James McGee, dal Gabon a New York in 365 giorni

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James McGee, dal Gabon a New York in 365 giorni

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TENNIS – James McGee, irlandese di 27 anni, giocherà a New York per la prima volta in un tabellone di uno Slam. Non ha un allenatore e viaggia spesso da solo, tiene meticolosamente conto di tutte le sue spese ed è uno dei pochi tennisti nel circuito ad aggiornare personalmente un blog.

 

Dopo aver perso per 6-0 il primo set nel turno decisivo delle qualificazioni agli US Open, sembrava che James McGee, il numero uno irlandese, dovesse rimandare ancora una volta il sogno di giocare nel main draw di uno Slam. Ze Zhang, che a inizio 2014 si è qualificato per il tabellone principale degli Austalian Open e ha poi strappato un set a Fernando Verdasco nel primo turno, stava per negargli quella gioia che lui stesso aveva assaporato qualche mese prima battendo Schwartzman, Harris e Marchenko. Ma McGee, numero 195 ATP, ha la stoffa di chi non molla mai e con il break in apertura di secondo set ha dato il via ad una rimonta che è terminata al quinto match point con l’irlandese a terra, incredulo di quanto fatto e finalmente ammesso a giocare tra i grandi.

La storia dell’Irlanda negli Slam è piuttosto breve. Ufficiosamente, il primo irlandese a partecipare ad uno Slam fu Matt Doyle, che raggiunse gli ottavi agli US Open nel 1982. Ma giocava per la bandiera statunitense e fu un altro statunitense di origini irlandesi, John McEnroe, ad interrompere la sua corsa. Perciò l’Irlanda dovette aspettare ventotto anni prima che un suo tennista riuscisse a qualificarsi nel main draw di un Major: a raggiungere quello storico risultato fu Louk Sorensen agli Australian Open 2010, quando riuscì perfino a battere Yen-Hsun Lu al primo turno. Dopo quella vittoria, Sorensen ha partecipato ad un altro Slam (gli US Open 2011) e stava pensando al ritiro quando ha ripreso improvvisamente a vincere: prima al Future di Guangzhou pochi mesi fa, poi raggiungendo in aprile un’insperata semifinale al Challenger di Santiago. Sorensen è stato un pioniere: dopo di lui, anche Conor Niland si è qualificato per la prima volta in uno Slam (Wimbledon 2011). Ora il testimone è arrivato nelle mani di James McGee, ventisettenne di Dublino, che dopo aver battuto in trentanove minuti Gonzalo Lama nel primo turno di qualificazioni agli US Open, ha dovuto lottare fino al 7-5 del terzo set per eliminare la trentesima testa di serie, Yuki Bhambri, e rimontare infine uno 6-0 al cinese Ze Zhang, che già pregustava il secondo tabellone Slam dell’anno.

La storia di James McGee è la storia di un giramondo che pian piano si è fatto strada fino ad arrivare al tavolo meglio imbandito, quello degli Slam. Era la quinta volta che l’irlandese provava ad accedere al primo turno di un Major ma solo al Roland Garros c’era andato davvero vicino, perdendo solo al turno decisivo contro Andrea Arnaboldi. Un anno fa, di questi tempi, l’irlandese pensò di non essere ancora pronto per le qualificazioni nei Major dopo che il primo tentativo si era concluso con una rapida sconfitta a Wimbledon. McGee decise allora di giocare al Future di Libreville, la capitale del Gabon. Finì per vincere il quarto torneo della carriera ma per colpa del rinfresco post-match si beccò un attacco di dissenteria. Inconvenienti che possono capitare per chi viaggia così tanto: dal 2012 ad oggi McGee ha visitato 26 Paesi a caccia di punti ATP. Tra questi ci sono il Bahrain, l’Indonesia e appunto il Gabon. Nel 2009 McGee si spinse fino in Siria, subito dopo aver giocato con una caviglia azzoppata un match di doppio in Coppa Davis contro Cipro. “Presi un volo la domenica notte ed arrivai alle tre di mattina, dovendo giocare una partita poche ore dopo. Il mio bagaglio non arrivava per cui fui costretto a farmi prestare un paio di scarpe e delle racchette“. Gli inconvenienti, però, fanno parte da sempre della sua vita e McGee è diventato una sorta di maestro del mantra “far buon viso a cattivo gioco” (o come dice lui nel suo blog che aggiorna con una certa frequenza: “Non importa ciò che ti capita, ma come reagisci”): “Il mio avversario era un siriano che aveva ricevuto una wild-card. Lottava su ogni punto. Il pubblico era eccitato, fischiava. C’erano dei tamburi. Io zoppicavo, avevo dormito e mangiato male e mi domandavo: ‘Come diavolo sono finito qui? Stai giocando per 100 dollari, non ti ci paghi nemmeno l’aereo‘. Ma alla fine vinsi la partita e arrivai fino in semifinale conquistando otto punti ATP, il mio miglior risultato di quell’anno“. La vittoria su Ze Zhang, invece, ne vale almeno 35: 25 per la qualificazione e 10 per il primo turno contro Aleksandr Nedovyesov, numero 108 ATP.

In quanto a forza di volontà, McGee ha probabilmente pochi rivali nel circuito. “Ricordi come i match in Siria o in Gabon ti danno coraggio. Penso che il cuore sia una delle mie forze. Magari se non avessi passato quelle disavventure non avrei la stessa fame“. Ma la volontà, nel tennis, spesso non basta. Ci vogliono soldi, tanti soldi, per pagare le trasferte, il fisioterapista, l’hotel, le tasse. E lo sa bene un tennista giramondo come lui, che nel suo blog ha dedicato alla questione un lunghissimo post in cui spiega dettagliatamente tutte le spese che deve affrontare un tennista del suo livello. “Quando non giocano i tornei, i tennisti utilizzano quel tempo libero per riposarsi o allenarsi. Può essere molto costoso, se decidi di pagare un allenatore. Nelle settimane in cui non gioco, io cerco gli sponsor“. La Federtennis irlandese, sottolinea McGee nello stesso post, non supporta economicamente i suoi giocatori per cui James si deve arrangiare come può. Adesso è un finanziatore che preferisce non rivelare la sua identità ad aiutarlo nella sua scalata per un posto al sole, lontano il più possibile dall’inferno dei Future, dalle battaglie con Ryanair per il peso dei bagagli, dagli assegni risicati che non gli permettono nemmeno di ripagare la settimana.

Ma anche se l’inferno dovesse continuare – e New York restasse soltanto una felicissima parentesi nella sua carriera – c’è da scommettere che James McGee non mollerà mai il tennis. “Durante le qualificazioni del Queen’s“, racconta un coach inglese, “tutti si stavano rilassando, giocando a biliardo o poltrendo sul divano. Tranne James, che stava incollato alla televisione per vedere la finale del Roland Garros“. È probabile che in quel momento McGee stesse pensando alle emozioni che solo un Grand Slam può trasmettere. Molto probabilmente non giocherà mai una finale a Parigi, come stavano facendo Rafael Nadal o Novak Djokovic quel giorno. Ma per tennisti come lui, un primo turno a New York è qualcosa di molto vicino in termini di valore.

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