Le mille sconfitte di Rafael Nadal

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Le mille sconfitte di Rafael Nadal

Dopo la finale di Wimbledon del 2014 celebravamo le 1000 sconfitte di Roger Federer. È adesso il turno della sua nemesi, il suo doppio, forse il suo lato oscuro. È il turno delle mille sconfitte di Rafael Nadal

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“Fabio? Toni? Cosa…”
Una fitta alle costole. Un’altra alla testa. L’uomo si piega in due, si guarda. Prima i piedi, poi il petto, poi le mani. È in ginocchio. ‘Che succede? Sono bagnato, sporco di fango. Nudo.’
“Dove sono?” chiede a se stesso cercando di tirarsi in piedi. Troppa fatica, il corpo spossato cede sotto il suo stesso peso, rimettendo l’uomo in ginocchio.
Tutt’attorno l’ambiente è umido e male illuminato. Alcune torce alle pareti gli permettono di vedere che si trova in un tunnel sotterraneo. Una caverna che somiglia tanto ad una miniera.
“Io sono… Nadal. Io sono Rafael Nadal. Che cosa ci faccio qui?”
Ansimando Nadal cerca di farsi forza. Appoggiando una mano sulla parete alla sua sinistra cerca di issarsi sulle gambe. Pochi centimetri in su la parete cede sotto la pressione della mano, non è roccia ma un sottile strato di una sostanza viscida e plastica. Dietro di esso si apre un vano grande abbastanza per contenere una persona. ‘Devo essere scivolato al suolo da qui’ pensa Nadal arrancando in avanti un qualche metro.
“Ho fame.”
Alla fine Nadal si tira in piedi con enorme fatica. Il suo corpo è come se pesasse centinaia di chili. Una volta in piedi, sulle gambe tremanti, Nadal si guarda attorno. Il tunnel si estende in lieve pendenza per centinaia di metri in entrambe le direzioni, perdendosi poi nell’oscurità.
“Io sono Nadal” ripete muovendosi con passo pesante.
Decide di incamminarsi verso l’alto. ‘Se è davvero una miniera l’uscita deve essere verso l’alto.’ Un passo alla volta.
La galleria sembra continuare in eterno, sempre uguale, senza curve, con le torce unica indicazione dei chilometri percorsi. Dopo un po’ Nadal perde la cognizione del tempo. ‘Da quanto sto camminando? Ore? Giorni?’
“Ho sete.”
Si ferma un momento per prendere fiato.
“Heeeeey! C’è nessuno?” Grida con tutto il fiato che ha in gola.
Nessuna risposta.
Inutile farsi domande. Inutile disperarsi. L’unica cosa da fare è concentrarsi sui passi. Uno dopo l’altro. Lenti. Verso su. Nella speranza che prima o poi qualcosa cambi. ‘Vediamo chi si arrende prima, maledetta galleria. Tu o io!’
Il tempo passa. La testa gira e presto arriva il delirio.
Walking gets too boring. When you learn how to fly.’ una voce nella sua testa si mette a cantare. Nadal si avvicina alla parete dove scorre un rivolo d’acqua sporca.
‘People fear what they don’t know. I said ‘Hey you’. You’re no fool… Che sete…’
Beve. Acqua e fango. Poi si rimette in cammino.
‘Come along for the ride! Cause I’m a gypsy. Are you coming with me?’
‘I’m a gyp… quanto tempo è passato? Dove sono? Sto camminando in circolo? Non è possibile, sto andando sempre in salita. Ma forse… meglio esserne certi.’
Nadal raccoglie una roccia da terra e incide simboli e disegni sulle pareti della grotta. Una rudimentale figura umana con una racchetta in mano. Un campo da tennis stilizzato. Dei numeri: 6464676797. Poi sorride compiaciuto della propria opera e si rimette in cammino.
‘Non mi arrendo. Mi hai sentito grotta maledetta? Non mi arrendo.’
Col delirio arriva la febbre ma Rafa non si arrende. Arranca, cade, barcolla ma avanza. Passo dopo passo. Ora dopo ora. Giorno dopo…

‘Voci.’
Nadal si ferma, ogni muscolo teso ad ascoltare.
‘Stai diventando pazzo. No, ascolta, sono delle voci. C’è qualcuno quaggiù. Sono nella tua testa, idiota. Non c’è nessuno. Camminerai fino a morire. Da quanto tempo stai camminando? Zitto. Fammi sentire. Vengono da là.’
Nadal prova a correre, inciampa. Cade, si rialza, aumenta il ritmo della camminata fino a mettersi quasi a correre. Pochi secondi dopo, alla sua destra compare una nuova galleria. Una diramazione. E un vociare indistinto proviene da quella direzione.
Rafa cade in ginocchio.
Aiutooooo! Se c’è qualcuno laggiù. Aiutatemi. Aiutatemi. Vi prego. Non sono pazzo.’
La galleria rotea, mentre un senso di vertigine e vomito si impadronisce della sua testa. Rafa perde i sensi. Quando li riacquista, pochi minuti dopo, si trova sulle spalle di un altro essere umano. Qualcuno lo ha sentito e lo ha salvato. L’uomo sta avanzando nella galleria portandolo nella direzione da cui provengono le voci. Nadal piange.
‘Ho vinto, montagna maledetta. Ho vinto io!’ pensa, chiudendo gli occhi.
‘Ora uccidetemi pure.’

Al risveglio Nadal si trova nuovamente solo, è coperto da alcuni stracci umidi e consunti. Al suo fianco brucia un fuoco da campo. Si trova al centro di in una vasta caverna a forma di cupola. Il soffitto sarà alto più di venti metri ed il diametro della caverna è di almeno cinquanta metri. A parte il suo falò ci sono solo pochi altri piccoli fuochi vicino alle pareti. Alcune figure si trovano accanto ad essi, proiettando immense ombre alle loro spalle. C’è qualcosa di familiare nel modo in cui si muovono.
Rafa si alza, si sente riposato e le forze sembrano essergli tornate. Lentamente, guardandosi attorno con attenzione, si avvicina ad un paio di uomini che stanno camminando verso una galleria. Sei gallerie si dipartono dalla grande sala circolare, grosso modo equidistanti. Quella verso cui si stanno dirigendo i due uomini è in ripida discesa.
“Scusatemi!”
I due si voltano.
“Hey Rafa!” rispondono simultaneamente.
Nadal resta sconvolto alla vista del volto dei due uomini. Entrambi gli somigliano in tutto e per tutto. Due sosia assolutamente perfetti.
“Cosa… cosa…”
“Ah, tu devi essere quello nuovo.” I due si guardano con un sorriso compiaciuto. “Non ti preoccupare, ti abituerai presto.”
“Che cosa significa tutto questo?”
“E che ne possiamo sapere noi? Noi siam qui per scavare, non per farci domande.”
“Scavare? Che…”
“Senti, dobbiamo andare adesso, vai a chiedere a Rafa, laggiù.” I due indicano un altro uomo, anch’egli identico a Nadal, che si sta sedendo vicino al fuoco dove lui stesso si trovava pochi secondi prima.
Come Rafa si volta nuovamente i due interlocutori se ne sono andati.
“Che cosa significa tutto questo?”
Nadal ripete la domanda al suo sosia accanto al fuoco.
“Siediti, bevi. So che hai molta sete.” L’uomo gli porge una rudimentale ciotola di roccia piena d’acqua.
Con un sospiro Nadal si siede accanto al fuoco, prende la ciotola e beve. “Io sono Rafael Nadal, sono…”
“Lo so chi sei,” lo interrompe il sosia “siamo tutti Nadal. Qui siamo tutti Rafael Nadal. Non c’è nessun altro. Solo Nadal. Decine e decine di Rafa Nadal. Chi ti ha sconfitto?”
“Eh?”
“L’ultima cosa che ricordi è di aver perso un incontro di tennis. Chi ti ha sconfitto? Dimmelo, perchè il ricordo svanirà in qualche tempo.”
“Fognini, all’Open degli Stati Uniti. In cinque set. Rimontandomi da due set a zero.”
L’altro Nadal si avvicina al fuoco e con l’aiuto degli stracci umidi prende un pezzo di metallo appuntito che stava bruciando tra le fiamme.
“Te lo vuoi ricordare?”
“È stata una sconfitta dura. Credevo di esser pronto. Non avrei dovuto farlo tornare. Sì, non voglio dimenticarla.”
“Allora avvicinati, dammi il braccio.”
“Stai scherzando.”
“No. Non c’è altro modo.”
Nadal riluttante allunga il braccio.
“Qual’è stato il punteggio?”

Dopo qualche minuto Nadal si guarda il braccio. Un rudimentale tatuaggio riporta ‘Fognini 3646646364’.
“A te chi ti ha battuto?” chiede.
“Non me lo ricordo. Ricordo frammenti di partite, avversari e punteggi ma non ricordo l’ultima. Dove fossi e con chi giocassi. È passato parecchio tempo.”
“Da quanto tempo sei qui?”
“Impossibile a dirsi. Nella caverna non c’è modo di tenere traccia del passare dei giorni. A me sembra di essere qui da secoli ma chissà, magari sono solo settimane ed io sono diventato pazzo. Certo che le gallerie sono parecchio lunghe, impossibile che le abbiamo scavate in poche settimane.”
“Vuoi dire che le gallerie le avete scavate voi?”
“Esattamente. Da questa sala partono sei gallerie. In ogni galleria ci sono svariati vani alle pareti. Ogni tanto un nuovo Nadal appare in uno di quei vani. È un evento raro e non sappiamo dove comparirà il prossimo ma continuiamo a scavare. Ci sono altre sale come questa. Ne abbiamo trovate una mezza dozzina finora. In ognuna o quasi di esse c’erano altri Nadal che scavavano gallerie esattamente come noi. Non sappiamo quante sale ci siano e quante copie di noi ci siano. Potrebbero essere infinite. La mia idea è che ogni galleria si colleghi con una sala esagonale come questa. Alcune sono più in alto, altre più in basso. Se esiste una sala in cima, allora ce ne devono essere sei al livello sottostante, diciotto al terzo livello e così via.”
“Diciotto?”
“Lascia perdere i conti, te lo spiego dopo. Ad ogni modo cerchiamo di scavare verso l’alto per quanto possibile. Finora abbiamo trovato sale in due livelli sopra di questa, e tutte hanno gallerie in salita. La sala al primo livello, se esiste, deve avere solo gallerie in discesa. In quasi ogni sala troviamo altri Rafa. Gli altri Nadal nelle altre sale che non abbiamo ancora raggiunto stanno scavando in questo momento per collegare le loro gallerie con le nostre.”
“Sconvolgente! Come è possibile?”
“Inutile pensarci troppo. Questa è la realtà. Non domandarti perché. Scava.”
“Come fate a sopravvivere?”
“Ogni tanto troviamo qualche straccio, nella montagna, seppellito in mezzo alla roccia. A volte un pezzo di legno o un pezzo di metallo, probabilmente lavorato, come quello con cui ti ho fatto il tatuaggio. Una volta abbiamo trovato una ruota dentata grande almeno un metro. Le uniche altre cose che si trovano nelle gallerie sono petrolio per le torce e acqua per sopravvivere. Non c’è altro cibo, ma l’acqua che sgocciola dalle pareti ha tutto quello che ti serve. La chiamiamo ‘acqua di vita’.”
“Originale.”
“Se hai un nome migliore fatti pure avanti. Per ora è acqua di vita, perché è lei che ti tiene in vita. Non avrai mai fame e non ti mancheranno mai le forze. E non invecchierai mai, credo.”
“Cosa?”
“Non ho notato nessun segno di invecchiamento in nessuno dei Nadal che ho incontrato. Siamo tutti tra i venti e i trent’anni, con folta chioma, senza barba, in perfetta forma. Tra poco ti sarai completamente rimesso dalla tua seconda nascita ed il tuo corpo funzionerà perfettamente, forse per sempre, fintanto che berrai l’acqua della caverna.”
“Per scavare.”
“Per scavare. Non c’è altro da fare qui. Puoi passare il tempo dipingendo sulle pareti, come vedi in molti lo hanno già fatto.” In giro per la grotta ci sono pitture rupestri rappresentanti partite di tennis, racchette, persone stilizzate. “Ma dopo un po’ ci si stufa. E scavare è l’unica cosa che abbia senso. Questa montagna non può andare avanti in eterno, prima o poi raggiungeremo la superficie. Tu sei noi, sai bene che non ci arrendiamo facilmente.”
Una coppia di Nadal passa di fianco a loro salutando con un cordiale ‘Hey Rafa!’ Sono assolutamente identici.
“Come fate a riconoscervi. A distinguere uno dall’altro.”
“Non ci distinguiamo. Che importanza ha? Alcuni hanno un tatuaggio come te, ma alla lunga non fa nessuna differenza. I tuoi ricordi si mescolano con quelli di tutti gli altri e siamo tutti quasi la stessa persona. Eravamo un tennista. Qualcuno ha giocato qualche partita in più, altri qualche partita in meno, ma poco cambia. Ora siamo qui a scavare. Scavare, sconfiggere la montagna è l’unica cosa che ci definisce. Aspetta qualche tempo e capirai.”

Il tempo passa. Nadal scava, insieme a tutti gli altri Nadal. Inesorabile, senza domandarsi da quanto tempo lo stia facendo. Senza più sapere chi fosse prima della rinascita. Senza sapere chi sia adesso. Senza sapere perché. Quando non si invecchia in un luogo che non cambia il tempo perde di significato. Le gallerie si moltiplicano. Il numero dei Nadal aumenta, seppure lentamente. La vetta si avvicina ma non c’è modo di sapere a che distanza sia. C’è una certa regolarità nella configurazione e distribuzione delle sale ma Rafa non riesce ad intuirne la struttura.
“Aspetta un momento.” Nadal si riscuote dopo aver passato chissà quanto tempo a pensare, disegnando esagoni per terra con un bastoncino metallico.
“Cosa?” Un altro Nadal gli risponde distrattamente.
“Ci deve essere un modo per sapere a che livello siamo. È come un alveare su diversi piani. C’è uno schema. Ci deve essere un modo per capirlo.”
“Quanti Roland Garros pensi che avremmo vinto se fossimo stati dei geni in geometria?”
“Matematica.”
“È lo stesso.”
“Eppure…”
“Tu disegna pure i tuoi esagoni. Io non ho fretta. Ho tutta l’eternità per arrivare in superficie. Non mi serve la matematica, mi basta la tenacia.”
“Sì ma se capissimo esattamente come è fatto questo posto potremmo scavare solo dove serve…”
“Io vado a scavare. Ci si vede geometra.”

La svolta alla fine arriva. Dopo aver scavato gallerie su gallerie e aperto quasi cento sale. Il primo Nadal ad entrare nella sala appena scoperta capisce subito che c’è qualcosa di diverso. La sala è vuota. Nessun Nadal ad aspettarli. Nessun Nadal a scavare gallerie verso di loro. Nessun’altra galleria. Al centro della sala c’è una pozza di acqua di vita. L’acqua gocciola regolare da una crepa alla sommità della caverna. Ma la cosa più stupefacente è una sottile lama di luce che filtra dalla crepa. Nadal incredulo osserva la luce senza sapere cosa dire, senza riuscire a muoversi.
Presto un piccolo contingente di Rafa si raduna nella caverna. Bisogna organizzarsi, decidere che fare. Alcuni sono mandati giù a radunare gli altri. “Marcate la galleria da cui provenite in ogni sala, dobbiamo esser certi che tutti siano in grado di arrivare qui senza perdersi. Lasciate scritte sui muri, nel caso qualcuno rimanga indietro.”
Altri rimangono nella sala a preparare un piano per uscire dalla montagna.
“Terra. Ci serve la terra scavata dalle gallerie per costruire una montagnola che ci permetta di raggiungere la crepa sul soffitto.” Alcuni Nadal si incaricano di portare terra nella sala. Quando una piccola montagnetta è già formata la luce che entra dalla crepa si affievolisce e dopo un poco sparisce del tutto.
“Notte. Finalmente abbiamo un modo per misurare il passare del tempo. O almeno il passare dei giorni che qui non è detto abbiano ventiquattro ore.”
Dopo qualche giorno la montagnola è alta abbastanza e stabile abbastanza perché alcuni Rafa raggiungano la crepa.
“Si vede il cielo. Azzurro. Aria calda entra dalla fessura.”
Armati di pietre, bastoni e utensili di metallo vari Rafa si danno il cambio a rompere la roccia attorno alla fessura. Ormai sono tutti nella sala, che ora viene chiamata ‘campo centrale’. Ci saranno almeno duecento Nadal sul campo centrale ed il lavoro procede giorno e notte, senza sosta.
Ci vogliono tre giorni per allargare la fessura abbastanza per far passare una persona, ma nessuno esce. Nessuno vuole essere il primo, in una comunità dove sono tutti uguali. Dall’apertura si vede il cielo. Nuvole di giorno. Stelle di notte. Niente uccelli. Niente luna.
Dopo altri due giorni l’apertura è larga abbastanza per far passare due o tre persone per volta. È ora di uscire. A due a due i Nadal si issano all’esterno. Nessuno dice niente. Come formiche organizzate alla perfezione, una processione ordinata di cloni che scaturisce dal ventre della montagna.
Sono sul fianco della montagna, a poche centinaia di metri dalla vetta. La montagna si erge solitaria al centro di un deserto roccioso. Il sole arroventa le pietre e brucia la sabbia al suolo. Duecento Nadal si guardano attorno nella luce abbacinante ma tutto ciò che riescono a vedere, fino all’orizzonte è deserto.
“Raggiungiamo la vetta. Almeno avremo la vista in ogni direzione.” Arrampicandosi sul fianco della montagna duecento Nadal si spingono fin sulla cima. La montagna è un vulcano spento ed al centro della caldara si trova un lago. “Acqua di vita. Filtra dalla cima del vulcano.”
“Se ce ne vogliamo andare dobbiamo trovare un modo di portarla con noi.”
“Non possiamo restare qui.”
“Abbiamo scavato abbastanza. È ora di scoprire dove siamo.”
“Guardate! Là in fondo, verso l’orizzonte.”
“Una catena montuosa.”
“Vette innevate.”
“Pendii verdi.”
“Vegetazione!”
“C’è vita laggiù.”
Tutti i Nadal si radunano a vedere le foreste che si perdono nella foschia, lontane chissà quanto. Parlano, commentano, indicano ed una nuova energia comincia a scorrere nei loro muscoli. Speranza. Un obiettivo. Un nuovo obiettivo, concreto, raggiungibile.
“Siamo rimasti sottoterra troppo a lungo. Siamo stati soggiogati, soffocati, immobilizzati. Ma non ci siamo mai arresi. La vera sfida è adesso davanti a noi. Non solo scavare. Non solo sopravvivere. Ma vivere, combattere e vincere. E vinceremo perché noi siamo… io sono…”
Duecento voci si alzano in coro urlando con tutta la rabbia di secoli passati a scavare sottoterra. Rabbia verso un nemico sconosciuto. Voci possenti che gridano vendetta. Che lanciano una sfida.
“Vinceremo perchè IO SONO NADAL!”

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