Rio de Janeiro a un anno dai giochi: la città che non sa di essere olimpica

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Rio de Janeiro a un anno dai giochi: la città che non sa di essere olimpica

Impianti non finiti, linee di trasporto da completare, traffico ancora in tilt e soprattutto una cosa: in città non c’è traccia delle Olimpiadi. A un anno da Rio 2016 un piccolo viaggio nella città dei sogni brasiliana, che per ora dorme ancora, scottata dai Mondiali e dalle sue insanabili contraddizioni

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È una città lontana, lontanissima dall’immaginario occidentale che la vuole tutta luci, colori, samba e ballerine, la Rio de Janeiro che sta lentamente lavorando per prepararsi ad accogliere i Giochi della XXXI Olimpiade. Una metropoli piena di contrasti che vive, ancora oggi, appoggiata sulla inconciliabile distonia tra le spiagge ricche, vivaci e piene di turisti, a Copacabana, Ipanema e Leblon, e le favelas arroccate sui “morros” appena dietro, ricettacolo non solo di criminalità e povertà da terzo mondo, ma anche di un ceto medio cresciuto meno velocemente rispetto al costo della vita, e non ancora in grado di comprarsi una casa nella Rio più urbanizzata. In mezzo a tutto questo, i lavori per costruire i Giochi: lontani, a dire il vero, dal cuore pulsante della ex capitale del Brasile.

Prima materialmente che geograficamente: girando per le strade di Rio, in qualsiasi quartiere e anche nelle prossimità degli impianti, non c’è nessun rimando, un cartellone, un manifesto, un led, un volantino, che parli di Olimpiadi. Al Maracanà campeggiano ancora i cartonati dei Mondiali di calcio, lo scheletro del Villaggio Olimpico e delle sue infrastrutture è lontanissimo dal centro, il cantiere di ampliamento dello Stadio “Joao Havelange”, che sarà il tempio dell’atletica, è nudo di qualsiasi riferimento olimpico, e il viaggiatore distratto e non sportivo penserebbe che lì si stia lavorando e basta, non che si stia preparando il terreno per ospitare la specialità regina dell’evento sportivo più importante dell’epoca contemporanea.

Come detto, le Olimpiadi sono lontane anche geograficamente dalla Rio più conosciuta: Barra da Tijuca infatti, il quartiere deputato a ospitare il Villaggio Olimpico e gran parte degli impianti, è lontano, lontanissimo da Botafogo, Flamengo o Copacabana. Traffico compreso, oggi ci vogliono quasi due ore per arrivarci, e scoprire che il cantiere è ancora tutto aperto: dal Comitato Olimpico Brasiliano rassicurano, il ritardo è studiato apposta per non gravare sui costi di manutenzione di palestre e stadi che sarebbero vuoti fino al prossimo agosto. Sarà tutto pronto tra gennaio e aprile, così come anche le nuove linee di trasporto, metropolitana in primis, i cui cantieri stanno intasando ancora di più il traffico. Entro la fine del 2015 anche il Villaggio Olimpico sarà collegato a Rio da mezzi veloci che eludano il traffico: il lavoro dei giornalisti che seguono più discipline, altrimenti, sarebbe quasi impossibile. Le distanze, infatti, sono importanti (tra il Maracanà, sede delle cerimonie di inaugurazione e chiusura e delle partite di calcio, e il Villaggio Olimpico ci sono circa 40 chilometri), e complicate dai “morros” che fanno inerpicare e restringere le strade, creando un traffico molto congestionato.

Gli spazi di Rio de Janeiro, infatti, sono enormi, e le sedi deputate a ospitare le gare, le più disparate: dal quartiere olimpico di Barra da Tijuca dove si svolgeranno le manifestazioni di nuoto, tennis, basket, lotta o ginnastica ci si sposta infatti a Copacabana per il canottaggio, il beach volley e il ciclismo, per poi salire a Flamengo con la vela, al Sambodromo per il tiro con l’arco, al Maracanà e al Maracanazinho per calcio e pallavolo, allo Stadio Olimpico vero e proprio (costruito nel 2007 non troppo distante dal Maracanà) che ospiterà l’atletica ma non le cerimonie, per arrivare a Deodoro, a nord, dove si assegneranno le medaglie di scherma ed equitazione. Un’organizzazione suggestiva, che animerà la città tutta, aumentandone ancora il fascino: ma che diventa comunque una responsabilità pensando alle sacche di criminalità della metropoli carioca e all’efficienza, ancora da trovare, dei mezzi di trasporto.

Insomma, la speranza è che davvero sia tutto pronto per il 5 agosto 2016 e che le Olimpiadi, come dicono a tutti i livelli sportivi e politici in Brasile “siano un’opportunità, anziché uno spreco come lo sono stati i Mondiali di calcio del 2014”. Allora le spese furono ingenti e le opere costruite a danno della popolazione (con espropri e sfratti) e in zone non ricettive per il post-mondiale: alcuni stadi sono oggi vere e proprie cattedrali nel deserto. Le Olimpiadi, invece, utilizzeranno molti impianti preesistenti e quelli nuovi saranno o smantellati subito dopo o riutilizzati come centri di allenamento federali. Insomma, gli sprechi saranno ridotti al minimo. Rimane l’insanabile contrasto di una città che si è candidata a ospitare, nell’arco di soli due anni, i due maggiori eventi sportivi dell’epoca contemporanea, ma che non è in grado di offrire lo sport di base (e non solo) ai suoi cittadini più giovani, confinandoli in gran numero nella disperazione delle favelas. A poche centinaia di metri dalle medaglie d’oro dell’Olimpiade, da ricchezze e da spese che, forse, potevano essere convertite in altro.

 

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