Il dardo nel buio: come lo Us Open ha trasformato l'erba in cemento

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Il dardo nel buio: come lo Us Open ha trasformato l’erba in cemento

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Il primo campo in cemento risale al 1879 a Santa Monica. Nonostante ciò ci sono voluti quasi 100 anni ed un visionario del Mississipi, tale William Hester divenuto presidente dell’USTA nel 1977, per rendere lo Us Open il primo Slam disputato sul cemento. Un passaggio cruciale nella lenta sparizione dell’erba

 

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“You throw a dart in the dark and drill” (Lancia un dardo nel buio e inizia a scavare).

Se nel 1977 il mondo del tennis avesse avuto dubbi sul passato del nuovo presidente della United States Lawn Tennis Association, e sulle sue intenzioni per il futuro, sarebbe bastato l’incipit del discorso di insediamento di William Hester per comprendere che un nuovo mondo era alle porte e che nulla sarebbe stato più come prima per il “lawn tennis” statunitense. Del resto l’erba aveva appena ceduto il passo alla terra verde ma i benefici tardavano ad arrivare e il West Side Tennis Club di Forest Hills, sede del torneo dal 1915, aveva da poco dichiarato di non essere più in grado di continuare ad organizzare l’evento.

Nelle due settimane dell’Open le strutture obsolete del club sembravano collassare sotto la crescente affluenza di spettatori che anno dopo anno prendevano d’assalto i giardini di Forest Hills. Mancavano i parcheggi, raggiungere il torneo con i mezzi pubblici era un’impresa, le aree di accoglienza per gli spettatori erano praticamente inesistenti. Non era proponibile gestire un evento che diventava sempre più di massa con strutture pensate essenzialmente per delle ristrette élite.

All’inizio del 1977 il club dell’aristocratica zona in cui Stan Lee aveva deciso di far vivere l’uomo ragno alzò bandiera bianca: le disponibilità finanziarie non consentivano ai soci investimenti consistenti e a malincuore comunicarono alla USTA che quella di agosto sarebbe stata l’ultima edizione. Bisognava cambiare location, e bisognava farlo in fretta.
Ma non sono forse gli Stati Uniti il luogo in cui i problemi si trasformano in opportunità? Così una sera, mentre stava sorvolando il parco di Flushing Meadows, dalla finestra del suo aereo Hester vide un edificio ricoperto da uno spesso strato di neve. Era il Singer Bowl, un sala d’esposizione abbandonata e ormai completamente ricoperta da murales, costruita durante l’EXPO del 1964. Hester aveva trovato il punto dove scavare: il Singer Bowl sarebbe diventato lo stadio principale dello US Open 1978, il Louis Armstrong Stadium stava per nascere.

La città di New York accettò di collaborare con la USLTA, finanziando con più di 10 milioni di dollari il progetto per costruire il più grande impianto tennistico del mondo. Lo US Open avrebbe avuto strutture capienti e moderne, adatte per ospitare un evento ormai di portata planetaria.
Ma Hester non si fermò al semplice cambio di location. In preda alle sue visioni decise che per la prima volta un torneo del Grande Slam si sarebbe giocato su una superficie diversa dall’erba e dalla terra battuta: l’era del cemento stava per cominciare. O era cominciata da tempo?

In effetti, nonostante fosse una prima assoluta per i tornei del Grande Slam, sul cemento si giocava fin dalla fine del XIX secolo. La prima testimonianza è addirittura del 1879 a Santa Monica, in California.

Il problema era il solito, trovare una superficie che non si deteriorasse troppo velocemente quando le condizioni climatiche non erano particolarmente favorevoli.

Nel 1872 e nel 1875 nacquero le prime due fabbriche americane del Portland Cement, prodotto leader nel settore, e ben presto gli Stati Uniti diventarono primo produttore e consumatore mondiale. Le caratteristiche di un prodotto resistente agli urti, alle alte temperature e alle intemperie erano perfette per fronteggiare le problematiche che l’erba presentava a queste latitudini. Per testarne la funzionalità si pensò quindi di utilizzare il cemento come superficie dei campi pubblici e la risposta fu molto positiva anche la gente comune stava scoprendo il tennis tant’è che dall’inizio del Novecento i campi in cemento cominciarono ad essere presenti quasi in ogni città degli states.

Nonostante la grande diffusione dei campi in cemento gli organizzatori dei tornei rimanevano restii ad utilizzarlo. Troppo “popolare” e plebea quella superficie che non richiedeva manutenzione e rendeva il tennis un prodotto accessibile anche a persone che non potevano permettersi l’iscrizione ai costosi club privati certificazione essenziale per notificare l’appartenenenza alla “Upper Class”. Disputare un torneo sulla superficie del popolo era come aprire i portoni del palazzo d’Inverno. Molto meglio continuare a disputare i loro tornei su terra o erba, superfici che non potevano certo essere utilizzate per i campi pubblici considerato quanto costava mantenerli.

Quindi l’unica struttura ad organizzare tornei in cemento era la USLTA. La Southern California Lawn Tennis Association, una sorta di succursale della federazione madre, nel 1887 organizzò la prima edizione del Southern California Championships sui campi in cemento del Casinò di Santa Monica, vicino Los Angeles. Il cemento diventò la seconda superficie della storia sulla quale venne disputato un torneo, precedendo di due anni la terra battuta (Cannes 1889). Nel 1889 fu la volta del Pacific Coast Championships a Monterey e poi del torneo di Los Angeles sui campi del Hotel de Coronado (1905).

Ma i tornei che nacquero negli anni seguenti erano confinati in quella fetta di terra che andava da San Francisco a San Diego.
Nonostante questa difficoltà di sviluppo, gli appassionati che vivevano a quelle latitudini ebbero comunque la fortuna di veder nascere uno dei più importanti tornei della storia, il Pacific Southwest Championships, nato nel 1927 e tenutosi ininterrottamente fino al 1974 al Los Angeles Tennis Club.

L’ulteriore grande impulso alla diffusione dei campi in cemento si ebbe grazie al circuito professionistico attorno agli anni ’40. Essendo per natura meno legati alle tradizioni (il fatto di ricevere compensi in denaro per giocare andava contro al concetto originario del tennis, nato sport amatoriale e quindi non retribuito), i “professionisti” non avevano problemi a sperimentare nuove e alternative soluzioni di gioco. Da Santa Barbara a San Francisco, da St. Louis a San Diego, usato sia indoor che outdoor il cemento si impose.

L’aumento dei tornei su cemento ebbe un ulteriore, piccolo impulso con l’inizio della Open Era nel 1968, con la nascita del torneo di Las Vegas nel 1969 e di quello di Palm Springs nel 1976. Ma nonostante fossero passati quasi 100 anni dalla prima apparizione di un campo in cemento i tornei importanti che si giocavano su questa superficie erano ancora relativamente pochi. I quattro slam si disputavano su erba (3) e terra, il Masters e le WCT Finals su carpet e dei nove Grand Prix 6stars i soli Las Vegas e Stoccolma (indoor) si disputavano su cemento.
Il problema era sempre lo stesso che si trascinava da anni: i tornei più prestigosi erano ancora organizzati da club privati e non da istituzioni pubbliche e il cemento era ancora visto come un abbassamento storico-culturale del gioco del tennis. E nel 1974 abbiamo ancora una volta la conferma di questa riluttanza al cambiamento.
Gli organizzatori dello US Open stavano pensando da anni ad un cambio di superficie, perché mantenere l’erba di Forrest Hills a un livello accettabile era diventato troppo gravoso per le casse già malandate del club. Erano ormai due anni che i campi non venivano più rifatti dopo la fine del torneo, ma venivano solo parzialmente rizzollati, rendendo il manto erboso irregolare e pericoloso per l’equilibrio. I giocatori si lamentavano delle condizioni pietose dei campi e invocavano un cambiamento. La USLTA aveva proposto proprio il cemento come nuova superficie, perché era dove tutti i giovani americani di belle speranze erano cresciuti. La federazione americana trovò riscontro positivo anche tra i giocatori, desiderosi di avere finalmente una maggiore diversificazione delle superfici nei tornei dello Slam.
Il West Side Tennis Club si trovò con le spalle al muro, da una parte la federazione che premeva per il cemento, dall’altra i club limitrofi che non avrebbero tollerato il passaggio a una superficie meno nobile. Le pressioni degli altri club ebbero la meglio in questa disputa e il West Side decise di passare al Har-Tru, ma fu un passaggio molto breve. Con la rinuncia da parte del club a continuare con gli Open e con l’intervento della città di New York nella organizzazione del torneo, ormai non c’erano più vincoli, finalmente la superficie sulla quale da decenni gli appassionati giocavano nei parchi di tutto il paese entrava nel mondo del tennis professionistico dalla porta principale.
La spinta data dallo US Open fu incredibile. I campi in cemento si moltiplicarono a vista d’occhio. Cincinnati e Toronto abbandonarono la terra nel 1979, nel 1985 nacque il torneo di Miami, nel 1987 quello di Indian Wells.

Oggi, annus domini 2015, 9 dei 14 tornei piu’ importanti del circuito si giocano sul cemento, contro i soli 2 del 1977, in poco più di 35 anni le condizioni di gioco sono radicalmente cambiate.
Sarà un caso che proprio alla fine del 1977 la ILTF (International Lawn Tennis Federation) cambiò il proprio nome abbandonando la L di Lawn (prato) diventando ITF? Certamente no, ormai i prati del tennis erano destinati ad essere fatti di cemento.

 

NoMercy

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