del tennis è una cosa ardita. L’estate dura mesi, semifinali e finale del torneo dei campioni no. Se poi quando arrivi in pineta ti accorgi di aver dimenticato a casa la scheda Sky per seguire l’incontro allora provi il sentimento noto come sconforto. Bisogna rimediare, e non c’è McGyver. Avevo seguito le semifinali. Non avevo dubbi che Novak Djokovic e Roger Federer avrebbero conquistato la finale del torneo. Le fasi finali di un torneo dello Slam sono come la Champions League o i Mondiali per il calcio: esperienza e carisma contano più di tecnica e altro, spesso e volentieri.

Domenica quindi l’incontro dell’anno. Roger Federer, il tennista amato da tutti, quello a cui ci si riferisce di solito con gli appellativi di Re, il Tennista, l’eletto, l’immortale, il più grande di tutti i tempi e via dicendo. Esteticamente, nessuno è come lui nel colpire la palla con gesta fluide, armoniose, sorrette da una postura spesso immortalata deliziosamente dai fotografi sportivi più famosi. È talmente elegante che neanche la bandana, un orpello spesso ritenuto cafone, stona sulle sue mise molto classiche e mai ardite, financo nella colorazione. È svizzero, per vulgata corrente quindi freddo e algido. Contro di lui quello che viene definito “il prototipo del tennista moderno”, Novak Djokovic. “L’uomo di gomma”, “tiramolla” e via dicendo, giocatore cui si fa riferimento per il grandissimo fisico, per aver brevettato la scivolata anche sui campi in cemento e per la grande solidità mentale, lui che ha imparato a giocare a tennis sotto i bombardamenti Nato nell’ex Jugoslavia. Una storia di sport bellissima no? Esteticamente, fra i due non c’è partita. Il suo tennis a livello esecutivo è molto costruito. Il suo colpo naturale è il rovescio, fra i migliori di sempre nel tennis, colpito con una naturalezza e una postura che rende il lato sinistro del serbo una zona di campo da evitare per gli avversari. Diritto e servizio sono il frutto del duro allenamento, colpi diventati incisivi e sicuri grazie al lavoro sul campo. Ad ogni modo, anche se a molti esteticamente non piacerà, c’è una sua magnifica foto premiata dal World Press Photo 2014 che lo immortala colpire un diritto in estensione. Il match dei match quindi. L’occasione di Federer di entrare nella storia, di superare Sampras come titoli vinti a Wimbledon(7 ex aequo ora), di vincere l’ultimo grande torneo con uno straordinario colpo di coda, nel giardino tennistico che sente come casa sua, contro l’emblema dei tennisti moderni e per questo reietti. Che bellissima storia di sport sarebbe no? Il Campione che vince contro tutti i suoi (pochi) detrattori, contro l’età che avanza, contro il tempo quindi. E poi Djokovic sarà distratto dal prossimo matrimonio, dalla prossima paternità no? Non può mettersi di traverso nel lieto fine che vuole Roger dedicare il trofeo a moglie, figli e figlie. Ma un’altra finale Slam persa sarebbe dura da mandare giù, e il carattere nel tennis si chiama Djokovic.

Sotto la pineta, con gran parte della popolazione dormiente e riposante in attesa dei mondiali in notturna, il panico di perdere il match dell’anno sparisce quando trovo un amico disposto a prestarmi la sua scheda Sky con pacchetto sport. Tiferò Novak Djokovic. Vi spiego il perché. Federer piace a tutti, a troppi. Lo adoro anche io senza compromessi. Cerco come ogni tennista della domenica di imitare i suoi colpi, giocando con la Wilson e colpendo ad una mano sempre. Quando ho iniziato a seguirlo in Tv mi sono esaltato peri suoi gesti, che ho cercato di studiare quando poi l’ho visto dal vivo. Ricordo di essere stato felice tennisticamente come poche altre volte quando riuscì a battere proprio Djokovic sul rosso di Parigi, in semifinale al Roland Garros. Però criticarlo vuol dire essere accusati di iconoclastia. Anche solo evidenziare i suoi comportamenti altezzosi, specie quando perde, trascina dietro le strali delle sue legioni, onnipresenti. Adesso è tempo che Djokovic vinca un altro Slam. Perché quest’anno è quello che sta giocando meglio e merita che sia Wimbledon a consacrare il suo 2014. E poi mi piace la sua storia personale, la sua voglia di non mollare mai. Mi piace perché ha dato già prova in passato (Us Open 2011, proprio contro Federer) di vedere la speranza quando gli avversari vedono già la vittoria, perché ha scelto la via del sacrificio alimentare per migliorare ancora di più e vincere su quei prati che vide in Tv per la prima volta a 5 anni, già sicuro di vincervi un giorno.

Non è voglia di fare il bastian contrario. Tifare contro Federer in questo match non è fare snobismo. È che tifare per Djokovic è tifare l’allenamento, l’esaltazione del carattere come arma tennistica principale, la voglia di non soccombere più che quella di non lottare. È tifare la forza mentale di un giocatore che si esalta quando è spacciato. Un tennista che nel momento topico di un incontro che se fosse calcistico terminerebbe in pareggio se è a posto fisicamente riesce sempre ad alzare l’asticella e a farlo suo. Prevale sempre nello scontro frontale con la forza dell’esaltazione che il linguaggio del corpo non nasconde, battendo il pugno sul cuore, mulinando il braccio verso il suo box con il quale ha bisogno di un contatto visivo e uno scambio d’attenzioni costante. Djokovic poi, ha vinto la madre di tutte le battaglie tennistiche del tennis moderno, la finale dello Australian Open 2012 contro Rafael Nadal durata 5 ore e 53 minuti e questo sarà sempre ricordato, al pari di questa finale di Wimbledon.

Perso il primo set in maniera sfortunata Nole non si abbatte e quindi non mi abbatto. Nole sta giocando meglio, merita lui di vincere e di fatti la vittoria controllata del secondo parziale restituisce giustizia al punteggio dell’incontro fin lì e speranza al mio tifo. Poteva essere due set a zero e match praticamente finito. Fa caldo in pineta e non riesco a rimanere, al contrario del solito, algido e distaccato nei confronti della finale. Mi muovo sulla poltroncina da mare in tela verde cercando di buttare a rete con lo sguardo i rovesci di Federer, sperando che Djokovic faccia in tempo ad aprire di diritto visto che lo svizzero gioca di controbalzo e non arretra di un centimetro. Oggi non stecca nulla e continua a servire ace come se fosse la cosa più naturale del mondo. Che campione. Avanti due set a uno quando arriva il break che lo porta 5 a 2 nel quarto mi affretto su Twitter – come molti – a prospettare la fine della contesa. Arriva però la rivolta di Federer. Troppe volte si era arreso al tempo, impersonificato molte volte da malanni e altre volte da giocatori più giovani di lui. La ribellione di Roger, nel mezzo del parziale forse più bello degli ultimi anni, scalfisce gli schemi mentali di Djokovic, che ora, forse, vorrebbe trovare nel suo box Vajda ad incoraggiarlo. Vorrebbe ricevere in cambio del suo sguardo verso l’angolo della grinta, un pugno al cielo e qualche urla. E invece trova un Becker freddo, forzoso nella sua esultanza controllata. Non c’è neanche Jelena, in albergo a seguirlo in TV. Intanto altri vicini di pineta passano a chiedere il punteggio. Si fermano a guardare un po’, si abbandonano  in ricordi del tennis su erba vecchi di decenni, non apprezzando minimamente l’evoluzione fisica e mentale di questo sport, giunta allo Zenith forse. Si fanno i soliti nomi: Borg, Connors, McEnroe. Si arriva a Sampras se si è fortunati e competenti un minimo. Ma è tennis anche questo di Djokovic e Nadal, anche senza fare le volée ma è difficile farglielo capire nel tempo di sorseggiare un caffè che a me non serve per stare con gli occhi sbarrati sul piccolo schermo. Quinto set quindi e tanta paura perché Roger sta bene, si è conquistato l’occasione della vita resistendo, lui questa volta. Sulla palla break che Djokovic annulla sul 3 a 3 ho pensato che fosse finita. Vedevo già Federer alzare la coppa, forte dell’ennesimo record e Djokovic battuto ancora una volta ma consolato dal prossimo matrimonio. Sarebbe stato giusto così no? D’altronde il serbo era anche stanco della quindici giorni del torneo, costretto a incontri lunghi e impegnativi a differenza del suo avversario. E invece no. Non oggi. È qui che scatta il click. È qui che Djokovic si ricorda della strada che ha fatto per arrivare lì anche quando ha già conquistato molto, e soprattutto restituito molto ai bambini pieni di sogni come lui nella sua Belgrado.

Va a vincere, facendosi trovare pronto nei due minuti in cui Federer si appanna, cedendo forse per un attimo alla perfezione tennistica che lo aveva accompagnato fin lì. Aveva gli occhi della tigre Roger, grintoso come poche altre volte, campione nel gestire la pressione di un evento epocale, di un incontro di cui si parlerà negli anni a venire. Consapevole forse di aver rovinato una storia bellissima di sport, che non sarà mai ricordata per il lieto fine che auspicavano in molti, Djokovic esulta contenendosi. Non strappa la sua maglietta. Vuole amore. Emula Cash nell’arrampicata sulle tribune, abbraccia il suo staff, ovvero la sua terza famiglia dopo quella d’origine e quella che sta costruendo con Jelena, che nei nostri pensieri sta saltellando con giudizio sulla moquette dell’albergo, in pantofole.

È passato un pomeriggio intero. In pineta torna la gente dalla piscina e dal mare. “È finita?”, chiede, volendo sapere in pochi attimi come sia maturata la vittoria. Vai a spiegargli le bombe della Nato, il campo in cemento crepato e senza rete, il muro preso a pallate, la dieta particolare, l’assenza del cioccolato per un anno e mezzo della sua vita (mangiata proprio dopo aver battuto Nadal in Australia nel 2012),  lo yoga e tanto altro. “Ha giocato meglio”, rispondo, non volendo raccontare quello che andava vissuto anche davanti al piccolo schermo per essere capito: ha vinto il sogno di un bambino e la determinazione di chi si è fatto le ossa in strada. Perché il tennis non è solo eleganza. Non è solo colpire bene. È cuore, è testa, è fisico. La miscela di tutto ciò rende ogni tennista diverso dall’altro. E quando trovi la formula giusta di questa alchimia allora sei Novak Djokovic, il più forte oggi.

 

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