WTA Miami interviste, A. Petkovic: “Se avessi il 5% di Serena e Steffi sarei felicissima”

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WTA Miami interviste, A. Petkovic: “Se avessi il 5% di Serena e Steffi sarei felicissima”

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WTA Miami: A. Petkovic b. K. Pliskova 6-4, 6-2. L’intervista del dopo partita ad Andrea Petkovic

Una bella vittoria per te, contro una giocatrice in forte ascesa e che gioca un gran tennis.

Sì, penso di aver giocato veramente bene. Anche a Indian Wells mi ero allenata molto bene, solo che poi non sono riuscita a ripetermi in partita, e questa è stata una grande delusione. Oggi invece ho giocato bene, credo di non aver sbagliato nulla, sono riuscita a rimanere calma e ad aver fiducia in me stessa. In allenamento ho lavorato su molti aspetti e sono riuscita a trasferirli in partita; questo mi rende molto felice, anche più di essere arrivata in semifinale.

Che ci dici di Miami? Stai andando bene e sembri molto a tuo agio qui, hai anche molti ammiratori. Cos’ha di speciale questo torneo per farti stare così bene?

Nel mio lavoro sono una persona molto rigorosa, sono una tedesca inflessibile (ridendo), ma nella vita privata sono completamente diversa, mi piace andare a ballare e divertirmi. Quando lavoro molto mi sento un po’ sotto pressione e Miami mi rilassa; non so perché, forse perché è una città un po’ caotica e pazza e questo contrasto tra la città e il mio stato d’animo riesce a farmi star bene. Ho la stessa sensazione anche a Parigi. Per esempio, non ho mai giocato bene a Indian Wells, forse perché lì è tutto più…

Immacolato?

Sì, tutto pulito e ordinato. Mi riporta alla mia parte tedesca, e questo stranamente non va bene per me (ridendo). E’ sempre stato un problema per me riuscire a trovare il giusto equilibrio, e sarà così per tutta la vita, lo so. Miami invece riesce a rilassarmi; va bene per il mio umore, forse dovrei trasferirmi qui.

Pensi che sia così perché non sei completamente di origine tedesca? Noi abbiamo un’immagine un po’ stereotipata dei tedeschi.

Questo è il punto. I miei genitori sono serbi e da loro ho ereditato la parte di me più impetuosa, ma sono anche molto tedesca, sono il classico stereotipo della tedesca e ne vado fiera. Non c’è niente di male. Cerco solo di fare le cose al meglio con l’obiettivo di arrivare al massimo del mio tennis. Questo per me significa fare le cose nel modo giusto. Nel momento in cui, però, tutto questo inizia a diventare troppo pesante, si trasforma in una specie di oppressione e non riesco proprio a giocare. Ormai ho imparato a conoscere questo aspetto di me, ma devo imparare a portare nel mio tennis la parte del mio carattere più rilassata, ciò che sono nella mia vita privata. Credo che questa sia la chiave per farmi giocare il tennis migliore.

Credi che per un’atleta professionista la cosa più difficile da fare durante le competizioni sia trovare il giusto mix tra la concentrazione e la tranquillità?

Sicuramente, soprattutto per noi tennisti perché in questo sport l’aspetto mentale conta moltissimo. A volte vedi giocare qualcuno e – visto come colpisce la palla – ti chiedi come mai non si trovi tra i top-ten, e magari non è nemmeno tra i primi 100. Questo perché c’è molta differenza tra l’allenamento e la partita ed è difficile trovare il giusto equilibrio. Ogni giocatore è differente, e non c’è una formula magica che si possa dare a ognuno e dirgli “Ok, queste sono le cose giuste da fare”. Ognuno deve trovare la propria strada; credo che questa sia anche la difficoltà più grande che ha un allenatore nel momento in cui comincia a conoscere il proprio giocatore: non può affidarsi solo all’esperienza passata.

C’è un giocatore o una giocatrice che ammiri e che secondo te in campo rispecchia questo equilibrio di cui parlavamo prima?

Beh, le due giocatrici che ho sempre ammirato sono Steffi Graf, che è il classico stereotipo della tedesca, e Serena Williams, che è probabilmente l’opposto, una ribelle, una di quelle giocatrici che hanno portato qualcosa di nuovo al tennis femminile. Steffi Graf era molto disciplinata e appariva molto controllata. Le ammiro entrambe; se avessi solo il 5% di ognuna di loro sarei felicissima.

Parliamo della partita. Sul 4 pari hai dovuto fronteggiare alcune palle break, poi hai vinto cinque giochi consecutivi. Quanto sono stati importanti per te quei punti per riuscire ad evitare il break e ad andare così avanti nel punteggio?

Il punto è che nelle partite precedenti ho servito molto bene; oggi ho cominciato servendo bene poi, quando abbiamo cambiato campo, non riuscivo a vedere la palla quando la lanciavo, così ho perso il ritmo. Giocavo bene da fondocampo ma ogni volta che andavo a servire mi sentivo un po’ insicura, e questo si è riflesso sul mio gioco. Quando mi sono trovata in quella situazione di punteggio mi sono detta “non stare troppo a pensare al servizio, lancia la palla e tira, e se va dentro…tanto meglio per te”. In questo modo ho ritrovato fiducia nel servizio e nel secondo set ho servito molto bene. Credo che in quel momento lei sia andata in difficoltà dal punto di vista mentale.

Per una perfezionista come te l’inizio di questa stagione deve essere stato una specie di incubo. Come sei riuscita a invertire la tendenza?

L’inizio di stagione è stato proprio il classico esempio di come il tennis occupasse tutto il mio tempo per cercare di fare tutto nel modo perfetto. Anche quando cercavo di fare altre cose la mia testa tornava sempre sul tennis. In questo modo arrivavo in campo troppo stressata e avevo la sensazione di avere crampi dappertutto. Questa cosa, però, non mi ha turbato come altre volte, perché sapevo che mi stavo allenando nel modo giusto: era un momento come un altro, e non potevo fare niente per cambiare le cose. Poi eravamo in Australia, che è il posto in cui ho avuto tutti i miei infortuni, quindi mi sono venute in mente molte cose. L’aspetto positivo è che non mi sono preoccupata più di tanto, sapevo che mi stavo allenando bene e che qualcosa nella mia testa sarebbe cambiata e tutto si sarebbe risolto.

Hai lavorato sull’aspetto mentale con un mental coach?

Sì, lavoro con una donna molto brava. In passato ho lavorato con un’altra persona, altrettanto brava, ma avevo bisogno di qualcosa di nuovo. Ho cominciato a lavorare con lei alla fine dello scorso anno, quando ho attraversato un momento molto difficile della mia vita, e lei mi ha aiutato moltissimo. Apprezzo molto quello che fa per me e il modo in cui mi sta aiutando. Credo di aver trovato il mental coach giusto per me. Ci sono diverse fasi nella vita e a volte c’è bisogno di qualcosa di nuovo. In questo periodo mi sento veramente bene con lei.

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