Avversari non all'altezza, sorteggi, superfici: ma gli slam sono tutti uguali?

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Avversari non all’altezza, sorteggi, superfici: ma gli slam sono tutti uguali?

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TENNIS – Tra le varie tracimazioni dell’infinita querelle Federer/Nadal una riguarda il valore degli slam vinti da uno e dall’altro. Mancanza di avversari all’altezza? Predominanza di uno Slam su altri? E i sorteggi? Proviamo a fare un gioco


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Se da un lato molti fanno notare come il pacchetto più consistente dei propri 17 titoli lo svizzero lo abbia conquistato nel periodo 2004/09 – un periodo in cui alcuni sostengono ci sia stata una mancanza di avversari all’altezza – dall’altro lato altrettanti rispondono che Nadal ha vinto i due terzi dei suoi sulla terra rossa, evidenziando come lo spagnolo non abbia fatto altro che capitalizzare la sua enorme specializzazione su una superficie su cui gli altri sono evidentemente più a disagio che altrove. Non c’è modo di risolvere queste dispute e in fondo non è neanche del tutto certo che ci sia qualcuno interessato alla soluzione. Quello che forse si può fare è cercare di riflettere sulle “fortune” o “sfortune” di questo o quel giocatore.

Ma naturalmente questo necessità di una premessa. Per quanto il tennis sia sport “onesto”, nel senso che grazie al modo di contare i punti chi vince un match è sempre colui che lo ha meritato di più – grande differenza rispetto al calcio, per esempio – neanche lui, il tennis, è del tutto libero da una certa componente aleatoria.
Del resto per esplicitare quanto la nostra stessa vita sia in mano ad un capriccio del destino Woody Allen non trova di meglio che rifarsi alla pallina che danza sul nastro di una rete da tennis. Qualsiasi cosa si possa pensare a proposito, è ragionevole ritenere che la componente “fortuna” non sia del tutto assente dal nostro sport.

Questo sembra si possa verificare dando un’occhiata retrospettiva ai tabelloni dei tornei. Com’è noto i tabelloni vengono compilati tenendo conto – e in 49 casi su 50 riflettendo pedissequamente – la classifica dell’ATP. Il punto è che la classifica dell’ATP non è fatta per dire X è più forte di Y ma semplicemente per dire che X ha guadagnato più punti di Y in un determinato periodo di tempo. Com’è logico le cose possono cambiare rapidamente; chi era il più forte sei mesi fa potrebbe non esserlo più adesso e viceversa chi lo è adesso poteva essere molto indietro sei mesi fa. Ecco quindi che trovarsi di fronte un numero 10 che nel frattempo ha perso al primo turno negli ultimi sei tornei – esempio estremo – è molto meglio che trovarsi di fronte un numero 20 che era 140 appena sei mesi fa. Ma c’è di più. Il tennis è sport di match-up e a parte quello classico sotto gli occhi di tutti, anche a livelli meno alti si possono verificare casi in cui un giocatore ne soffra particolarmente un altro. Per esempio Fognini con Dolgolopov. L’ucraino è senz’altro un gran talento ma non è certo così più forte di Fognini da giustificare con la sola qualità un parziale di 6 a 0. O per andare indietro nel tempo al 7-3 tra Mecir e Wilander le cose non andavano poi tanto diversamente.

Lunga premessa per dire che alla fine il sorteggio “conta” – cosa diversissima dal dire che è “pilotato”, meglio specificarlo – anche se quanto “conta” si potrà sapere solo ex post, molto più difficile stabilirlo ex ante.

Solo per fare un esempio – ma se accettate il metodo potete tranquillamente trasferirlo allo slam che volete – proveremo a dare un’occhiata agli slam della “fase buia” di inizio millennio. Il triennio 2001/2003 non è scelto a caso, ma è un tentativo di evitare le inutili polemiche su Federer e Nadal e di sfiorare soltanto quelle su Sampras e Agassi.

Allora, in quel periodo abbiamo avuto 10 vincitori diversi su 12 possibili. Solo Agassi (Australian Open) e Hewitt (Wimbledon e US Open) riuscirono a vincerne due.

La domanda capziosa è: un altro sorteggio avrebbe prodotto lo stesso risultato?

Cominciamo dal 2001 e dalla vittoria del numero 6 in tabellone, Agassi, in finale contro nientepocodimeno che il numero 15 – 18 dell’atp – Arnaud Clement.
Agassi incontra in tutto il torneo due sole teste di serie, la numero 12 Patrick Rafter nei quarti e la numero 15, appunto, Clement in finale. Le due partite, contro Rafter e Clement, le vince una al quinto dopo essere stato sotto 2 set a 1 e l’altra in tre set facili, concendendo appena 8 game al francese. In quel torneo c’erano piazzati meglio di lui Kuerten con cui era 5-4 e aveva perso l’ultimo scontro sul duro in tre set nella Master Cup di Lisbona; e Sampras con cui non si incontrava da un anno, ma che affronterà nei mesi successivi battendolo 2 volte su 2. Avanti c’erano anche Kafelnikov, Norman e Safin, ma in quel periodo erano ossi abbastanza addomesticabili. Ciò non toglie che vincere il torneo senza affrontare nessuno di quelli per te potenzialmente complicati da superare è un bel vantaggio. Ma su quel torneo si potrebbero dire tante cose. E non è giusto dimenticare che solo 5 mesi prima a New York Clement aveva surclassato Agassi, sconfiggendolo nettamente in tre set.

Spostiamoci a Parigi. Il numero 1 è Kuerten e Guga non sembra avere rivali sulla terra rossa. Incontra tutte le teste di serie e l’unico che arriva ai quarti senza essere testa di serie è un tipo di cui poi qualche volta si sentirà parlare. È davvero difficile immaginare una combinazione di calendario tale da poter modificare il risultato finale. Il brasiliano non gioca contro Safin (che era la testa di serie numero 2) ma il russo non è mai stato brillantissimo sulla terra anche se l’anno successivo arriverà fino in semifinale.

Due settimane dopo è tempo di Wimbledon. Dell’edizione del 2001 non c’è niente che non sia rimasta impresso nella mente degli appassionati. Dal Sampras-Federer degli ottavi, alle incredibili semifinali e conseguente cavalcata finale di Goran. È stato tutto così perfetto che tornarci su è quasi blasfemo. Ma uscendo dalla romanzesca realtà è stato pur sempre un torneo vinto da una wild card che al momento era fuori dai primi 100. Ivanisevic non gioca né contro Sampras né contro quello che sconfigge Sampras, ma considerata la trance agonistica e il livello elevatissimo di Rafter o dello stesso Henmann (che lo aveva sempre sconfitto prima di allora) non si può certo parlare di avversari agevoli. E allora? E allora niente, quel torneo rimane avvolto nel mistero, meglio così.

A settembre a New York la testa di serie numero 4, Lleyton Hewitt, fa a pezzettini Pete Sampras concedendogli appena due game dopo un set vinto al tiebreak. L’australiano non gioca contro Kuertene che è la testa di serie numero 1, ma questo è uno dei classici casi in cui quella posizione in classifica non corrisponde al valore del giocatore. Guga sul cemento non valeva certo quella posizione e la sconfitta netta contro Kafelnikov ai quarti era stato tutto tranne che una sorpresa. Insomma torneo strameritato per Lleyton, che aveva patito con Roddick e Blake ma aveva avuto un tabellone complicatissimo. Forse uno degli slam più meritati.

Nel 2002 in Australia vince Thomas Johansson, chi era costui? La testa di serie numero 16 non è che fosse proprio il fuoriclasse di cui si aspettava l’esplosione. Aveva quasi 27 anni e una carriera che più normale non si può. Ma a poco a poco gli sfilano tutti gli avversari con cui non avrebbe avuto speranze: Agassi (1/6 il loro bilancio ma Johansson vince ad Agassi ritirato) non va; Hewitt (1/5) perde a primo turno, Sampras, Haas vanno tutti fuori. Lui si trova a giocare contro Novak, Bjorkman, Voinea… In finale trova Safin che chissà da dove veniva e che dopo aver vinto il primo set senza problemi non si raccapezza più. Bravo Johansson, ci mancherebbe, ma che gli capitasse di nuovo era abbastanza improbabile. Infatti a Parigi esce a secondo turno (che è pur sempre il suo risultato migliore…) e a Wimbledon a primo turno.

A Parigi, vince Costa. È il numero 20 il che significa che l’anno prima non sarebbe neanche stato tra le teste di serie. Canas, che non lo batterà mai in carriera, gli fa il favore di eliminare Hewitt, col quale Costa ha un parziale di 1 a 6 (anche se quell’unica partita l’aveva vinta due anni prima proprio a Parigi). Dall’altra parte ci sono Grosjean, Agassi e Safin tutta gente con cui è sotto nei testa a testa. Dalla sua solo gente con cui è praticamente alla pari.

Si va a Wimbledon, Hewitt è la testa di serie numero 1 e in finale a Nabaldian concede solo sei game. L’australiano incontra tutte le teste di serie, tranne la numero 7, uno che comunque fin lì non ha mai vinto niente. Forse è stato un bene evitare Safin, ma i due erano pari e l’unica volta che si erano affrontati sull’erba aveva vinto Hewitt e comunque Safin solo un paio di volte ha giocato decentemente a Wimbledon. Insomma difficile che qualcuno potesse strappargli quel torneo.

L’anno si chiude con l’incredibile vittoria di Sampras a New York. Pete è in piena crisi, non vince un torneo da Wimbledon 2000 e negli ultimi tre anni ne ha vinti appena 2, in classifica è numero 17 e la sua testa di serie è la numero 17. In quel torneo ci sono Hewitt (che lo aveva battuto le ultime 4 volte lasciandogli un solo set, e l’anno prima a New York dopo il tiebreak il buon Pete era crollato); Safin, che Sampras soffriva terribilmente; quello che lo aveva eliminato a Wimbledon l’anno prima e insomma un po’ di gente che soffriva. Sampras li evita tutti, è bravo a liberarsi di Haas, ma poi in semifinale trova Schalken e ci pensa Agassi a regalargli l’ultima gioia della sua vita professionale: togliere di mezzo Hewitt. Tra questo e il Wimbledon 2001 è difficile scegliere quale sia quello più irripetibile.

Il giochino si può ripetere anche nel 2003, con Agassi che agli US Open trova Schuttler in finale, Ferrero vince con Verkerk a Parigi e perde con Roddick a New York. In mezzo, a Wimbledon, perde Philippousis….

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