L'estinzione dei colpi nel tennis (2a parte)

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L’estinzione dei colpi nel tennis (2a parte)

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TENNIS FOCUS – L’evoluzione del tennis contemporaneo ha portato alla progressiva scomparsa di colpi e schemi di gioco che erano fondamentali e frequentissimi nel tennis del secolo scorso. Analisi di quattro colpi in via di estinzione. Di Luca Baldissera e AGF

3) Lob liftati

Nella prima parte abbiamo visto che oggi chi attacca tende a privilegiare sempre la potenza e l’immediatezza del risultato. Allo stesso modo anche chi difende tende a preferire le soluzioni dirette: i passanti lungolinea o incrociati hanno soppiantato i lob in topspin.
A mio avviso l’estinzione dipende da due fattori:
in parte perché poche  giocatrici hanno imparato ad eseguirli al meglio, anche perché non si tratta di una esecuzione facile
in parte dipende invece dalla posizione dell’attaccante; le giocatrici che si presentano a rete lasciano spesso varchi abbastanza invitanti e difficilmente si posizionano molto “sotto” (a volte per mancanza di tempo, a volte per scarsa dimestichezza con le geometrie di volo).

E così ai giorni nostri il pallonetto è utilizzato solo nelle situazioni disperate, quando proprio non ci sono alternative e non c’è quindi il tempo di giocare altro. Ma è tutta un’altra cosa rispetto a quello aggressivo in topspin.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=ITbbA3rLVbw#t=662

Ecco invece qui uno schema “old style”:

E questa è la versione maschile di un giocatore ancora in attività, ma che si è formato negli anni ’90 come Lleyton Hewitt.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=M5PyPDCCAaE#t=0


Analisi tecnica

Fino agli anni ’90, una delle opzioni per contrastare le discese a rete era il lob liftato, ovvero il pallonetto giocato in modo spinto e aggressivo, caricato di top-spin per far scendere la palla entro le righe del campo dopo aver superato l’avversario. Tale esecuzione è da considerarsi un colpo offensivo – o meglio, un colpo di contrattacco – a tutti gli effetti, ben diverso dal semplice lob difensivo.

Lo scopo del lob in top-spin è scavalcare il giocatore a rete, per poi schizzare via grazie alla rotazione rendendo impossibile una rincorsa per recuperare, mentre il “semplice” pallonetto difensivo cerca solamente di ricacciare indietro l’attaccante, ed è giocato come estremo tentativo di salvarsi in uno scambio che vede il difensore in situazione di grande svantaggio, di solito sbattuto lateralmente fuori dal campo. Questo secondo tipo di lob, ormai, è quasi l’unico che si vede ancora eseguire: ed è davvero l’estrema difesa, quando non ci sono altre possibilità di “rimanere vivi” nello scambio.

Ma per tanti, tanti anni, il lob liftato è stato un colpo di altissima spettacolarità, grande difficoltà tecnica, e veniva utilizzato frequentemente da molti giocatori di livello come vera e propria alternativa al passante. Quindi, non in situazioni di particolare difficoltà in fase difensiva (non sempre almeno), ma anche quando il giocatore era ben messo con gli appoggi e l’equilibrio, e sufficientemente in anticipo sulla palla. Come detto, era un’alternativa ai passanti, anche quando questi avrebbero tranquillamente potuto essere colpiti in comodità.

Dai tempi di Jimmy Connors, a quelli di Andre Agassi, arrivando a Lleyton Hewitt (l’ultimo grande “lobber” del tennis contemporaneo), generazioni intere di attaccanti hanno dovuto subire le imprendibili parabole dei migliori interpreti di questo colpo, purtroppo ormai quasi sparito: anche i fenomenali difensori e contrattaccanti di oggi, Nadal e Djokovic su tutti, se possono tirano il passante praticamente sempre. E’ come se la dimensione verticale, in altezza, degli schemi di gioco non esistesse quasi più.

Tecnicamente, un lob liftato comporta una notevole dose di “mano” tennistica, perchè si va a creare il controllo della profondità e dell’altezza della traiettoria solo attraverso la sensibilità in termini di proporzione tra spinta e rotazione in avanti. La palla deve essere abbastanza veloce per sorprendere l’avversario, appena più alta della sua massima potenziale elevazione per lo smash, e tanto carica di top-spin da tuffarsi subito dopo verso il campo. Questo si può ottenere, sia con il dritto che con il rovescio, facendo cadere più dello standard la testa della racchetta verso il basso nella fase finale del backswing di preparazione, portando successivamente il movimento a colpire da sotto verso la palla, e chiudendo il follow-through abbondantemente sopra le spalle, quasi in verticale (di dritto come nel caso del “reverse forehand” tipico di Nadal, di rovescio un po’ meno soprattutto per i bimani che possono sfruttare il richiamo della mano non dominante). Si può così “spazzolare” il colpo verso l’alto-avanti in modo molto deciso, con la componente principale del controllo di profondità che diventa la quantità di rotazione piuttosto che la sola forza impressa. Si deve assolutamente saper “dare del tu” alla palla, insomma, altrimenti l’errore di misura è inevitabile.

E’ un vero peccato che anche questo splendido colpo sia ormai quasi un ricordo, e le ragioni sono piuttosto simili a quelle già viste nei casi degli approcci slice e delle volée in avanzamento: da un lato l’aumentata velocità di gioco, dall’altro le traiettorie estreme e cariche consentite dai materiali moderni. Oggi come oggi, con la palla che viaggia tanto arrotata e rapida su ogni singolo colpo, per chi attacca sarà molto difficile arrivare tanto avanti verso la rete (e probabilmente avrà tirato uno schiaffo al volo da metà campo, non una volée o uno slice): con l’avversario non abbastanza vicino al net lo spazio per il lob sarà ovviamente minore, quando non inesistente. Aggiungiamo a questo l’enormemente aumentata facilità del giocare passanti da qualsiasi angolo del campo, contro attaccanti ben diversi da quelli di un tempo che si appiccicavano alla rete, e si capisce facilmente come l’opzione del pallonetto carico e aggressivo sia ormai utilizzata molto poco. Anche in questo caso, dal punto di vista della varietà tecnica non è certo una cosa positiva.

4) Rovescio ad una mano

Justine Henin e Francesca Schiavone rischiano di passare alla storia come le ultime giocatrici capaci rispettivamente di comandare il ranking (18 maggio 2008) e di vincere uno Slam (5 giugno 2010) utilizzando il rovescio ad una mano.

Se escludiamo le italiane e le spagnole ultratrentenni (Schiavone, Brianti, Vinci, Dominguez Lino) l’eccezione che conferma la regola è data dalla ventiseienne Carla Suarez Navarro.

All’unicità di Carla possiamo solo affiancare qualcuna che stacca la mano per giocare il back (Rybarikova, Flipkens ad esempio). Ma rovesci in topspin monomani non se ne vedono più.

Analisi tecnica: Rovescio a una mano/rovescio bimane

Il grande vantaggio in termini di controllo che dà l’esecuzione a due mani del rovescio, rispetto al più classico swing monomane, oltre che la possibilità di salire meglio sulle palle alte e cariche di top-spin, è soprattutto una questione di tempo. Centesimi di secondo, quando non millesimi, per l’esattezza. In entrambe le esecuzioni, come in tutti i colpi del tennis, la cosa fondamentale per ottenere impatti sicuri, fluidi ed efficaci è incontrare la palla ben davanti al corpo, nel caso del rovescio ben davanti alla gamba destra, che deve essere avanzata e caricata (flessa) contribuendo così al trasferimento del peso.

Finchè il giocatore, grazie alla corretta ricerca della palla con i piedi, e al giusto timing del movimento a colpire, trova un piano di impatto sufficientemente avanzato, che il rovescio venga eseguito a una o due mani non ci sono differenze tanto evidenti come efficacia, anzi con la presa monomane è possibile sviluppare anche maggiore topspin grazie al follow-through più ampio e veloce.

Ma i problemi, e in un tennis moderno tanto proiettato verso l’esasperazione di rotazioni e rapidità della palla sono problemi grossi e frequenti, nascono in tutte quelle situazioni (soprattutto risposta al servizio e recuperi difensivi) nelle quali il giocatore si trova aggredito dal rimbalzo, che sia per la pasantezza o la profondità di un colpo avversario, o per una non perfetta posizione in campo, e non può impattare davanti al corpo.
I bimani, in queste circostanze, grazie all’appoggio della mano di richiamo (sinistra per i destri), hanno la possibilità di recuperare le eventuali frazioni di secondo di ritardo sostenendo e accompagnando la racchetta proprio con la mano non dominante, prossimale al cuore dell’attrezzo, avendo così in pratica una “finestra” di spazio e di tempo estremamente più ampia (dall’impatto ideale, avanzato, fino al limite della gamba posteriore quando sono davvero tardi) entro la quale colpire la palla con successo.

Inoltre, anche se non è l’ideale, è possibile giocare dei buoni rovesci bimani anche in stance (posizione) praticamente frontale, mentre l’esecuzione a una mano può venire sviluppata con incisività solo da affiancati e anche – e meglio – oltre (neutral o closed stance). Anche questo posizionamento del corpo richiede tempo per essere messo in atto. In uno sport nel quale il ritmo e la velocità di gioco sono ormai arrivati a limiti estremi, margini simili si traducono in vantaggi enormi per i bimani. Ma finchè si rimane in ambito ATP, i grandi interpreti del rovescio a una mano sono ancora competitivi: molto diversa è la situazione nella WTA, dove il rovescio a una mano si può dire completamente svanito.

È piuttosto comprensibile una prevalenza dell’esecuzione bimane a livello femminile, tenendo presenti le fasi tecniche di impostazione e la progressione didattica dell’insegnamento, e la minor vigoria fisica delle bambine e delle ragazzine che vengono avviate al nostro sport. Ma una cosa è parlare di prevalenza, anche nettissima, ben altra è trovarsi davanti a un assoluto monopolio. Se poi consideriamo che di esempi vincenti ai massimi livelli di campionesse monomani ce ne sono stati diversi anche in tempi recenti, da Schiavone a Farina (Silvia è stata top-20 fissa per diverse stagioni una decina di anni fa), da Justine Henin ad Amelie Mauresmo, da Alicia Molik ad Anna Smashnova, senza dover arrivare fino a Steffi Graf (insieme a Jana Novotna, la “maestra” dello slice), il rammarico dal punto di vista tecnico è davvero notevole.

Al contrario di quello che sta avvenendo in campo maschile, ovvero un progressivo innalzarsi dell’età in cui i giocatori raggiungono la massima competitività, tra le ragazze, pur non essendoci più le baby-campionesse come Martina Hingis (numero 1 della classifica a sedici anni e mezzo nel marzo 1997), si arriva comunque spesso ad alti livelli professionistici prima dei vent’anni.
Questo significa che una giovane avviata alla carriera agonistica, una volta uscita dalle under 14, nei due-tre anni successivi dovrà iniziare a essere competitiva a livello futures, a raccogliere pian piano i primi punti WTA, per poi capire se il salto successivo verso il tennis “vero” è o meno alla sua portata. A 18 anni devi già essere una bella “belva da campo”, tecnicamente completa, e pronta a crescere ancora atleticamente e tatticamente. Risulta quindi molto difficile, per l’ovvia ragione del gap di forza nel braccio, impostare a una mano e proseguire così attraverso questi determinanti anni di formazione agonistica già proiettata alla massima prestazione, ma di formazione fisica ancora incompleta.

Stiamo davvero rischiando l’estinzione definitiva, e credo irreversibile, del rovescio a una mano nel circuito femminile: e a prescindere dai gusti estetici personali, la scomparsa totale di un colpo è ancora più grave e preoccupante della scomparsa di una fase di gioco.

Per terminare

All’inizio dell’articolo (prima parte) ho proposto un parallelo, piuttosto ovvio, con la biologia e con la teoria dell’evoluzione della specie di Darwin. Forse però avrete notato che ho evitato di mettere in relazione l’argomento tennistico con un concetto fondamentale del pensiero darwiniano: la selezione naturale.
E questo non soltanto perché non è automatico associare l’aggettivo naturale a questioni sportive, ma anche perché non sono convinto si possa utilizzarlo nemmeno in senso lato: vale a dire come qualcosa di spontaneo e inevitabile.

L’evoluzione del tennis è stata naturale? Tutte le trasformazioni tecnologiche (telai, corde, palline, superfici etc) che hanno influito sul gioco (e i colpi utilizzati) vanno considerate come un processo inevitabile? Non è facile rispondere.

Si potrebbe provare a riformulare la domanda: di fronte all’estinzione di certi colpi e di certi schemi di gioco ci sarebbe stata la possibilità di agire altrimenti?
In natura l’uomo a volte cerca di intervenire per fare fronte all’estinzione delle specie animali o vegetali; il panda, ad esempio, è diventato il simbolo stesso di questi tentativi di tutela.
Spesso gli interventi sono stati attuati su pressione dell’opinione pubblica, che ha cominciato a sentire come una perdita da evitare l’estinzione di alcune specie.

Nel tennis questo non è accaduto. Forse è stato determinante il carattere progressivo del fenomeno (di cui parlavo all’inizio dell’articolo) che lo ha reso meno percepibile. Ma se non si è mai formata un’opinione pubblica (mi riferisco agli appassionati, ai giornalisti, ai giocatori, ai dirigenti) che si preoccupasse seriamente di questo, forse significa che il processo è stato semplicemente considerato trascurabile. E se questo è vero, allora penso che molto probabilmente risulterà anche irreversibile.

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