Guerra Panatta-FIT: l'ex tennista condannato ad un risarcimento!

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Guerra Panatta-FIT: l’ex tennista condannato ad un risarcimento!

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Adriano Panatta al Roland Garros 1976
 

TENNIS FOCUS – Adriano Panatta perde la guerra con la Fit e ha dovuto risarcire la Federazione. A scriverne è “Il Tempo” e il suo redattore Daniele Palizzotto. Di seguito l’articolo integrale.

Panatta perde la guerra, Federtennis risarcita (Daniele Palizzotto, Il Tempo)

Adriano Panatta sbaglia, la Federazione italiana tennis incassa. La guerra infinita tra la Fit e l’ex campione romano, durata oltre dieci anni, si è conclusa lo scorso 15 ottobre con i due bonifici effettuati da Panatta per saldare il debito accumulato nel tempo. Totale della somma versata: 25mila e 500 euro, che vanno a unirsi ai circa 19mila euro già incassati, o meglio intercettati dalla Federtennis nel luglio 2008 su un conto corrente intestato al romano. Lo scontro nasce nel 2002 quando la Fit risolve unilateralmente il contratto di consulenza e servizi stipulato con Panatta, all’epoca direttore degli Internazionali d’Italia. Il motivo del «licenziamento» sono i comportamenti dell’ex campione, ritenuti lesivi dell’immagine e delle finanze della Federtennis. Più precisamente, secondo l’accusa Panatta ha incassato 20 milioni di lire in nero da un broker pubblicitario per facilitare le trattative con il main sponsor del torneo; 10 milioni sarebbero poi stati versati a una persona vicina all’ex tennista per ottenere la sponsorizzazione della Provincia di Roma e altri 5 milioni dirottati per pagare gli straordinari dei collaboratori. Panatta, naturalmente, non accetta la decisione della Fit e fa ricorso al collegio arbitrale che, però, dà ragione alla federazione ritenendo legittimo il «licenziamento».

Una decisione confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Roma: secondo i giudici, la «non conformità e correttezza e buona fede dei comportamenti di Panatta è acclarata» perché «è palese la dimostrazione dell’intervento indebito del Panatta quale legale rappresentante della PC&M (detta società, per contratto, non si sarebbe dovuta occupare della sponsorizzazione del Tennis Masters Series di Roma) e la sua percezione di una ingente somma di denaro». E oltretutto, sempre secondo i giudici della Corte di Appello di Roma, le dichiarazioni rilasciate a suo tempo da Panatta contro il «licenziamento» devono ritenersi «potenzialmente lesive dell’immagine della Fit». Persa la causa civile rinunciando al ricorso in Cassazione, Panatta soccombe anche davanti ai giudici sportivi. Prima la Corte federale della Fit, poi la Corte di Appello Federale e ancora la Camera di Conciliazione e Arbitrato del Coni (lodo numero 248 del 2005) danno ragione alla federazione presieduta da Angelo Binaghi, squalificando l’ex tennista per cinque anni (in primo grado era stato addirittura inibito avita) e condannandolo a pagare le spese legali. Siamo nel 2005 e da quel momento per la Fit comincia la «caccia al tesoro», o meglio all’ex dipendente, condannato senza esito a rifondere anche gli onorari del collegio arbitrale.

Panatta sparisce, la federazione – obbligata in solido a coprire le spese – salda gli onorari e poi, nonostante i decreti ingiuntivi con esecuzione provvisoria emessi dal Tribunale di Roma, conduce l’ennesima battaglia a suon di atti di pignoramento, riuscendo a recuperare i ricordati 19mila euro nel 2008 e nulla più. Tutto questo fino allo scorso 25 settembre, quando il legale di Panatta, l’avvocato Oreste Michele Fassone, chiede via mail alla Federtennis le coordinate bancarie dove versare il dovuto. Il bonifico, anzi i bonifici arrivano il 15 ottobre (il primo da 25mila euro, il secondo da 500 euro), effettuati dalla moglie di Panatta, «a saldo definitivo di ogni pretesa da parte della Fit in relazione al decreto ingiuntivo numero 8691 de12007 opposto davanti al Tribunale di Roma». Per la Federtennis lo scontro con uno dei miti della racchetta azzurra, il miglior interprete della nostra storia insieme a Nicola Pietrangeli, finisce così. Panatta, contattato da Il Tempo per fornire la propria versione, preferisce invece trincerarsi nel silenzio (…)

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