Rafael Nadal, la difesa del pianeta Terra

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Rafael Nadal, la difesa del pianeta Terra

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Rafa Nadal vince a Buenos Aires e torna su un argomento a lui caro: la difesa dei tornei su terra battuta. Ma è vero che sono in diminuzione e che pesano sempre meno nel calendario, oppure è una difesa interessata?

46 titoli in carriera. Nove Roland Garros di cui due vinti senza perdere un set. Una striscia di imbattibilità di 81 incontri. Un solo uomo di nome Robin sceso da Asgaard, il paradiso dei vichingi, per invadere il pianeta Terra e vincere contro di lui tre set in una sola partita (troppa profanazione… forse per questo è stato punito dagli dei…).

Sono i numeri di Rafael Nadal sulla terra battuta, la sua superficie preferita. Anzi, non preferita: semplicemente la sua superficie. Di sua proprietà. La sua patria, la sua Terra promessa. Di più ancora: il suo pianeta fatto di mattoni tritati. Non un corpo celeste, come ha provato a colorarlo Tiriac a Madrid. Un corpo rosso e sabbioso, un po’ Marte, un po’ Arrakis di Dune. Un pianeta da difendere.

Difendere da cosa? Ma dagli attacchi alieni portati dall’ATP, che domande! ATP che, a dire dello spagnolo, sacrificherebbe la superficie rossa con conseguenti rischi fisici per le giunture degli atleti e più in generale penalizzandone gli specialisti.

Ma sarà vero? Il pianeta Terra è davvero sotto attacco?

Per dare o negare ragione a Rafa, per dimostrare che egli non parla “Cicero pro domo sua”, partiamo da alcuni dati relativi ai tornei validi per il ranking non senza analizzarli da un angolo insolito.

Dunque. I tornei su terra sono 23. Uno Slam, tre 1000, tre 500, e 16 tornei da 250. 23 tornei su un totale di 87 tornei validi per la classifica. La percentuale è poco più del 26%, ma quanto a punti assegnati essa scende ulteriormente. Sommando i punti che vanno ai vincitori di ogni torneo, ne contiamo 9500 sui 37500 disponibili in tutto il circuito (appena al di sopra del 25%). Si badi bene: per ora stiamo escludendo il Masters (o come si chiama la diavoleria moderna che lo sostituisce) e la Coppa Davis, priva di superficie per antonomasia.

Chiaramente i numeri così riportati sono del tutto astratti e non fruibili nel concreto giacché, com’è noto, la stagione su terra si concentra molto nei mesi di aprile e maggio, determinando la sovrapposizione dei tornei e la loro parziale utilizzabilità ai fini del ranking.

Pur certi che Nadal, saltando da un aereo all’altro, potrebbe vincere Houston e Casablanca che si giocano contemporaneamente (Nizza e Ginevra mi sembrano sin troppo facili..), un terraiolo puro, partendo dal torneo del Quito a febbraio, e scegliendo sempre di giocare su terra, potrebbe disputare non più di 15 tornei l’anno. Giocherebbe, ipotizziamo, i più prestigiosi, disputando tutti e tre i “500” per un punteggio massimo realizzabile di 7500 punti ATP. O almeno così mi dice la calcolatrice di Windows.

Chi volesse, invece, giocare esclusivamente sul cemento potrebbe giocare 22 tornei ATP (contando anche i tornei indoor), disputando sugli otto tornei 500 disponibili, solo cinque di questi a causa delle concomitanze Dubai-Acapulco, Tokyo-Pechino e Basilea-Valencia. Il punteggio realizzabile da parte di questo fanatico del bitume (tenendo conto che sono comunque solo 18 i tornei eleggibili) è di 13750 punti ATP.

Quanto all’erba, la storica nemesi del pianeta Terra, ne è noto il basso numero di tornei. Se si considera che non è possibile (malgrado la modifica al calendario di quest’anno) giocarne più di cinque, e che i due “500” (Halle e Queen’s) coincidono per date, la somma totalizzabile è di 3250 (sempre che non si sia impegnati in Davis nei quarti, giacché il torneo di Newport, piccolo e nero, deve scontare persino questa concomitanza).

Insomma, questo calcolo ponderato porta a dire che il cemento domina nel mondo per numero di tornei, ma che i suoi possibili 13750 punti, rispetto ai 7500 terraioli, non rappresentano lo specchio di un dominio. Tutt’al più rappresentano un solido fulcro che impedisce alla bilancia di pendere troppo dalla parte della terra, visto che sull’altro piatto c’è l’erba, per l’ATP come per Marat Safin, roba buona per le vacche.

E se il Nadal piuttosto rabberciato degli ultimi tempi occupa ancora la terza posizione ATP, con la sola finale di Miami e i quarti in Australia a pesare sul suo ranking “ultra-terreno”, se ne riceve ulteriore conferma.

Ma abbiamo escluso il Masters, il diciannovesimo torneo. 1500 punti sonanti e disponibili. Da sempre, su “cemento” (tappeto, green set o quel che si vuole). Un tempo velocissimo, poi via via rallentato.  Da quando è nato, lo hanno vinto tutti i più grandi. Anche giocatori provenienti in origine dal pianeta Terra (Borg, Nastase, Vilas, Orantes, Lendl, Corretja e Kuerten). Insomma, un continente alieno espugnato da tutti i migliori terraioli, arrotini, pallettari, regolaristi e “mud rat” del pianeta Terra tranne Wilander. E tranne Nadal.

E’ qui che il pianeta Terra, allora, cela dietro la difesa il proprio assalto. Perché a sentirlo, Rafa il Grande, quando vuole smascherare le trame dell’ATP ordite ai suoi danni, finisce per ricordare Colin Powell mentre mostra i fumetti sulla bomba atomica di Saddam al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Insomma, non può sostenere che la terra sia sotto attacco solo perché Acapulco ha scelto il cemento o perché Stoccarda abbia fatto la scelta di passare addirittura al nemico in mimetica verde. Lo fa perché quel che fa si chiama guerra preventiva: io simulo il tuo attacco, e rispondo con il mio.

Del pianeta Terra, Nadal è legittimamente Presidente, Sovrano, Primo Ministro e Ministro della Guerra, e il suo perfetto calarsi nel ruolo di paladino lo porta ad accusare i pianeti canaglia di Deco-Turfia e Lollium, di cospirare contro il pianeta Terra. Perciò schiera le truppe sul confine ed agita il casus belli di Acapulco o Stoccarda per arrivare presto, nel giro massimo di tre anni, a conquistare qualcosa, qualcosa che gli manca. Il torneo di fine anno. E una volta conquistato inondarlo di mattone tritato.

Perché l’obiettivo, a questo punto unico, è questo: far pesare una penalizzazione della terra nel corso della stagione (ancora da dimostrare), per ottenere il massimo risarcimento in zona “Cesarini”. Risarcimento, per l’appunto, rappresentato dal Masters (o come vattelappesca si chiamerà tra un paio di giorni).

E’ chiaro che il solo Nadal per questo obiettivo non basta. Da un lato ci sono i suoi legittimi argomenti, già manifestati più volte, tesi a dimostrare che non c’è alcun impedimento logico o organizzativo per non far disputare il torneo di fine anno sulla terra indoor (dove sta scritto che si debba giocare sul veloce? effettivamente da nessuna parte).

Dall’altro egli arriva piuttosto in ritardo perché i suoi lamenti giungono in un’epoca nella quale le specializzazioni sono tramontate, lui uomo della linea di fondo che senza gran servizio ha in cascina due Wimbledon. Con la conseguenza che se proprio dovessi giocarmi un kopeko, il favorito due su tre su terra indoor (a mio parere) sarebbe quel serbo, al cui rovescio, il dritto di Nadal non fa tanto male.

Il solo Nadal non basta perché per spostare il Masters sul pianeta Terra, servono molti dobloni interstellari. A tal fine l’incrinatura dei rapporti del 2012 con Tiriac, forse l’unico che avrebbe potuto dare una svolta per personalità e follia e trasferire la baracca sul rosso, non credo gli possa giovare.

Ciò non toglie che una porticina resta aperta. O che almeno il buon Rafa e il suo entourage vi abbiano infilato un piede. E’ il terzo anno che, dopo l’Australia, Nadal gioca in Sudamerica. Certo, la scorticina di punti se la fa, le ginocchia si lamentano di meno sul mattone, ma insieme a Ferrer è l’unico dei primi a disertare sia Rotterdam che Dubai. Del resto il torneo di Rio, in un Brasile economicamente in crescita, potrebbe diventare una buona location (oltretutto outdoor) per un Masters di fine anno e i contatti con gli sponsor e la promozione sono sempre i migliori volani per la nascita di grandi eventi.

Sembra però, se di corteggiamento si tratta, che esso non stia dando molti frutti. La scelta del comitato Olimpico di far giocare sul cemento il torneo di tennis di Rio 2016, seppur episodio isolato, depone male, e forse contribuisce ancor più delle defezioni di Acapulco e Stoccarda a rattristare il difensore del pianeta Terra.

Nel frattempo l’ex terraiolo Ferrer vince Doha ed Acapulco e, almeno a fatti, se ne frega che gli tolgano la terra da sotto i piedi. Altri spagnoli, argentini o svedesi promettenti non si vedono all’orizzonte. Nadal tra i top players diventerà forse un ultimo dei Mohicani. L’unico “No Cem” pronto a picchettare i campi in terra e ad opporsi alle ruspe. L’unico con la forza (spero per lui) sufficiente ad opporsi all’ondata di cemento che intende asfaltare il rosso pianeta.

 

Agostino Nigro

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