Killer Connolly, l'assassina con le trecce

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Killer Connolly, l’assassina con le trecce

Così la chiamò il giornalista Alison Danzig. Fra il 1951 e il 1954 vinse tutti e nove i Majors ai quali partecipò, cinquanta vittorie, zero sconfitte e il Grande Slam nel 1953. Ecco la breve ma fulminante carriera della tennista che sembrava una corazzata

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“Una candela che arde col doppio dello splendore brucia in metà tempo”
(Blade Runner, 1982)

Il primo giorno d’estate del 1969 una giovane donna di trentaquattro anni muore di cancro al Baylor Hospital di Dallas vegliata dal marito e dalle due figlie. Pochi giorni prima era al telefono con l’amico Ben Press, che viveva ad un tiro di sasso da casa sua e gli aveva detto “Caro Ben, non essere triste. Mi sono data una vita incredibilmente eccitante. Ho detto una? Volevo dire dieci”. Nella voce della tennista più dominante mai apparsa su un campo non c’era traccia di amarezza. Forse aveva giocato e vissuto a cento all’ora perché in un certo strano modo percepiva che il suo tempo fra noi sarebbe stato limitato. Il suo nome era Maureen Catherine Connolly,the killer in pigtails”, la prima completare il Grande Slam femminile nel 1953, a soli 19 anni di età.

Il Fenomeno vede la luce il 17 settembre 1934 a San Diego e cresce con la madre e una zia perché il padre abbandona la famiglia quando lei ha solo quattro anni. Un tale precoce dolore contribuirà a forgiarne il carattere d’acciaio, l’insopprimibile volontà di vittoria e quella concentrazione letale che la portarono ancora adolescente sul tetto del mondo. Maureen prende lezioni di danza e adora i cavalli ma la condizione economica della famiglia non le consente di portare avanti la sua passione. Ma c’è qualcos’altro in lei, un fighting will, uno spirito battagliero che la spinge alla competizione. Gioca spesso con i maschi del quartiere a baseball ma umilia uno di loro spedendo il suo lancio in cielo con una super battuta. Non la faranno più partecipare. Un giorno mentre si aggira intorno al Tennis Club di San Diego una pallina di feltro bianco le rimbalza fra i piedi, un uomo le chiede di restituirla e lei esegue. L’uomo è Wilbur Folsom, un’istituzione in città, il “wooden leg teacher”, il maestro con la gamba di legno. Ha perso la sinistra a diciott’anni in un incidente d’auto ma questo non gli ha impedito di diventare un appassionato istruttore di tennis. Per trentacinque anni insegnerà i fondamenti del gioco e della vita a legioni di ragazzi e ragazze che considereranno il suo piccolo negozio di articoli sportivi come una seconda casa. A volte chiedeva un dollaro per le sue lezioni ma più spesso si faceva pagare in palline da tennis che i suoi allievi gli recuperavano in giro. Dopo il 1929, nel periodo della Grande Depressione, intaccò considerevolmente le sue magre finanze facendo lezione gratis, coinvolgendo i ragazzi nelle attività del circolo e accettando a volte in cambio torte fatte in casa o biscotti. Quando si incontrano Maureen ha dieci anni e il gioco la strega immediatamente. I movimenti del tennis le ricordano la danza che tanto ama con in più il fascino della competizione uno contro uno. Disse: “Ho sempre pensato che il successo nel tennis fosse il mio destino. Un destino oscuro a volte, dove il campo era la mia jungla segreta ed io un solitario cacciatore spaventato. Ero una piccola strana ragazza, armata di odio, paura e una racchetta d’oro”.

La storia inizia così, Folsom accetta di insegnarle a giocare e in cambio Maureen fa da raccattapalle tuttofare per il circolo. È naturalmente mancina come il grande Ken Rosewall ma come lui viene reimpostata perché all’epoca nessuno giocava con la sinistra. Lei accetta senza batter ciglio e si allena anche di notte contro il muro di casa per prendere confidenza con la destra. Spesso cambiare mano lascia debolezze nel gioco ma per Maureen tutto andò alla perfezione, tanto che solo due anni dopo il loro primo incontro Folsom la convoca nel suo negozio e dice: “Maureen, io non posso più fare nulla per te. Ti ho fissato un appuntamento con Teach Tennant, vuole vederti giocare”. Connolly piange e strepita, Folsom è per lei il padre che non ha mai avuto ma accetta e l’incontro del destino avviene. Eleanor “Teach” Tennant è all’epoca la più famosa allenatrice di tennis degli Stati Uniti, ha formato e portato al successo Alice Marble e Bobby Riggs e a tempo perso insegna tennis alle maggiori star di Holliwood, fra cui Clark Gable, Erroll Flynn e Marlene Dietrich. L’immortale Bill Tilden nel suo libro “How to play a better tennis” del 1953 la definisce la migliore di tutti, maschi inclusi. È una dodicenne intimidita quella che varca la soglia del Beverly Hills Tennis Club accompagnata dalla madre e dal giornalista del San Diego Union Nelson Fisher una mattina del 1946. Teach, fredda, snella, i capelli color del ferro stretti in una crocchia, palleggia con lei qualche minuto e abbandona il campo senza una parola. Poco dopo ricompare per dire: “Tutti i pomeriggi dopo la scuola prendi il pullman e vieni qui. Puntualità, niente dolci e a letto presto. Qui ci si allena, non si gioca. Manca ad una sola di queste regole ed è la fine. Arrivederci”.

E le regole sono regole.

Un giorno incontra l’attore Gilbert Roland, con cui va a Tijuana a vedere una corsa di cavalli disertando l’allenamento. “Tyrannic” Tennant non perdona e la rispedisce a casa ma una lettera bagnata di lacrime la commuove facendola tornare sui suoi passi. Ed è un bene per la storia del tennis. Teach costruisce con lei un gioco potente, un Big Game fondato su dritto e rovescio colpiti sempre piatti e profondi ma soprattutto instilla nell’allieva una ferocia agonistica mai vista, spingendola ad odiare l’avversaria oltre il net fino alla sua completa distruzione. Sul campo la concentrazione di Maureen è sovrumana ed è lei stessa a dire: “L’unica cosa che vedevo sul campo era la mia avversaria. Avresti potuto far esplodere della dinamite nel campo accanto e non me ne sarei accorta”. Connolly cresce in forza e convinzione, spesso passa la notte a Los Angeles a casa di Teach e alle pareti vede la storia del tennis sotto forma di foto incorniciate con dedica. Ci sono Alice Marble, “to my Teach, the best!”, Bobby Riggs, “To my teach, a man’s best friend” ma anche Don Budge, il primo Grand Slammer di sempre nel 1938 e Jack Kramer, forse il migliore di tutti. La giovane ragazza di San Diego non crede ai suoi occhi ma si ispira alla grandezza e la fiducia nell’allenatrice cresce di pari passo con la convinzione nei suoi mezzi. A quattordici anni vince il titolo a Forest Hills nello US Open under 18 ma “Tremendous” Teach non è mai contenta e dopo la finale la apostrofa duramente: “Il tuo servizio è debole e non vai mai a rete, giocavi meglio a dodici anni”. Ma è il decollo e l’amico giornalista Nelson Fischer conia per lei il nomignolo di “Little Mo”, con riferimento alla corazzata Missouri detta “Big Mo”, la nave sulla quale il 2 settembre del 1945 venne firmata la resa del Giappone e che era alla fonda nella baia di San Diego.

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