Elogio di Novak Djokovic, l'uomo che fece l'errore di essere troppo forte

Rubriche

Elogio di Novak Djokovic, l’uomo che fece l’errore di essere troppo forte

Novak Djokovic è ormai nell’Olimpo dei grandi del tennis. Ma non sembra riuscire ad entrare nella mente e nel cuore della stragrande degli appassionati di tennis. Un’ingiustizia?

Pubblicato

il

Novak Djokovic - US Open 2015 (foto di Art Seitz)
 

Qual è la maledizione che grava su Novak Djokovic, ormai avviato a diventare uno dei migliori tennisti dell’era open, giocatore gentile, sportivo, educato e sensibile ma che proprio non riesce a far breccia nel cuore degli appassionati di tennis? Non che il serbo non abbia i suoi tifosi; competenti, mai fanatici – come troppo spesso è capitato a quelli che hanno seguito i dioscuri del tennis dei primi 15 anni del millennio – questi hanno sempre dovuto leggere qualcosa del tipo “sì, è il più forte ma…” e vedere il loro beniamino costantemente disturbato, col tifo sempre contro, via via costretto ad abbandonare quell’ilare approccio alla partita per rinchiudersi in una concentrazione feroce. Ecco, feroce. Neanche stavolta si è riusciti ad evitare una connotazione in qualche modo negativa di un ragazzo che ha vinto il suo decimo slam, lo ha vinto senza mai fare una cosa fuori posto, una polemica, un gesto di stizza, eppure ha dovuto leggere sui vari giornali che “si va bene è il più forte ma l’altro gioca meglio a tennis”, “che non emoziona” che è “il cattivo dell’OK Corral” pronto a sconfiggere i buoni e a portare il terrore nella tranquilla cittadina del tennis.

Feroce. Come Lendl, dicono alcuni; ma del ceco Djokovic non ha certo la spigolosità, quel certo autocompiacimento nel non piacere proprio a nessuno, quella refrettarietà, in campo of course, al lato ludico del tennis. Ma niente, non basta. Il robot, la macchina che non sbaglia mai, l’algido serbo che dopo 4 ore di battaglia ha ancora la riga tra i capelli.

Questo si scrive di un giocatore che ha forse il miglior rovescio mai visto in un campo da tennis (ma stilisticamente vuoi mettere con quello di Wawrinka?), le capacità atletiche di un maratoneta capace di correre i cento metri (un difetto? ma non era uno sport il tennis?), la capacità di rendere al massimo nei momenti complicati del match (segno inequivocabile di classe, si diceva una volta).  Cioè, appunto, un fuoriclasse. Djokovic piace alla gente solo quando perde, come appunto nella migliore tradizione dei cattivi. A Djokovic si rimprovera di non aver voluto fare come Ramon (“al cuore Ramon,  se vuoi uccidere il tuo avversario devi mirare al cuore”) e di aver preferito mirare alla testa dove nessuna lastra di metallo poteva salvare i suoi dispersi rivali. Gli si rimprovera di voler sopravvivere, di più: di volere vincere. E non può essere un caso, non è un caso, che a Parigi sembrava aver ritrovato i favori di tutti quanti. A Parigi. Dove il cattivo ha trovato l’eroe inaspettato che ha fatto giustizia. E dove ci si è potuti rasserenare e applaudire, tanto aveva perso, la cittadella era stata assediata ma aveva resistito e tanto bastava.

Non si sa bene cosa augurare a Novak Djokovic, che a differenza dei tizi che l’hanno preceduto, di almeno uno dei due, sembra avere altre ambizioni oltre a quella di collezionare slam. E chissà che non sia proprio questo un altro dei problemi. Djokovic ha sempre detto di aver vissuto per diventare il più forte di tutti, ma chissà se è vero. Forse non ce lo godremo ancora a lungo questo Nole che sembra anche leggermente stufo di doversi scusare per aver battuto questo a Parigi e quello a Wimbledon. E forse allora riceverà gli applausi e provocherà nostalgia. E chissà, cederà il ruolo del cattivo a qualcun altro. Magari a Rublev.

 

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement