Killer Connolly, l'assassina con le trecce - Pagina 2 di 2

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Killer Connolly, l’assassina con le trecce

Così la chiamò il giornalista Alison Danzig. Fra il 1951 e il 1954 vinse tutti e nove i Majors ai quali partecipò, cinquanta vittorie, zero sconfitte e il Grande Slam nel 1953. Ecco la breve ma fulminante carriera della tennista che sembrava una corazzata

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Ad inizio settembre del 1951 non ha ancora compiuto diciassette anni quando incontra in semifinale a Forest Hills uno dei suoi miti, Doris Hart, campionessa di Wimbledon. Temendo la reverenza della sua allieva Teach inganna Maureen dicendole che Doris ha dichiarato alla stampa che “sculaccerà quella mocciosa per bene”. Little Mo serra le labbra, arma i cannoni e scende in campo. Va sotto quattro a zero ma vince poi dodici games su sedici e trionfa col punteggio di 6-4 6-4. In finale sconfigge in tre set la connazionale Shirley Fry e diventa la più giovane campionessa degli US Open di sempre. Il suo record sarà battuto solo 28 anni dopo nel 1979 da Tracy Austin, un altro fenomeno di precocità con i codini dalla carriera troppo breve. Al ritorno a San Diego è festa grande e i concittadini di Maureen le donano un cavallo che lei battezza col nome di Colonel Merryboy. Di fatto è già la migliore di tutte, dalla linea di fondo comanda il gioco con colpi veloci e accurati, il rovescio spesso dominante più del dritto che darà il titolo alla sua autobiografia (Forehand drive, 1957). Ma nel tennis la consacrazione è Wimbledon, considerato da sempre il campionato del mondo non ufficiale, e i tempi sono maturi per lo sbarco di un nuovo William the Conqueror sul suolo inglese. Nel 1952 la sua prima corona di Londra segna anche la fine del suo rapporto con Teach, la quale non voleva che Maureen partecipasse al torneo a causa di un infortunio alla spalla. In una celebre conferenza stampa all’All England Lawn Tennis and Croquet Club Connolly tronca cinque anni di legame con la stessa ferocia colla quale chiudeva un dritto lungolinea. “Miss Tennant non mi rappresenta più”, dichiarò ai giornalisti esterrefatti prima di vincere il torneo in carrozza. Le due smisero per sempre di parlarsi. Maureen scelse come successore Harry Hopman, il geniale costruttore di generazioni di campioni come Sedgman, Rosewall, Hoad, Laver e innumerevoli altri. Il mago australiano è uno duro motivatore ma sa essere gentile e ironico e forse è proprio lui a suggerirle l’idea di tentare il Grande Slam. E’ il 1953, sir Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay conquistano l’Everest, Marylin Monroe è sulla copertina di Playboy e negli Stati Uniti i coniugi Rosenberg vengono giustiziati a Sing Sing per spionaggio.

La conquista del Sacro Graal del tennis comincia col viaggio in Australia per lo Slam Down-Under. A quei tempi era proprio la scomodità del viaggio a scoraggiare molti dei possibili partecipanti e Maureen ha gioco facile nel sorvolare il torneo e sconfiggere comodamente in finale la statunitense Julia Sampson. Paradossalmente la maggiore difficoltà dell’impresa fu proprio la lunghezza della campagna d’Australia che prese tre mesi di tempo. Al ritorno in Europa Maureen perderà l’unico set nei quattro tornei contro la britannica Susan Partridge, futura moglie del capo del tennis francese Philippe Chatrier, nei quarti di finale del Roland Garros. In finale a Parigi batte Doris Hart, che raggiungerà l’ultimo atto anche a Wimbledon e Forest Hills senza mai vincere un singolo set. Solo sul Centre Court di Londra ci sarà partita con Maureen che prevalse solo per 8-6 7-5. Nel 2013, a sessant’anni da quel match, la ultra-ottantenne Hart viene intervistata in proposito e la sua memoria è ancora nitida: “Ricordo che uscendo dal campo mi sentivo come se avessi vinto, non avevo mai giocato così bene ma lei è stata molto migliore di me. Era incredibile, poteva perdere un quindici per una chiamata errata ma non faceva una piega. Semplicemente vinceva tutti i punti successivi”. E ancora: “Non è elegante paragonare i giocatori di oggi con quelli di allora, ma ho sempre detto che Maureen è stata la più forte giocatrice che mi sia capitato di incontrare. A diciannove anni aveva già vinto tutto, chi altro ne è stato capace?” A Forest Hills i giochi sono fatti, Doris Hart è ancora vittima di Killer Connolly che la batte col punteggio di 6-2 6-4 e completa l’impresa. È Don Budge, l’Original Slammer, che la intervista per la TV e di colpo Maureen torna l’adolescente che non ha mai potuto essere. Con le lacrime agli occhi dichiara semplicemente: “Non riesco a dirti quanto io sia felice. E’un brivido meraviglioso.”

È in vetta a diciannove anni, nessuno la può battere se non il destino o gli Dei, sempre gelosi della grandezza umana. Il 1954 era iniziato sotto i migliori auspici e il killer aveva conservato la mira confermandosi sia a Parigi che a Londra. Il 20 luglio è una mattina di sole a Mission Valley quando Maureen sella l’adorato Colonel Merryboy per una cavalcata rilassante. Da lì a poco la carriera della più grande di tutte è finita. Una betoniera che trasporta cemento inverte la marcia d’improvviso e l’urto è violento e inevitabile, la gamba di Maureen rimane schiacciata fra il veicolo e il fianco del cavallo e lei è trasportata d’urgenza al Mercy Hospital di San Diego. La diagnosi è agghiacciante, tibia e perone sbriciolati con complicazioni all’arteria femorale e ai tendini. L’operazione che le salva la gamba dura molte ore e al risveglio Little Mo vede a fianco del letto un uomo dai capelli grigi che fatica a riconoscere. È il padre, che nella tragedia ha trovato finalmente il coraggio di vincere la sua vergogna.

E così Maureen, nel giorno del suo addio al tennis, può finalmente riconciliarsi col genitore che non ricordava più di avere.

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