Flavia, il grande addio (Valesio). Magnifica Pennetta. E dopo il trionfo annuncia il ritiro (Martucci). Come fosse una sfida in famiglia (Clerici). “Bello chiudere con un'amica” (Barocci). Federer-Djokovic, fantasia o solidità? (Martucci)

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Flavia, il grande addio (Valesio). Magnifica Pennetta. E dopo il trionfo annuncia il ritiro (Martucci). Come fosse una sfida in famiglia (Clerici). “Bello chiudere con un’amica” (Barocci). Federer-Djokovic, fantasia o solidità? (Martucci)

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Flavia, il grande addio (Piero Valesio, Tuttosport).

Sono giorni che chi ama il tennis non dimenticherà mai, perché non si ripeteranno, almeno non in questo modo. La regina di New York è Flavia Pennetta, che da oggi salirà al numero 8 del mondo e ieri ha conquistato un posto per il Masters. Ma bisogna spellarsi le mani per ringraziare Roberta Vinci, che venerdì ha insegnato a Serena Williams come si gioca a tennis e ieri ha impartito (a tutti, non solo a Serena) una splendida lezione su come si perde, alla fine di una partita di tennis. Conquistando ventimila persone con lo stile ed il sorriso. Cerchiamo di tenere bene tutto a mente, perché un giorno lo racconteremo. Anche il finale, sorprendente come sorprendenti sono stati tutti questi giorni. Con un colpo di scena degno di Hollywood, Flavia ha detto semplicemente: smetto. Non tornerò qui. Lascio dopo aver toccato la vetta che per tutta la vita ho sognato di toccare. Poteva esserci un finale più incredibile? No, non poteva. E, diciamo la verità, la commozione ha toccato tutti. Impossibile non pensare che Roby sapesse. Che in qualche modo, ad un certo punto, abbia deciso di compiere un piccolo passo indietro. Che ci abbia provato e poi, una volta capito che la sceneggiatura era scritta, abbia deciso che era la giornata di Flavia, non la sua. Ma che importa, alla fine? Comunicando al mondo il suo ritiro, Flavia ha coronato un torneo irripetibile. Ha scritto una chiusura con cui ha conquistato alla sua causa e a quella del tennis femminile italiano i pochi che ancora non hanno capito come proprio le donne siano le depositarie di quei gesti che nel maschile sono quasi del tutto scomparsi. Flavia chiuderà a fine anno, non subito. Non andrà ai giochi di Rio: e a questo punto perché non immaginare che, travolti tutti dalle emozioni di questi giorni, alla fine Roberta Vinci e Sara Errani si riuniscano e difendano l’Italia alle Olimpiadi? La Pennetta sposerà Fognini, diventerà, come suo desiderio, mamma, prenderà le redini di qualche squadra azzurra. Staremo a vedere. Ma queste solo elucubrazioni di domani. Ora c’è solo la gratitudine di chi ha potuto vivere tutte queste emozioni nel giro di pochi giorni. Mai in tempi recenti l’Italia ha goduto di un promo di tale potenza: con due testimonial di assoluto e impagabile valore. Non poteva essere una partita come le altre e difatti non lo è stata Ma è stata una partita, vera, intensa giocata, come era ovvio che fosse, più dagli inconsci delle due ragazze che dai loro colpi. E’ stato sul 5-2 Pennetta, servizio Vinci, esattamente in quel punto, che Roberta (o il suo inconscio?) ha deciso che era il caso di chiuderla lì, prima che si mettesse a piovere. Un game fulmineo che forse non si è nemmeno giocato davvero, chissà. Roby aveva già conquistato il suo torneo giocando la partita più incredibile della vita, contro Serena, il giorno prima: è stato come avesse voluto cedere il palcoscenico a Flavia, si è offerta al successo della Penna e al contempo ha con lei dato vita ad un abbraccio tremendamente sincero, forse il più sincero, il più mediterraneo nella storia del tennis. E poi tutte e due sedute a fianco aspettando la premiazione. Flavia che si toglie furtivamente il byte dalla bocca e chiacchiera con l’amica forse scegliendo in quale ristorante andare di lì a poco. La cosa migliore della partita, l’essenza di una finale, di due vite. Due ragazze che ridono, Roby che sfila dalle mani dell’amica l’assegno da 3.3 milioni di dollari e poi glielo restituisce. Abbiamo assistito al un torneo che è stato una terapia di gruppo, e nel gruppo ci siamo stati tutti. Sipario. E, mai come stavolta, standing ovation.

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Magnifica Pennetta. E dopo il trionfo annuncia il ritiro (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport).

Benvenuti alla festa italiana, al derby fra sorelle di Puglia e di tennis, Flavia Pennetta e Roberta Vinci, che giocano la prima, storica, finale Slam fra due atleti azzurri. La regina è Flavia, che con questa vittoria arriva oggi al n. 8 del mondo. Sembra un sogno, roba da stropicciarsi gli occhi, ma è la realtà di due semifinali incredibili dove le nostre due ragazze normali, non altissime, non potentissime ma che con la racchetta sanno fare tutto, hanno abbattuto la numero 2 del mondo (Simona Halep) ed addirittura la numero 1 (Serena Williams), lontana appena due partite dal chiudere il Grande Slam. Flavia e Roberta non sono solo due esordienti in finale, ma anche la coppia di finaliste più anziane che si giocano il titolo. Sarà anche vintage tutto questo, ma i 23.000 dell’Arthur Ashe Stadium si divertono a veder giocare una volta tanto di tocco e non di pura potenza. Un Arthur Ashe molto italiano, perché gli americani, traditi da Serena, hanno svenduto in extremis i loro biglietti. Partita piacevole a tratti, com’è sempre un derby, e quindi una gara di nervi. Una prima volta troppo piena di errori, al via, alle 21.22 italiane, per essere bella, fra due ragazze che si conoscono da quando hanno 8 anni e sanno tutto dell’altra. Talmente indimenticabile che Flavia annuncia anche l’addio al tennis, a fine stagione. All’inizio sembra proprio che la tensione l’accusi solo Flavia, che gioca tutta contratta e, sull’1-2, si fa riprendere da 40-15. Però poi, negli strani giochi psicologici di una partita di tennis, è il colpo-chiave di Roberta — il rovescio in back — ad andare in tilt, facendo capitolare il servizio della tarantina alla settima palla-break, per il 2-3 dopo un game estenuante di 8 minuti, con un punto l’una e un punto l’altra, e un incrocio di rovesci al curaro. Epperò la Pennetta, quella Pennetta sempre più completa di testa e di gioco, quella che ha steso Stosur, Kvitova e Halep, non è in grado di approfittarne. Non stavolta, non contro questa amica di infanzia. E così la brindisina si fa riprendere sul 4-4, sbagliando lei, andando in confusione lei, come altre volte che le sono costate molto caro. Ma, anche se balbetta, anche se sbanda, è superiore. Lo dicono gli ultimi due precedenti, lo dicono mille segnali, quel po’ di potenza in più, quella varietà, quella nuova capacità di gestire i momenti importanti. E, lo scopriremo poi, anche la determinazione di chi sta giocando non solo la partita più importante, ma anche l’ultima qui. E’ quel quid in più che decide il tie-break, spingendo all’errore da fondo Roberta (14 di dritto), col 7-4 decisivo, dopo un’ora esatta, siglato dal servizio. La partita finisce praticamente lì. La Vinci non trova più spazi per il suo gioco a tutto campo e la Pennetta sembra conoscere tutti i codici per scassinare la cassaforte che ha fatto impazzire Serena Williams. Flavia sa che cosa fa Roberta e in che punto si trova Roberta dall’altra ogni volta che colpisce la palla. Sa che deve soffrire all’inizio, e stancare un po’ quel suo braccio d’oro, sa che deve picchiare duro, sa che è lei che deve fare i punti ed imporre il suo gioco. Cosi, vola 4-1. Concede un contro-break, ma, sotto il cielo di New York sempre più minaccioso, non si può far sfuggire il 6-2 decisivo dopo un’ora e 33 minuti, che sigla col dritto. Poi abbraccia l’amica a rete, abbraccia coach Navarro e il fisio Tosello, bacia il suo Fabio, sorride a tutti, fa festa sottocoperta con il primo ministro, Renzi, il presidente del Coni, Malagò e quello della Federtennis, Binaghi, oltre che con l’ambasciatore italiano, Bisognero. L’assegno del primo premio di 3.3 milioni di dollari la fa felice, certo, ma ancor di più la rallegra enormemente questo successo insperato, e così grande. Che l’affianca a Francesca Schiavone, prima campionessa Slam italiana al Roland Garros 2010. Se lo meritava.

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Come fosse una sfida in famiglia (Gianni Clerici, La Repubblica).

Non avevo mai visto, nella finale di uno Slam, due ragazze sedute a chiacchierare sorridendo, come se avessero appena finito una partita di club, e si stessero facendo confidenze, a proposito di un qualche argomento poco importante, quasi una domandasse all’altra a che film avrebbe assistito, un paio d’ore dopo, o che tavola calda avesse scelto. Ho scritto tavola calda un po’ di fretta, ma non certo per sbaglio. Infatti la finale di questo Slam resterà indimenticabile per i toni dimessi, quasi come se quelle ventimila persone – che avevano pagato ai bagarini sino a 500 dollari di biglietti – non ci fossero state, cancellate da quell’amicizia, dal carattere provinciale della partita. Dico provinciale, e questo non vuol essere una diminuzione. Le due ragazze italiane vengono da città grandi, ma sempre di provincia, città in cui la sera, passando dalla strada principale, è più facile conoscere un concittadino che ignorarlo. Dovrei anche commentare, un po’ da distante, il match, nei suoi aspetti tecnici. Direi allora, lontano come sono, con immagini televisive che, so per diretta esperienza, sono lievemente diverse da quelle reali, come i film sono diversi dalla vita, che la geometria ha prevalso sull’immaginazione, la solidità sulla creatività, e insomma il tennis di oggi su quello di ieri. Robertina è sì riuscita a ritornare da un primo svantaggio del quale era lei stessa responsabile, più di quanto non lo fosse Flavia, non ancora al massimo delle geometrie. Ma, terminato il tie-break, la partita era, almeno per me, spettatore professionista, praticamente finita, e la frustrata creatività di Robertina non aveva nessuna possibilità di invertirne il destino. Quel che resterà, al di là del record, al di là del risultato, è l’umanità e l’amicizia, qualcosa che avevo già ammirato e addirittura fatto notare, nel match tra Venus e Serena. Che sono, ricordo, sorelle. Non diversamente da quanto Flavia e Robertina si siano dimostrate amiche.

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Bello chiudere con un’amica” (Andrea Barocci, Corriere dello Sport).

Dopo aver parlato per 5 minuti al microfono dell’Arthur Ashe Stadium davanti a più di ventimila spettatori entusiasti, Flavia Pennetta decide che quello è il momento di dire un’ultima cosa. «Ecco, voglio dire che questo è stato il mio ultimo match all’Us Open. Non penso di poter chiudere meglio la mia carriera. Grazie a tutti». Attorno al campo cala per un attimo un silenzio stupefatto, poi di nuovo applausi, grida, ancora applausi, le telecamere di Eurosport non sanno più chi inquadrare. Perché l’italiana che ha rotto il sogno americano della Williams regala un altro colpo di scena, inaspettato per tutti: la Pennetta lascia il tennis. «Finisco la stagione e poi basta. Già all’inizio dell’anno mi chiedevo cosa avrei fatto da grande, quali fossero i miei obiettivi. Allenarmi continua ad essere semplice, ma non ho più la passione per giocare i tornei. E poi ogni atleta vorrebbe ritirarsi così». Flavia confessa di aver trascorso una giornata impossibile, quella di venerdì: l’emozione della finale, quella di dover affrontare un’amica come la Vinci, il prossimo addio allo sport… «Sì, perché è stato complicato persino addormentarmi. Le ore non passavano mai. Poi è arrivato Fabio e mi ha fatto una bella sorpresa». Fabio è lì, in tribuna, che riprende la sua bella con il telefonino. E anche la Vinci, che riceve il piatto d’argento e che ringrazia il pubblico: «Sì, grazie di essere venuti. Sono felice, sono felice per Flavia che ha meritato di vincere. Ci conosciamo da tanti anni. Ho cercato di fare il mio meglio, ma ha giocato alla grande e posso solo congratularmi con lei. In ogni caso – dice rivolta alle tribune – ci vediamo l’anno prossimo!» La Pennetta sorride: «Prima del torneo non avrei mai pensato che potessi vincere qui, e quanto è accaduto rende tutto ancora più straordinario, anche perché questo è il torneo che preferisco». Non la smette di dire grazie al suo staff «che mi segue da tanti anni», poi confessa: «E’ un sogno che si avvera. Quando ero una ragazza speravo di poter vincere a Roma, ma forse quello che ho fatto a New York è molto meglio… Roberta? E’ una mia amica, ci conosciamo da quando eravamo piccole, abbiamo iniziato a giocare contro quando avevamo appena nove anni, potremmo scrivere un libro sulla nostra storia». Poi l’assegno di 3,3 milioni di dollari. Le viene consegnato e, con un gesto fulmineo, la Vinci tenta di toglierglielo di mano: «Ehi, se ho davvero giocato alla grande, allora questo è mio no?» Non sembrano neppure due tenniste che si sono sfidate per la gloria, per la storia, per una cifra stellare. Appaiono più come due ragazze che sono appena uscite dal cinema, che si sono divertite e ridono assieme. Indicano in tribuna il presidente del consiglio Renzi che le saluta assieme a Giovanni Malagò. E’ una festa a cui è stata invitata tutta l’Italia. E tutti si sono divertiti.

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Federer-Djokovic, fantasia o solidità? (Vincenzo Martucci. La Gazzetta dello Sport).

Djokovic-Federer era la finale più probabile e la più attesa, dopo le sberle che nel torneo di Cincinnati il Maestro ha rifilato al campione di gomma. Soprattutto per verificare ancora una volta se classe e fantasia possono ancora vincere sulla solidità psico-fisica, e se il tennis, come gridano fra le donne le over 30 Pennetta e Vinci, non ha età, anche ad altissimo livello. Nole, quest’anno ha giocato tutte le finali Slam, vincendone due; Roger, dopo tre anni di digiuno, non è mai stato così vicino allo Slam numero 18, per ritoccare il record maschile, rinnovando la collezione di titoli a Flushing Meadows che s’è interrotta con la quinta conquista consecutiva del 2008. La storia di Federer-Djokovic dice che il confronto fra i due specialisti del cemento è un velocissimo batti e ribatti: vince chi sta meglio quel giorno. «E’ uno shootout, non dobbiamo cambiare il nostro gioco, i nostri match sono sempre alla pari». Con Roger che è avanti 21 a 20 nei precedenti, grazie al sorpasso in Ohio, recuperando dai tre ko di fila e, soprattutto, dalla cocente delusione della finale di Wimbledon. E l’ultimo Federer, così fluido nei movimenti e pronto a prendere la rete — «il migliore degli ultimi anni», secondo il tifoso Wawrinka — è forse leggermente favorito, anche dai 28 set consecutivi che ha vinto (proprio da Djokovic a Wimbledon), sfoderando con 80 turni di servizio tenuti su 82 la battuta dei giorni migliori («Ho sempre avuto un servizio decente, con varietà, che per me resta la caratteristica fondamentale») e una felicità di esserci davvero inedita. Che significa anche grandissima dedizione e risposta: contro Wawrinka ha ottenuto il 42% di punti contro la prima e il 50% sulla seconda dell’amico. Con la famosa SABR, la risposta anticipatissima che fa storcere il naso a Djokovic («Piace tanto a lui, non so quanto piaccia ai suoi avversari») e a coach Becker: «Non è una forma di disprezzo. Davvero John McEnroe ha detto che se lo facessero a lui gli suonerebbe come un insulto? Okay. Finché le regole me lo permettono cercherò di avvantaggiarmene». Benvenuti a Djokovic-Federer, puntata n. 42.

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