Qualunque appassionato di tennis sa benissimo che nel nostro sport la proprietà transitiva non esiste: se il giocatore F batte il giocatore D, e il giocatore D batte il giocatore N, non è detto che automaticamente F batta anche N, anzi può tranquillamente avvenire il contrario, chiudendo così il cerchio (iniziali “quasi” casuali, ispirate a ciò che avveniva spesso anni fa, prima che il giocatore D cominciasse a fregarsene e a battere tutti indistintamente). Si può però analizzare, con una buona approssimazione, il modo in cui due tennisti diversi affrontano una situazione tecnica identica, per esempio un singolo e significativo colpo proposto da uno stesso avversario.
Al netto di tutti i fattori quali la forma del momento, la tranquillità emotiva, la pressione, le aspettative e la lucidità tattica e agonistica, volendo identificare in modo specifico una chiave tecnica che spieghi e rappresenti quello che è avvenuto tra le semifinali e la finale femminile degli scorsi US Open, possiamo senz’altro andare a osservare il modo differente in cui Flavia Pennetta e Serena Williams hanno affrontato la medesima avversaria, Roberta Vinci, o meglio un singolo colpo di Roberta, con risultati opposti. Perchè lo slice basso diagonale della Vinci ha provocato innumerevoli errori di rovescio della Williams, ed è invece stato tranquillamente ed efficacemente neutralizzato in finale dalla Pennetta?
La principale differenza tra il rovescio di Flavia e quello di Serena, impugnature a parte (mano destra-sinistra, una classica combinazione continental-eastern per l’azzurra, una quasi eastern-eastern tendente alla semiwestern, con flessione dei polsi più estrema per Serena), è il movimento di preparazione: ampia ovalizzazione con la testa della racchetta che arriva a essere verticale per Pennetta, backswing in linea, con flessione strappata e rapidissima in giù dei polsi per Williams. Sono esecuzioni entrambe molto efficaci, ma con uno sviluppo dinamico assai diverso. La preparazione in linea è più rapida e contenuta, ma richiede maggiore energia nel momento in cui si fa partire lo swing verso la palla, a causa del momento di “surplace”, con la racchetta ferma indietro, alla fine della preparazione stessa. L’ovalizzazione è un movimento più ampio, che quindi richiede maggiore anticipo e timing, ma la testa della racchetta scorre senza fermarsi mai, e si può così ottenere velocità dell’attrezzo più facilmente, ma si ha anche (ed eccoci al caso preso in esame) maggior semplicità e fluidità nell’andare sotto alle palle basse, perché la necessaria caduta della testa della racchetta è aiutata dalla forza di gravità, visto che la si fa partire da più in alto.
La semifinale tra Roberta Vinci e Serena Williams, dal punto di vista strettamente tecnico, è stata decisa in gran parte dalle difficoltà dell’americana nel tirare su e spingere gli innumerevoli slice bassi diagonali che le proponeva l’italiana: moltissimi gli errori gratuiti con il rovescio per Serena, letteralmente mandata “fuori palla” e fuori ritmo. Chiaro che per battere una campionessa simile non è sufficiente tagliarle la palla a sinistra, ma se la campionessa in questione è già irrigidita e poco sciolta di suo a causa della tensione nervosa, ecco che una difficoltà esecutiva di questo tipo può fare la differenza, perchè basta un minimo di “legnosità” nell’azione delle gambe e nella spinta delle braccia per far perdere il controllo del colpo, e così è avvenuto.
Anche in finale, il giorno dopo, Roberta ha affettato lo slice come un salumiere, nel tentativo di rallentare lo scambio per poi aprirsi spazi dove affondare con il dritto oppure andare a rete, ma dall’altra parte le sono tornate botte pulite, veloci e precisissime in serie, prodotte dallo splendido rovescio basso di Flavia, che ha regalato un’autentica esibizione tecnica, realizzando vincenti sia incrociati che lungolinea con sicurezza e continuità incredibili. Più rasoterra era la palla, meglio Flavia andava giù con le ginocchia, mulinando la testa della racchetta in decontrazione assoluta, uno spettacolo da vedere: enormemente facilitata, in questo, proprio dalla tecnica esecutiva con ovalizzazione, che le permetteva di “scavare” su dal campo i colpi dall’altezza delle caviglie senza perdere velocità nello swing, e quindi controllo della traiettoria.
Ribadisco che la preparazione con ovalizzazione (loop backswing) non è migliore di quella in linea (straight backswing), nemmeno nel caso specifico del dover tirare su palle molto basse e sfuggenti, ma è semplicemente più aiutata dall’inerzia e dalla gravità: la maggior forza e reattività muscolare applicate da chi va a colpire preparando in linea consente invece più facilità di anticipo, il che non è poco. Ma nel momento in cui proprio i muscoli sono contratti, magari per la tensione, ecco che il colpo portato “alla Williams” può succedere che diventi scattoso, poco fluido, e di conseguenza perda affidabilità. E alla fine, pur nel contesto di circostanze e situazioni emotive e ambientali particolarissime, può essere quello che ti fa sfuggire di mano addirittura un Grande Slam.
Gli (s)punti tecnici precedenti: