Le contraddizioni di Samantha Stosur

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Le contraddizioni di Samantha Stosur

Vincendo a Bad Gastein in finale contro Karin Knapp, Samantha Stosur si è aggiudicata il secondo torneo in carriera sulla terra battuta

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Domenica scorsa Samantha Stosur ha vinto il suo ottavo torneo, a Bad Gastein, in finale contro una Karin Knapp sfortunatissima, obbligata a giocare sei set in una sola giornata (semifinale contro Errani di mattina, finale contro Stosur nel pomeriggio), dopo che aveva già dovuto affrontare ottavi e quarti in un solo giorno. E così, Samantha ha finito per vincere il torneo per sfinimento dell’avversaria.

Adesso che Stosur sta vivendo gli ultimi anni di carriera (è nata a Brisbane il 30 marzo 1984), e in qualche occasione ha anche confessato di avere pensato al ritiro si avvicina il momento del bilancio finale. E mai come nel suo caso credo che chi l’ha vista giocare si dovrà preparare a fare da memoria storica per raccontare le sue autentiche caratteristiche di gioco, al di là di quello che comunica l’albo d’oro. Lo dico perché, come sempre quando devo trattare di una giocatrice, sono andato a rivedere il suo palmarès e l’ho trovato bugiardo.

Mi rendo conto che definire un palmarès “bugiardo” può sembrare del tutto illogico. In fondo il palmarès è un elenco di risultati; e un elenco di risultati se è correttamente riportato è sempre veritiero, non può mentire.
Eppure nel caso di Stosur secondo me non restituisce le sue caratteristiche, e sono convinto che se qualcuno tra qualche anno lo scorrerà superficialmente si farà un’idea sbagliata del suo tennis. Solo la pazienza necessaria ad un maggiore approfondimento potrà, forse, evitare l’equivoco.

 

Se infatti controlliamo l’elenco delle vittorie troviamo soprattutto tornei sul cemento (5 su 8) nel periodo 2011-2013. Addirittura fino a quest’anno Stosur non aveva mai vinto un torneo sul rosso, visto che sulla terra vantava una sola vittoria sull’Har-Tru di Charleston, nel 2010. E non credo possano spostare gli equilibri i due successi del 2015 sulla terra europea, in tornei minori come Strasburgo e Bad Gastein.
Infine si deve aggiungere la grande vittoria: lo Slam del 2011, sempre sul cemento, a Flushing Meadows.

Dopo avere elencato tutto questo, penso proprio che diventerà indispensabile la memoria storica di chi l’ha seguita in tutta la carriera, e potrà quindi almeno tentare di limitare il fraintendimento che le vittorie suggeriscono. Provo a spiegare perché.
Intanto il periodo tennistico migliore non è stato quello dal 2011 a oggi, ma va datato (e concluso) con un paio di stagioni di anticipo. Non lo chiarisce l’albo d’oro, ma il ranking: 52ma nel 2008, 13ma nel 2009, 6a nel 2010 e 2011, 9a nel 2012 e poi in discesa negli anni successivi (18ma nel 2013, 23ma nel 2014. oggi è 21ma).

E ugualmente la superficie migliore, quella su cui con più regolarità ha espresso il  massimo livello di gioco, non è stata il cemento, ma la terra battuta. Anche in questo caso non ce lo dicono le vittorie, ma bisogna recuperare altri dati, spulciando i “piazzamenti”: semifinalista due volte al Roland Garros nel 2009 e 2012, e finalista nel 2010. Sul cemento Stosur vanta il solo, enorme, exploit della vittoria newyorkese del 2011, ma per il resto in uno Slam non è mai andata oltre i quarti di finale.

C’è invece stato un periodo, dal 2009 al 2012 in cui Samantha è stata una delle poche giocatrici che migliorava sulla terra battuta. Dopo il ritiro di Justine Henin (titolo nel 2007) a Parigi si sono succedute vincitrici differenti: 2008 Ivanovic, 2009 Kuznetsova, 2010 Schiavone, 2011 Li Na (che sulla terra in carriera ha vinto solo quel torneo); in quel periodo Stosur ha avuto occasioni per aggiudicarsi il Roland Garros, ma la paura di vincere al dunque l’ha spesso bloccata.
Dal 2012 prima Sharapova e poi Serena grazie anche alla preparazione specifica per la superficie hanno saputo collocarsi ai vertici del movimento femminile sulla terra battuta, limitando gli spazi per le outsider.
E non è un caso che l’ultima grande partita della miglior Stosur sia stata probabilmente quella persa contro Maria Sharapova nel 2014 sempre al Roland Garros: un match in cui per due set si era rivista la giocatrice potente e pericolosissima con il servizio e il dritto dei tempi d’oro; una partita che Sharapova seppe rovesciare grazie alle straordinarie risorse caratteriali, in uno degli incontri mentalmente più duri degli ultimi anni (3-6, 6-4, 6-0). Una match molto simile, per intensità, ad un altro disputato tra Stosur e Sharapova a Stoccarda nel 2012 (6-7, 7-6, 7-5). Sempre sul rosso.
Del resto Samantha aveva anche saputo sconfiggere Serena Williams al Roland Garros nel 2010, anno in cui poi raggiunse la finale perdendo da Francesca Schiavone.
E se, infine, proprio non vogliamo fidarci dei ricordi relativi ai grandi match, abbiamo la conferma con la percentuale di vittorie di carriera: ad oggi è del 60% sul duro (314-213) e del 65% sulla terra (123-66).

Se ci si limita al palmarès di Samantha Stosur, dunque, il rischio del fraintendimento è dietro l’angolo.
In realtà mi verrebbe da dire che il rischio del fraintendimento nei suoi confronti è molto più esteso, e comincia dalla presenza in campo: un fisico da culturista, una camminata decisa e un modo di fare apparentemente da dura, rafforzato dagli occhiali che rendono l’espressione del volto imperscrutabile.
A prima vista, naturalmente: perché se si seguono i match notturni, in cui Samantha rinuncia agli occhiali da sole, capita spesso di scoprire il suo sguardo titubante, che tradisce tutti i timori di giocatrice dal carattere fragile. Non ha mai finito di sorprendermi la contraddizione dello sguardo da Bambi su quel corpo tanto muscoloso, contrasto estremo tra forza fisica e fragilità caratteriale.

Ma a ben vedere le contraddizioni non si fermano qui. Ne elenco altre: quante volte si è vista una giocatrice australiana che soffre sull’erba (54% di vittorie)? A tal punto che non ha mai raggiunto la seconda settimana di Wimbledon (tre terzi turni in tredici partecipazioni come miglior risultato).
Eppure con un servizio come il suo sembrerebbero esserci le basi per fare bene. In realtà hanno prevalso i problemi in risposta e negli spostamenti, oltre alla difficoltà nel gestire i colpi dal rimbalzo basso.

E poi: quante volte si è vista una giocatrice che si è dedicata soprattutto al doppio ad inizio carriera, e non alla fine? Eppure Stosur si è fatta conoscere inizialmente proprio come compagna di doppio di Lisa Raymond, con cui ha vinto due Slam e raggiunto tre delle quattro finali in carriera come doppista.
Altro rischio di fraintendimento: malgrado il sicuro valore come doppista, Stosur in singolare non è mai stata un fenomeno nelle volèe, perché gli spostamenti (sia laterali che in avanti) non sono il suo forte.

Sul piano tecnico Stosur è forse la giocatrice con le caratteristiche più maschili del circuito: il suo è un tennis in cui la forza è una componente fondamentale; il servizio migliore è quello in kick, che esegue come poche, grazie alla grande potenza non solo di braccio ma anche di schiena e gambe. Il colpo migliore da fondo è il dritto carico di top spin, con una rotazione che forse nessun’altra giocatrice è in grado di dare. E tutti quei “giri” alla palla sono prodotti proprio grazie alla forza fisica superiore.

Nei momenti migliori, con queste due armi Stosur ha spesso saputo fare la differenza, riuscendo anche a mascherare i limiti di mobilità e di un rovescio che agli inizi di carriera era un colpo molto incerto. I primi anni tendeva a giocarlo quasi esclusivamente in back, ma con un movimento così arrangiato da permetterle un controllo limitato. Paradossalmente proprio il controllo imperfetto finiva per renderlo imprevedibile per le avversarie: infatti con lo stesso movimento poteva a volte produrre degli slice profondi, a volte invece, quando erano scentrati, quegli slice potevano trasformarsi in palle più corte, dei mezzi drop-shot di difficile lettura, proprio perché non intenzionali.

In sintesi: una giocatrice profondamente asimmetrica, tanto asimmetrica che contro di lei la tattica era per quasi tutte sempre la stessa: quella di farle giocare il più possibile di rovescio, e di evitarle il dritto da ferma.
C’era però una controindicazione a rendere il tutto più difficile. Il vero colpo killer da fondo di Stosur, quello che negli anni migliori era quasi inesorabile, non era il dritto tradizionale, ma quello anomalo, giocato dall’angolo sinistro del campo.
E quindi se le si offrivano parabole sulla diagonale sinistra di campo occorreva avere la certezza di non darle il tempo di “girare” attorno alla palla per colpire di dritto, perché quella era esattamente la situazione preferita di Samantha.

Le giocatrici che la sapevano disinnescare meglio (come Sharapova, Azarenka, o Pennetta) erano quelle che univano due qualità: innanzitutto la capacità di rispondere con il rovescio agli alti kick del servizio di Samantha, e poi quella di saper mixare correttamente la spinta sulla diagonale sinistra con improvvisi rovesciamenti di fronte per coglierla impreparata e farla colpire in corsa dalla parte del dritto (l’unica modalità per impedirle di esplodere top spin devastanti, perché quando erano colpiti da ferma erano sostanzialmente ingiocabili).

Chi non riusciva ad assommare queste due caratteristiche, finiva per essere travolta dalla potenza. Ad esempio Li Na, faticava moltissimo in risposta e questo troppo spesso le impediva di impostare scambi equilibrati. Ma anche Radwanska soffriva l’eccessivo scarto di forza muscolare in campo.

Un breve approfondimento lo merita il confronto con Serena Williams. Se è vero che Serena contro Samantha vanta numeri favorevoli (8-3) è anche vero che sono diventati così positivi negli ultimi anni, quelli in cui Stosur è calata rispetto al periodo migliore. Rimane comunque la statistica a favore di Samantha negli Slam (2-1). Credo che questo dato consenta almeno due differenti chiavi di lettura.

La prima è questa: personalmente sono convinto che in alcune fasi di carriera Serena abbia mostrato dei limiti tattici; troppo spesso convinta di avere comunque la meglio, scendeva in campo senza curarsi di evitare i punti forti delle avversarie e di insistere su quelli deboli. E così contro Stosur ci sono stati match in cui invece di evitare di farle colpire il dritto da ferma l’ha affrontata come se avesse di fronte una giocatrice qualsiasi, venendo punita. Ecco ad esempio il game finale degli US Open 2011; punti vinti servendo sul rovescio di Stosur: 2 su 2. Servendo sul dritto: 1 su 5.

Errori di presunzione che Serena negli ultimi anni, da quando collabora con Mouratoglou, non commette più.

La seconda chiave di lettura è invece psicologica. Pur essendo per indole una “front runner”, cioè una giocatrice che tende a dare il meglio di sé quando è avanti nel punteggio, Stosur ha sempre avuto un grave limite quando doveva affrontare le partite importanti da favorita. Si poteva quasi essere sicuri che se doveva disputare grandi match con il pronostico dalla sua, avrebbe finito per perderli.
E per la difficoltà a gestire la pressione da favorita non ha mai giocato bene i tornei di casa, in Australia.

A questa regola non si sono sottratte le due finali Slam disputate in carriera: a Parigi era data favorita contro Schiavone, sia per il cammino compiuto durante il torneo (aveva sconfitto Serena ed Henin) sia per i precedenti (4-1 avanti nel momento di disputare la finale). E ha finito per perdere in due set.
L’opposto a New York: contro Serena tutte partono sfavorite, e la situazione di non avere nulla da perdere era quella ideale per Samantha: contro una Serena che non aveva concesso un set in tutto il torneo, seppe giocare una partita perfetta, con un rovescio incredibilmente solido e un dritto devastante. Al contrario Williams diede l’impressione di giocare contratta con l’eccezione, forse, solo dei game successivi al famoso quindici perso per hindrance.

Quel torneo per Samantha fu una avventura probabilmente irripetibile per i tanti episodi che lo contraddistinsero: la partita-maratona contro Nadia Petrova (7-6, 6-7, 7-5) quella con il tiebreak più lungo (perso 17-15 contro Maria Kirilenko) e anche la fortuna di evitare in semifinale la “bestia nera” Pennetta, sconfitta nel turno precedente dalla (allora) sconosciuta Angelique Kerber.
A questo va aggiunto il fatto che in una edizione calda e piovosa, le capitarono tanti incontri serali, con un clima tutto sommato più accettabile rispetto ai disagi affrontati da molte avversarie, che invece avevano avuto la programmazione rivoluzionata dalla pioggia o match disputati al caldo del pomeriggio.
La classica situazione in cui tutti i pianeti si allineano nel modo giusto, e si riesce di conseguenza a raccogliere il risultato che dà lustro ad un’intera carriera. E così Samantha può vantare di essere una delle tre sole giocatrici capaci di sconfiggere in una finale Slam Serena Williams (le altre sono Venus e Sharapova).

Oggi Stosur, a 31 anni compiuti, ha perso qualcosa sul piano della incisività di gioco; dopo diverse stagioni in top ten è arrivata una fase di declino. Nei primi momenti di crisi aveva lasciato il suo storico coach David Taylor, ma recentemente è tornata a lavorare con lui. Da allora ha vinto i due tornei sul rosso citati all’inizio (Strasburgo e Bad Gastein).

A mio avviso non ha mai eseguito così bene il rovescio come negli ultimi due-tre anni: non che sia diventato un colpo fenomenale, ma è più stabile e sicuro. Oggi può permettersi di giocarlo in topspin quando vuole, e non solo se spinta dalla disperazione, come le capitava in alcuni frangenti di carriera, quando per uscire dalla diagonale sfavorevole a volte azzardava il lungolinea alla “va o la spacca”.
Direi che Stosur è diventata una giocatrice più simmetrica e tutto sommato più solida tecnicamente, ma il progresso tecnico non ha compensato a sufficienza la minore efficacia dei colpi migliori. Per tornare la tennista devastante di un tempo occorrerebbe un recupero di potenza che mi pare improbabile, dato che normalmente il logorio delle stagioni tende a incidere prima sul rendimento dei giocatori più fisici.

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US Open: Trevisan vince una sfida di nervi interminabile contro Putintseva e si trascina al secondo turno, Giorgi dominata da Pegula

I crampi non fermano Martina Trevisan che in 3 ore e 20 minuti di gioco conquista il primo turno degli US Open. Camila raccoglie 4 giochi contro la N.3 del seeding

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M. Trevisan b. Y. Putintseva 0-6 7-6(0) 7-6(8)

Martina Trevisan vince il primo turno degli US Open contro Yulia Putintseva in 3 ore e 20 minuti al tiebreak del terzo set: 0-6 7-6(0) 7-6(8).

Quante volte può cambiare una partita di tennis non smetteremo mai di chiedercelo. Quella di oggi, tra Martina Trevisan e Yulia Putintseva è stata l’ennesima dimostrazione che niente può essere prevedibile, tanto meno sui campi di Flashing Meadows. C’era stato un solo precedente tra le due giocatrici, al torneo di Abu Dhabi 2021, dove la kazaka aveva vinto con un doppio 6-3. Difficile quindi dire, a inizio partita, chi fosse la favorita tra due giocatrici separate solo da 20 posizioni in classifica e 1 anno di età. L’azzurra di 29 anni, numero 58 del mondo, è partita malissimo. Demoralizzata, nervosa e notevolmente fallosa. Il primo parziale si è concluso con 24 punti a favore della kazaka numero 78 del ranking, contro i soli 5 punti di Trevisan e nient’altro da aggiungere. Ma nel secondo parziale è entrata in campo la lottatrice che conosciamo ed è iniziata un’altra partita. La giocatrice toscana ha iniziato a mettere in gioco dei cambi di ritmo, alternando colpi in cui respirare a sfiammate di dritto imprendibili. Non a caso per due volte nel set è stata avanti di due game. E nonostante la kazaka sia riuscita a recuperarla entrambe le volte, Trevisan, con le idee decisamente più chiare è arrivata a prendersi un tie-break vinto a 0. Ma nonostante i precedenti 7 punti consecutivi dell’azzurra e il recupero di un set, Putintseva è rimasta lucida nel terzo parziale, dove gli errori sono aumentati da entrambe le parti. A metà del terzo set la partita sembrava di nuovo finita: Trevisan ha iniziato a non reggersi più in piedi per via dei crampi, e il match, dopo il turno di servizio perso a 0 dell’azzurra, sembrava scritto. Ma proprio in quel momento la partita è cambiata ancora. Trevisan ha iniziato a correre di nuovo, trovando l’energia chissà dove, e da sotto 4-2 è riuscita a rimontare 4 giochi pari. Da lì è stata una lotta punto dopo punto, scambi perfetti seguiti da errori non forzati sul finale di scambi strazianti. La partita non ha preso una direzione precisa fino alla fine del tiebreak decisivo dove con soli due punti di distanza, la giocatrice Toscana ha chiuso 10 punti a 8 mettendo a segni i due punti più belli dell’intero match. Al secondo turno l’aspetta la testa di serie numero 9, Marketa Vondrousova.

 

IL MATCH

Primo set: Dominio totale di Putintseva e prestazione inesistente di Trevisan

Trevisan inizia al servizio e si ritrova subito costretta a salvare tre palle break. Annulla la prima con uno schema servizio e dritto vincente. Ma Putintseva risponde aggressiva sul secondo servizio e segue con una palla corta insidiosa che costringe Trevisan a rispondere male, buttando largamente fuori la palla. Il primo vantaggio è della Kazaka: 1-0.  Inizia la serie infinita di errori gravi da parte di Trevisan che nei primi due game porta a casa un punto soltanto: 2 a 0 Putintseva. Anche nel terzo gioco l’azzurra si ritrova in svantaggio e la kazaka continua ad avere le idee molto più chiare. Grazie ad un dropshot sotto rete e un passante preciso Putintseva si aggiudica anche il terzo game: 3-0. Completamente fuori dalla partita, Trevisan lascia poco spazio alle parole e concede anche il 4 gioco alla kazaka. Prende anche il triplo break a sfavore e si ritrova sotto 5 game a 0 con 21 punti a 4 a favore di Putintseva. Proprio sul finale, Trevisan sembra risvegliarsi, annulla molto bene i primi due set point risalendo da sotto 40-0 a 40-30. Ma Putintseva sfrutta la terza chance per chiudere il primo parziale totalmente dominato.   

Secondo set: La rivincita di Trevisan premiata da un tie-break perfetto, agevolato dagli errori di Putintseva

 Per la prima volta dall’inizio del match Trevisan prende tre punti di vantaggio consecutivi nel primo game e tiene a 0 il turno di servizio:1 a 0. Entra finalmente in campo un’altra giocatrice italiana che va a prendersi le prime due palle break del match per chiudere avanti 2-0. Nel terzo gioco ritornano gli errori non forzati dell’azzurra e Putintseva si riprende il game di svantaggio. La kazaka regala qualcosa a Trevisan nel quarto gioco trascinandosi fino ai vantaggi. Putintseva inizia ad avere le idee più confuse ma l’italiana è ancora troppo fallosa e non sfrutta le occasioni fino in fondo: 2 giochi pari. Arriva un altro calo di Trevisan al servizio che regala alla kazaka tre palle break consecutive. Ma l’italiana riesce ad arrampicarsi con le unghie fino a vantaggi per poi chiudere un game complicatissimo: 3-2. Con quel carico di fiducia, Trevisan strappa il servizio all’avversaria per ritornare sopra 4-2. Ottima reazione della kazaka che dimostra di essere ancora nettamente in partita e va a prendersi subito due occasioni per chiudere il game sul servizio di Trevisan: 4-3. Nell’ottavo gioco arriva lo scambio più lungo del match dove Trevisan non vuole mollare, ma è lei la prima a sbagliare: 4 pari. L’azzurra non si fa demoralizzare dalla seconda rimonta del set di Putintseva e tiene dignitosamente il turno di servizio per restare avanti 5-4. Per sei volte, Trevisan si ritrova a due punti dal set ma la kazaka non molla la presa e con un lob imprendibile conquista il decimo e più lungo game del match: 5 pari. Dopo tanta fatica, Trevisan gioca due brutti punti e Putintseva vede uno spiraglio dove attaccare di prepotenza. Con coraggio, Trevisan annulla tre palle break, di cui due consecutive, per guadagnarsi la prima chance di 6-5. E grazie al servizio si tira fuori da un fosso profondo. La kazaka tiene bene il turno di servizio successivo che la porta al tiebreak decisivo.

 Tiebreak: Inizia con un vincente di dritto Trevisan e tiene il turno di servizio: 1-0. L’italiana fa correre in avanti la kazaka due volte di fila con due drop-shot efficaci e conquista due mini-break consecutivi: 3-0. Continua il tiebreak perfetto di Trevisan che tiene il servizio e avanza: 5 a 0. Putintseva ormai sembra senza idee, sbaglia di rovescio e concede un altro punto importante: 6-0. E dopo un ‘ora e 45 minuti, Trevisan vince il tiebreak senza concedere neanche un punto.

Terzo set: Una sfida di nervi interminabile dove non c’è spazio per nessun vantaggio netto, ma il tiebreak decisivo lo vince Trevisan

Ora la partita sembra davvero essere girata: Trevisan attacca fin dal primo punto e come nel secondo parziale parte in vantaggio: 2-0. Nel quarto game, l’italiana avanti 2-1 commette un doppio fallo e perde il turno di servizio a 0. Putintsova rientra nel terzo set: 2 pari. Insiste con la palla corta la kazaka, Trevisan corre ma inizia a far fatica a stare in piedi per i crampi dopo quasi 2 ore e mezza di gioco. Si arrende a Putintseva che chiude il terzo game di fila e va in vantaggio: 3-2. L’azzurra può finalmente chiamare il fisioterapista anche se sa bene che per i crampi non può farsi trattare. Torna a servire Trevisan, ma senza forze, e regala di nuovo a 0 il suo turno di servizio alla kazaka che ora conduce 4-2. Difficile immaginare che la numero 58 del mondo possa rientrare in partita. Ma questo match è totalmente imprevedibile: l’azzurra ricomincia a correre e recupera con grande personalità il break di svantaggio: 4-3 Putintseva. Continua a muoversi meglio Trevisan che riesce a guadagnarsi due chance del 4 pari. Il primo dritto finisce in corridoio, ma il secondo prende un angolo maledetto e la 29enne toscana resta aggrappata: 4 pari. Putintseva sale nuovamente in cattedra con un rovescio incrociato perfetto: 5-4 per la kazaka. Il decimo game è il momento più importante fino a qui per l’italiana che è costretta a tenere un turno di servizio determinante ai vantaggi. Trevisan tiene la battuta: 5 giochi pari e quasi 3 ore di gioco. Da quel momento in avanti inizia una lotta infinita, straziante: parità e vantaggi; break e contro-break. L’ultima parola va al tie-break decisivo.

Tiebreak: Trevisan parte di nuovo bene anche nel secondo tiebreak del match e si prende il vantaggio avanti 2-0. Chiude con un schiaffo al volo la kazaka che si prende il primo punto dei due tiebreak giocati: 3-1 per la toscana. Con un dritto scarico a metà rete e un doppio fallo Trevisan deve ricominciare da capo: 3 pari. Senza mini-break di vantaggio Trevisan va a servire sotto 5-4. Chiude di rovescio lungolinea il primo punto ma la volée successiva la tradisce: 6-5 per la kazaka che le restituisce in fretta il favore con una pallonetto fuori dalla riga di fondo: 6 pari. Doppio fallo di Putintseva: 7-6. Ma finalmente, da sotto 7-8, la giocatrice toscana si aggiudica due punti consecutivi uno più bello dell’altro che le regalano il primo match-point di questa sfida. Senza forze, quasi in lacrime, Martina Trevisan si aggiudica il secondo turno degli US Open in 3 ore e venti minuti.


[3] J. Pegula b. C. Giorgi 6-2 6-2 (Federico Martegani)

Si sapeva che sarebbe stata dura per Camila Giorgi, che non aveva certo goduto di un sorteggio fortunato pescando al primo turno la testa di serie n° 3, nonché n° 3 del mondo, Jessica Pegula, e il pronostico è stato in tutto e per tutto rispettato, con un punteggio, 6-2 6-2 in un’ora e 24 minuti, forse anche troppo severo per quanto visto sul campo. Fatto sta che era l’undicesima volta che le due si affrontavano e solo in due circostanze l’italiana aveva avuto la meglio. Chiaro segnale che la solidità dell’americana, per di più sospinta dal pubblico ovviamente di parte, è per la marchigiana quasi sempre inscalfibile.

Giorgi ha mostrato un buon tennis soprattutto verso la metà di entrambi i parziali, ma è andata sotto troppo presto di un break sia nel primo che nel secondo, non riuscendo poi a rimontare. Il game chiave è forse stato proprio quello che ha offerto l’allungo decisivo a Pegula, avvenuto sul 2-2 del secondo set. Un gioco in cui Camila ha avuto cinque palle per rimanere con il naso avanti, ma che alla fine le è costato il break, decisivo per spezzare anche quei pochi appigli rimasti. Pegula avanza dunque al secondo turno e dovrà ora affrontare, in ogni caso da netta favorita, o Patricia Maria Tig o Rebecca Marino.

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US Open, Pegula: “Accordo tra WTA e Arabia Saudita? Se ci pagano abbastanza…”

Jessica Pegula parla anche del rapporto straordinario con Gauff: “Coco favorita, io vivrò alla giornata”

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Jessica Pegula - Montreal 2023 (foto Twitter @OBNmontreal)

C’è grande fermento e attesa negli Stati Uniti per l’edizione 2023 dell’US Open. In campo femminile le speranze sono riposte in Coco Gauff e Jessica Pegula. Le due sono pronte a riportare la propria nazione sul gradino più alto, spolverando i grandi fasti delle sorelle Williams. Gauff e Pegula sono state protagoniste nella stagione sul cemento che ha condotto le atleti all’ultimo Slam dell’anno: “Sono molto felice di essere qui – spiega Jessica – da americana poi si sente una responsabilità differente”.

La n. 3 del mondo debutterà contro Camila Giorgi lunedì 28 agosto e ha motivato la presenza di Ace, il cane che fa parte del suo team: “Esce sempre con me! Sto raccogliendo fondi anche per la fondazione di Elina (Svitolina) ed è molto divertente farlo. Mercoledì sera abbiamo contribuito a questa causa facendo un bel match di esibizione. Mi è servito per respirare l’aria pre torneo alla presenza di tanti tifosi. Mi sono adoperata anche per l’evento promosso dalla WTA. È stato davvero carino”.

Che effetto le fa arrivare all’US Open da atleta n. 3 del ranking: “Anche l’anno scorso ero in una posizione simile e so cosa si prova. Quest’anno sarà molto più impegnativo. In generale mi sento come se rappresentassi il tennis americano”. Pegula ha anche parlato del suo splendido rapporto con Coco Gauff: “La sconfitta subita a Wimbledon l’ha spinta a migliorare. E’ venuta fuori molto affamata da una situazione negativa ed è bello vedere che una tennista così giovane abbia già vinto tanto. Ho giocato a Montreal contro di lei, io poi ho vinto con Iga e lei ha fatto la stesa cosa a Cincinnati. Ha detto che la mia vittoria l’ha spronata a far bene. Succede spesso che le vittorie delle tue amiche o colleghe ti siano da stimolo, ti aiutano ad avere più fiducia. Sono felice che anche lei abbia acquisito sicurezza da quella settimana e sia riuscita a portarla a Cincinnati. Penso che sia davvero in fiducia. Quando un giocatore è in questo stato è più difficile da battere. So che adora giocare con il pubblico. Penso che ci siano molti favoriti, ma il pubblico potrebbe aiutarla molto. Sono felice che stia migliorando e imparando. Lei è il futuro di questo sport, quindi… è bello da vedere”.

 

Come membro del consiglio dei giocatori, come Pegula giudica l’impatto dell’Arabia Saudita sul tennis e sulla WTA che sta per stilare un accordo con i sauditi? “Parliamo di voci e non so se accadrà. Bisogna valutare i pro e i contro: di positivo c’è che entreranno più soldi nel nostro sport al femminile e lavoreremo per i diritti delle donne in Arabia Saudita per sperare in un cambiamento e sostenere le giuste cause. Se riusciamo a cambiare quei popoli sarebbe un grande successo. Sfortunatamente, molti posti non pagano abbastanza le donne e purtroppo non possiamo permetterci il lusso di dire no ad alcune cose. Credo che se i soldi fossero giusti e l’accordo fosse qualcosa per cui possiamo creare un cambiamento, andrebbe bene giocare là. Vediamo come andrà a finire”. Ma i soldi arabi hanno un attivo profumo, a sentire il direttore Scanagatta.

Ma come sta Pegula? “Non mi sento più in fiducia delle altre volte, a dire il vero. Ancora una volta, il tennis è così e cambiam di settimana in settimana. Ho vinto a Montreal, poi sono stata sconfitta e ho perso a Cincinnati. In un certo senso sono tornata al punto di partenza nell’analizzare le cose su cui lavorare. Prendo questo Slam come un’ulteriore sfida con me stessa”.

Per l’americana c’è il taboo semifinale e finale in uno Slam da abbattere. Sei quarti di finale negli ultimi suoi otto Major: “Mi manca solo vincere i quarti di finale (sorride). Questo mi aiuterebbe a superare i quarti di finale e arrivare in semifinale. Ci sono andata molto vicina a Wimbledon. Non so cos’altro dire. Cercherò sempre di vincere ogni singola partita, non importa in quale round sia. Il mio “must” è pensare una gara alla volta: penso che questo sia il modo migliore per giocare senza troppa pressione, affrontando una partita alla volta. Saranno due settimane lunghe. Ogni giorno mi sentirò diversa. Probabilmente ci saranno delle sfide mentali e fisiche da combattere o non mi sentirò al top. Dovrò vivere giorno dopo giorno”.

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Martina Navratilova sulle atlete trans: “Il tennis femminile non è per atleti maschi falliti”

L’ex campionessa statunitense torna nel mirino dei social: il commento sulle atlete trans che stona con la sua veste di icona Lgbtq+

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Martina Navratilova contro le atlete trans: un paradosso che sa di reazionarismo. L’ex campionessa di tennis e icona Lgbtq+ nel panorama sportivo mondiale, tuona sulla questione legata alla presenza di atlete trans nei tornei per donne over 55 organizzati dall’USTA (United States Tennis Association) la Federazione tennis a stelle e strisce. Prima atleta professionista a fare coming out nel 1981, la tennista ceca (naturalizzata statunitense) si butta a capofitto nel mezzo di una discussione su Twitter riguardante, nello specifico, la vittoria di una tennista nata uomo, Alicia Rowley che ora partecipa ad eventi per donne dopo il periodo di transizione: “Il tennis femminile non è per atleti maschi falliti” commenta Navratilova.

E continua ribadendo: “Hey, Usta: il tennis femminile non è per atleti maschi falliti, qualunque sia l’età. Questo sarà consentito allo US Open di questo mese? Solo con un documento d’identità? Non credo. […] È patriarcato per gli uomini biologici insistere sul diritto di entrare negli spazi creati per le donne. Quanto è difficile da capire? È patriarcato che gli uomini biologici insistano sul diritto di competere nella categoria femminile nello sport“.

Per quanto sorprendente, la posizione presa da Navratilova non è tuttavia una completa novità: nel 2019 era stata espulsa da un’associazione che combatte battaglie in sostegno di atleti omosessuali, l’Athlete Ally, accusata di transfobia per aver pronunciato le seguenti parole (riportate dal Sunday Times): “È sicuramente ingiusto per le donne che devono competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Sono felice di rivolgermi a una donna transgender in qualsiasi forma preferisca, ma non sarei felice di competere contro di lei”. A distanza di quattro anni, nulla è cambiato. Almeno per lei.

 

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