Nadal all’inferno e ritorno (Crivelli). Colpo di sole, ma Nadal è più forte del dolore (Semeraro). Nadal, le sue cure e il diversamente doping (Lombardo). Solo chi è umile e intelligente ha sempre un piano B (Giua)

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Nadal all’inferno e ritorno (Crivelli). Colpo di sole, ma Nadal è più forte del dolore (Semeraro). Nadal, le sue cure e il diversamente doping (Lombardo). Solo chi è umile e intelligente ha sempre un piano B (Giua)

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Nadal all’inferno e ritorno (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Il campione va a cercare la paura per dominarla. E’ così labile, infatti, così sottile il confine che separa l’empireo dai gironi infernali. Aveva ragione Bjorn Borg, interprete sommo della racchetta: a quattro pari del quinto set possono arrivare in tanti, ma i due game successivi se li prendono solo i baciati dalla grazia. Quelli come Nadal che, appunto, sono capaci di piegare al loro volere spaventi ed emozioni. Una lezione che Tim Smyczek, trottolino della città di Fonzie, Milwaukee, uscito dalle qualificazioni, apprende amaramente sulla sua pelle di numero 112 del mondo, arrivando solo a un soffio dal produrre una delle più clamorose sorprese della storia dello Slam degli antipodi.

IRRICONOSCIBILE Un battito d’ali. L’americano che suona il violino e ama il golf, di fronte a un Rafa trasfigurato da un malanno comparso d’improvviso dopo un primo parziale dominato, si ritrova prima avanti due set a uno e poi 5 pari nel quinto (il teorema di Borg…) e probabilmente con la bilancia dei meriti pendente dalla sua parte. Ma non si è fenomeni nell’ordinarietà, è sul baratro che sangue e carne ti spingono verso una missione all’apparenza impossibile. Lì, un Nadal da 53 errori gratuiti, addirittura 30 con un irriconoscibile dritto con il saldo perdente tra ace e doppi falli (3 a 7) e, dopo un’ora, seconde di servizio quasi sempre molli come mammolette, trova dallo scrigno infinito di guerriero indomabile il passante di dritto in corsa che gli procura il break point. E, nel game successivo, sciupate incredibilmente tre palle per chiudere da 40-0, trova il favoloso rovescio lungolinea che gli offre la quarta, quella decisiva.

AMMALATO Rifiuto della sconfitta, niente di più, anche quando il fisico ti ha abbandonato da tempo e un match di oltre quattro ore (4h12′, per l’esattezza) ti sta schiantando i muscoli: «E’ successo dopo 40 minuti — dirà un Rafa ancora tirato — improvvisamente ho cominciato a sudare, mi è venuta la nausea e mi sono sentito stanchissimo. C’era umidità, è vero, ma non è possibile afflosciarsi in quel modo dopo così poco tempo in campo. Forse mi sono disidratato». Perciò prende una pillola e deve snaturarsi: «Ho provato ad essere più aggressivo, non potevo più correre, quindi ero obbligato ad accorciare gli scambi». Fino a quel fatidico 11° game del quinto set, quello che il povero Smyczek, da domani di nuovo nel sottobosco (è iscritto al Challenger di Maui), ricorderà come l’istante maledetto di una carriera senza più il bivio per il paradiso. Succede, contro i titani. Accade che prendano paura e la trasformino in energia per incenerirti.

Dopo un primo set in cui l’asse servizio-dritto sull’angolo di rovescio, l’anello debole del campione dei campioni, fa esclamare alla gente in tribuna che il vero Federer è Bolelli, Roger si scuote mandando a quel paese un cameraman troppo invadente in una pausa medica e pensando alle giustificazioni da dare in sala stampa: «Credevo di perdere, davvero. Simone stava giocando meglio, era più continuo, ma in questo gioco la pressione cambia da un momento all’altro». Non appena Bole cala in battuta, dal 3-3 del secondo set, comincia infatti un’altra partita, aperta da una demi-volée di rovescio del numero due del mondo da un metro fuori dal campo che bacia l’incrocio delle righe e gli dà il break della svolta (…)

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Colpo di sole, ma Nadal è più forte del dolore (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

«Conta solo la vittoria». Rafa Nadal la pensa come Vmce Lombardi, il patriarca del football americano che odiava l’ipocrisia e De Coubertin («Se vincere non è tutto, allora perché tengono il punteggio?»). Il corpo non risponde? Pazienza. Keep calm e carry on: il motto – posticcio – di Sua Maestà britannica. In Australia il Niño è sbarcato convalescente, senza certezze. Al primo turno contro Mikhail Youzhny pareva rinato, non pensava certo di faticare così al secondo contro il qualificato yankee Smyczek, n. 112 Atp, commesso viaggiatore del tennis. Invece: colpi di sole, crampi in tutto il corpo, vertigini, vomito. Panico. «Alla fine del primo set ho iniziato a sentirmi stanco. Avevo paura di svenire, mi sono preoccupato. Molto. Ho pensato di ritirarmi». Solo pensato. Quattro ore e cinque set di lotta, di tennis imbastito. Sotto due set á uno e il fisico che urla, la testa vuota, il medico che negli spogliatoi ti allunga un antibiotico. L’urgenza è: sopravvivere. Giocarsi un’altra carta. «Era un Nadal di serie C o D», spiega Smyczek. «Malato, sfasato. Eppure ha trovato il modo di battermi. I campioni sono fatti così Tanto di cappello». Alla fine Rafa si è buttato a terra, ha stretto i pugni, ringraziato, i suoi dei. Applausi anche per Tim, principe del fair-play, che sullo 6-5 0-30 del 5 set ha concesso allo spagnolo di ripetere un servizio disturbato da uno spettatore. Conta solo vincere, certo. Ma anche come sai perdere. «Pochi avrebbero fatto la stessa cosa», si inchina Nadal, che al prossimo turno trova il diavoletto israeliano Dudi Sela. «Devo dirgli grazie, il suo gesto è un esempio per tutti».

Come la vicenda dell’altra agonista no-limits, la vecchia ragazza Maria Sharapova, infilata in una giornata strana, prima facile poi disperata contro Alexandra Panova, 24enne, russa pure lei, qualificata e n. 150 del mondo. Un set come un bicchier d’acqua, gli altri di fiele. Il servizio che non funziona più, il dirittone che si inceppa. La regia che inquadra le nocche livide del pugno sinistro, gli occhi che lampeggiano rabbia contro se stessa e coach Groeneveld pietrificato in tribuna. ll sudore è una pellicola lucida sulle spalle da bodyguard, le incolla i capelli alla fronte. L’abisso è apparecchiato. Basterebbe un passo: 6-4 nel secondo set per la bella Panova, che nel terzo ha due palle per il 5-1, arriva comunque 5-4 e servizio, si confeziona due match-point C’è un silenzio che urla nella Rod Laver arena e Masha si trasfigura. Appare a se stessa. Timbra quattro righe: dritto, dritto, rovescio, di nuovo dritto. Sharapova bang, Panova shock. La Tigre muove, e matta in tre set «Ho capito che pensavo troppo agli errori, che non vivevo nel presente. Cosl mi sono detta, ehi, coraggio: fai quello che hai già fatto mille volte (…)

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Nadal, le sue cure e il diversamente doping (Marco Lombardo, Il Giornale)

La racchetta ha il chip dentro, ma il campione bionico che la tiene in mano non è ancora nella versione originale. Vedere Rafa Nadal in versione normale (seppur con una Babolat che trasmette i dati telematici del suo gioco), vederlo piangere stremato dopo aver piegato l’americano Smyczek 7-5 al quinto set in 4 ore e 12 minuti di mezzo dramma sportivo, vederlo in preda ai crampi (forse) ma comunque ammettere «non sono al massimo, devo lottare punto dopo punto per sperare di tornare al mio livello», toglie al tennis una delle certezze per cui milioni di persone stanno attaccate alla tv in questi giorni di Australian Open. Il problema però è sapere a che prezzo avviene tutto ciò. Rafa si sta aggrappando alla sua rabbia per sopravvivere, ma è un Nadal probabilmente mai visto. Si sapeva ovviamente delle sue difficoltà, lo aveva detto anche lui alla vigilia vista la serie di infortuni e sfortune che lo hanno accompagnato in questi ultimi mesi. Non solo il solito ginocchio, ma anche la schiena con l’aggiunta di un’appendicite che lo ha messo ko alla fine del 2014. E insomma sarebbe forse anche normale per un tennista reduce da un periodo così, se non fosse che questo si chiama appunto Nadal. E che ha fatto parlare di sé per un’intervista rilasciata (e mai smentita) al Mundo in cui ha rivelato la seguente verità riguardo al trattamento a cui si è sottoposto perla schiena: «Sarebbe meglio che fosse il mio medico Angel Ruiz Cotorro a spiegarlo, ma è semplice. Prendono il plasma del sangue, lo centrifugano ed estraggono fattori di crescita che vengono iniettati per favorire la rigenerazione delle cellule. Per farlo devono praticare iniezioni nella parte inferiore della schiena per estrarti le cellule staminali dalla cresta iliaca. Poi si devono preparare colture in modo che le cellule si riproducano per cercare di rigenerare i tessuti più velocemente». Qui sta il filo sul quale corre lo sport moderno. Un’interessante e accurata analisi fatta dal sito ubitennis.com, spiega tutti i risvolti della vicenda: in sintesi Nadal sta curando la sua salute (non solo) sportiva con una pratica che, ad esempio, in Italia è considerata illegale. Ma siccome l’obbiettivo unico della lotta al doping è preservare la salute dell’atleta, ecco che la stessa pratica medica – lecita in diversi Paesi – potrebbe essere una necessità medica per aiutare Rafa nel suo futuro di ex atleta. In pratica non c’è una risposta certa, così come non si trova per le camere di ossigenazione del sangue che Djokovic utilizza laddove – come in Croazia – è consentito (…)

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Solo chi è umile e intelligente ha sempre un piano B (Claudio Giua, repubblica.it)

(Questo commento è dedicato a Fabio Fognini, perché ci ragioni sopra). Nella vita serve spesso un piano B. In politica, guerra, economia e sport, poi, i piani B diventano obbligatori, altrimenti ti ritrovi spiazzato: sono attività interattive che dipendono da quanto fanno i tuoi alleati ed avversari oltre che da quello che tu costruisci o distruggi. Il tennis non fa eccezione. Nella tarda serata australiana il numero 3 al mondo Rafael Nadal, in condizioni fisiche deplorevoli forse a causa delle terapie per il mal di schiena, ha mostrato al pubblico della Rod Laver Arena come di fronte a un giocatore impegnato nella partita della vita – l’americano Tim Smyczek, 27 anni, attualmente numero 112 del ranking ATP ma mai sceso sotto quota 70 – si debba fare professione di umiltà, lottare, rinunciare al proprio gioco scintillante per adeguarsi alla pressione, evitare a lungo colpi al limite per provarci solo quando le probabilità di ottenere il punto sono alte. Tanta pazienza, intelligenza e sapienza lo hanno premiato, come dimostrano la sequenza di punteggi (6-2 3-6 7-6 6-3 7-5) e la durata del match (4 ore e 11 minuti). Poiché Rafa ha prevalso nonostante il minor numero di vincenti (43 contro 64) e la sostanziale parità degli errori (53 contro 50), è evidente che è nei momenti decisivi che si è vista la differenza tra lui e il pur sorprendente Smyczek.

Anche Roger Federer ha sempre pronto un piano B. Quando nel pomeriggio, ovviamente sul veloce della Rod Laver Arena, tempio principale degli Australian Open, s’è reso conto che Simone Bolelli stava giocando un tennis di alto livello fatto di prevalenza da fondo campo, angoli strettissimi, potenza nel servizio e nel diritto a tutto braccio, ha cambiato registro aumentando la velocità di esecuzione e soprattutto la mobilità sulle gambe. Il bolognese di Budrio ha continuato invece a fare quanto eseguito perfettamente nel primo set, vinto per 6-3, ma con minore convinzione e senza capire che il piano B di Roger avrebbe avuto bisogno di qualcosa di diverso. Il seguito è stato una sorta di déjà vu per l’azzurro (con i Top Ten ha perso 34 volte su 34) in grado di esprimere un tennis tanto spettacolare quanto, alla fine, poco redditizio. Dedicando a ogni set una mezz’oretta, Federer ha chiuso sul 3-6 6-3 6-2 6-2 senza mai minimamente rischiare di veder compromesso il passaggio al terzo turno.

Un’altra che, con l’esperienza, adotta più frequentemente piani B è Sara Errani. Che è atterrata a Melbourne con la serenità di chi sa, avendo di fatto dovuto rinunciare alla preparazione invernale a causa di un malanno, di aver poco da perdere. Opposta alla poco fantasiosa ma coriacea spagnola Silvia Soler Espinosa, 27 anni, WTA 69, ha pagato sia nel primo che nel secondo set il ritardo di forma, perdendo prima il vantaggio già accumulato e poi trovandosi a rincorrere. Allora il piano B di Sara è stato quello che le riconosciamo come A: inutile puntare sugli errori dell’avversaria, massima concentrazione, meglio rischiare qualcosa sulla risposta al proprio servizio. Eccellente nell’ottenere sette punti consecutivi al tie-break (s’era trovata sotto 0-3), ha gestito con massima accuratezza il secondo set. Il risultato finale 7-6 6-3 la incoraggia, dato che la condizione fisica appare in ripresa e l’avversaria nei sedicesimi sarà la belga Yanina Wyckmayer, alla sua portata nonostante con lei abbia perso tre volte su cinque match.

Nulla posso dire del piano B, se mai oggi l’ha adottato, di Andreas Seppi, di cui non ho seguito il rotondo e confortante successo in quattro set (7-5 2-6 6-2 6-1) sul francese Jeremy Chardy, numero 29 del seeding degli Australian Open. Il sudtirolese sta ritrovando gli stimoli di esattamente due anni fa, quando s’installò sul diciottesimo gradino della classifica mondiale. Peccato che sulla strada si trovi ora Roger Federer.

Una che ancora non sa cosa sia un “piano B” è Camila Giorgi, che nella notte italiana affronterà Tereza Smitkova, di cui si dice un gran bene. La maceratese e il babbo coach non prevedono alternative al gioco sparato ed estremo. Speriamo che la ceca non lo sappia.

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