Vajda si confessa: “Novak mi chiama fratello”

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Vajda si confessa: “Novak mi chiama fratello”

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Lo storico coach del n.1 del tennis mondiale si è raccontato in un’intervista a “Vecernje Novosti”: l’infanzia in Cecoslovacchia, la scoperta del tennis, l’amore per la moglie Ingrid e le due figlie. E l’incontro nel 2008 a Parigi con un giovane tennista serbo che voleva diventare n. 1 al mondo

“Ho avuto una bellissima infanzia. Ogni anno l’intera famiglia trascorreva un periodo con la nonna paterna nella località termale di Piešťany (principale stazione termale della Slovacchia, ndr) e uno con la nonna materna nel villaggio di Hutki, vicino alle terme di Bardejov. Nonostante la difficile situazione di allora, abbiamo sempre avuto pace e tranquillità in famiglia. Questa sensazione me la ricorderò per sempre.”
Con queste parole l’allenatore slovacco Marian Vajda (ed ex giocatore, è stato n. 34 al mondo, ndr) inizia un’intervista esclusiva per il giornale serbo Vecernje Novosti, nella quale ha ricordato con gioia le emozioni che hanno segnato la sua crescita e caratterizzato questa prima parte della sua vita: dalla fanciullezza piena di colori, profumi, sapori, all’arrivo sul trono tennistico del pianeta, raggiunto insieme a Novak Djokovic, di cui è amico, fratello, parte della famiglia.

 Com’è stato crescere in Cecoslovacchia negli anni Settanta?
“Posso descrivere la mia infanzia come quella di un bambino libero, piena di avventure e di scoperte, non solo dei segreti della natura, ma anche di me stesso. Le mie nonne erano molto credenti, di conseguenza nella nostra casa, oltre ad una grande ospitalità, c’era anche un certa disciplina, che in noi bambini si rifletteva, ad esempio, nell’imparare le preghiere. Non dimenticherò mai la stanza pulita e profumata, l’odore del burro, del latte e del pane appena sfornato” racconta Vajda.

Qual’è la cosa più importante che ha imparato dai suoi genitori?
“I miei genitori si sono sposati negli anni Cinquanta, quando vigeva un rigido regime comunista. Mio padre – medico –  ha conosciuto mia madre a Považská Bystrica, dove sono nato (nel 1965, ndr), il più giovane di quattro figli. Papà per motivi di lavoro si è poi dovuto trasferire a Nimnica, dove negli anni Cinquanta era stata costruita una centrale idroelettrica. Nel nostro paese c’è abbondanza di acque curative naturali, così a mio padre venne l’idea che potevano essere usate per il trattamento terapeutico. Ha scoperto la sorgente e ha gettato le basi del centro benessere Nimnica (la più giovane Medical Spa della Slovacchia, ndr). L’acqua aveva un effetto molto positivo sulla salute delle persone. Guarivano. Anche se non è stato un periodo facile per noi, la mamma ha mantenuto una bella atmosfera familiare. I miei genitori, i miei fratelli e sorelle erano e sono (mio padre è morto nel 1990), un vero esempio di felicità familiare e successo.”

Ha praticato sport da bambino?
“Mio padre non solo era un ottimo medico, ma si dedicava anche allo sport. Quando aveva 35 anni, ancora non ne so il motivo, insieme ad altri costruì a Nimnica un campo da tennis e i miei fratelli iniziarono a giocare. Io no, volevo ancora godermi l’infanzia. Ho iniziato a giocare a tennis solo dopo che ci siamo trasferiti a Piešťany, all’età di 10 anni. Mio padre mi iscrisse al club locale. Non avevo altra scelta. Ma, devo ammetterlo, il  tennis mi ha completamente conquistato, mi sono innamorato di questo sport.”

Com’era come studente, le piaceva la scuola?
“Parallelamente alla scuola mi dedicavo al tennis ed ho sempre adempiuto molto bene ai miei doveri scolastici. Ho finito la scuola media da ottimo studente. Anche al liceo ero abbastanza bravo. Non avevo una materia preferita, ma mi piaceva studiare lo slovacco, la storia, la biologia e l’inglese.”

Si ricorda i sogni di allora, quali ha realizzato?
“Da piccolo sono stato a stretto contatto con la natura nel bellissimo ambiente in cui vivevamo. Più tardi ho iniziato a giocare a tennis a Piešťany e a Bratislava, dove vivo oggi. È interessante che ho avuto alcuni sogni legati allo sport, ma non così definiti. Forse ero destinato a non definire nulla. Così la mia vita è un grande sogno! Io vivo e sogno e vivo! E così che dovrebbe essere.”

Ci racconti del suo primo incontro con Novak. Nel 2006, a Parigi?
E’ stato tutto molto strano. Io in quel periodo non lavoravo e Novak cercava un allenatore. Il tutto ha combaciato a Parigi, al Roland Garros. Sono arrivato lì con mia figlia Natalia e ho subito incontrato tutta la sua famiglia. Ho avuto la sensazione che fossero molto legati ed uniti. C’è stata subito un’ottima comunicazione fra noi e Novak irradiava fiducia in sé stesso (proprio in quella edizione Novak arrivò per la prima volta ai quarti di uno Slam, dove si dovette ritirare per problemi alla schiena quanto era sotto 2 set a 0 contro Nadal. Nella conferenza stampa post-match, il primo tra i due, il 19enne serbo disse che se non avesse avuto problemi fisici avrebbe potuto tranquillamente battere Rafa, ndr). Quel primo incontro mi ha lasciato una bella sensazione,anche se non avevo idea di ciò in cui mi stavo cacciando!”

Come è stato lavorare con lui all’inizio della vostra collaborazione?
“Ben presto tutto ha iniziato a girare nel verso giusto ed io mi sono inserito nel ciclo infinito di cose legate al grande obiettivo di Novak, diventare il numero 1. Mi divertivo, il mio lavoro mi riempiva la vita, e Novak migliorava e vinceva. Di anno in anno saliva nella classifica mondiale. Il risultato di tutto ciò è che è diventato il numero 1. Naturalmente non ci sono stati solo successi, ci sono stati anche momenti di stagnazione, crisi da superare e terribili pressioni che dovevano essere trasformate in pensiero positivo ed in azione. Per questo ci vuole tempo e ci vuole pazienza, e io ce l’ho.”

Djokovic parla di lei come di un secondo padre, e lei come si rivolge a lui?
“Ho sempre pensato che Novak sia cresciuto in una famiglia con delle buone relazioni familiari. E’ molto ben educato e ha rispetto di tutto quelli che lo circondano, e dell’allenatore. Che sia incredibilmente pieno di talento, non c’è dubbio. Ha sfruttato il suo talento attraverso il duro lavoro ed il sacrificio. Novak sa quanto è importante la famiglia per lui e quanti sforzi ha investito per permettergli di arrivare in cima, di avere successo ed essere famoso. Forse proprio perché all’inizio l’ho incontrato con la sua famiglia, e perché sono il suo allenatore e mentore, a Novak viene spontaneo chiamarmi «fratello».”

In che cosa lo ha aiutato di più dal punti di vista del  gioco?
All’inizio, quando ci siamo conosciuti, a mio parere Novak non era tecnicamente completo come è adesso. E’ importante che si impegni sempre per migliorare. Ha costantemente il desiderio di essere il migliore al mondo. Questo motiva anche me, anche se è ormai diventata un’abitudine. Il suo vantaggio principale era ed è la voglia di vincere, che è profondamente radicata in lui. Per me come allenatore la vittoria è l’approccio responsabile all’allenamento e la professionalità sotto ogni punto di vista. Tutte cose che Novak fa. Sono qui quando ha bisogno di me, so aiutarlo nella preparazione e lui sa che può contare su di me per questo.”

Ha due belle figlie che sono anche loro dedite al tennis?
Le mie due figlie sono molto legate a me e alla famiglia. Sono responsabili. La più grande, Nikola, oltre agli impegni scolastici è sempre a stretto contatto con il mondo del tennis, la più giovane Natalia sta cercando di giocare seriamente a tennis (26 anni Nikola e 19 Natalia, sono rispettivamente n. 783 e n. 910 della classifica WTA, ndr). Sono contento che ragionino in modo sano e abbiano un approccio pratico alla vita. Fondamentalmente sono allegre di carattere.”

Sua moglie Ingrid è un grande supporto nella vita?
Ho incontrato Ingrid alla Facoltà di sport ed educazione fisica, quando ho fatto l’esame di ammissione. Mi ha conquistato con la sua bellezza, con l’espressività e la naturalezza degli occhi e con un sorriso provocante. Ci siamo innamorati perché condividevamo l’amore per lo sport. Dopo tre anni che stavamo insieme ci siamo sposati, nel 1988. Da allora siamo assieme, senza interruzione, da 26 anni. E’ un bel matrimonio, lei tollera le mie lunghe assenze ed i continui viaggi. Apprezzo che riesca a far fronte a tutte gli impegni familiari e sappia esattamente cosa fare per tenere unita la famiglia. E’ una sensazione meravigliosa sentire di appartenere gli uni agli altri, e per questo le sono grato di cuore.”
Cosa si prova a essere Marjan Vajda?

Sono contento di essere rimasto fedele a me stesso e che per me ogni giorno è prezioso. Di fare ogni giorno ciò che mi dà soddisfazione, che le mie figlie siano sane e che stiano cercando il vero senso della vita. Sono molto contento di aver incontrato Nole e di supportarlo ancora nel suo obiettivo di essere il migliore al mondo” conclude Vajda, che anche nel 2015 farà parte dello staff tecnico che assiste Djokovic.

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