(S)punti tecnici della settimana: gli aspetti meno grandi nel tennis dei grandissimi

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(S)punti tecnici della settimana: gli aspetti meno grandi nel tennis dei grandissimi

Dopo anni passati ad analizzare, e ammirare, la tecnica dei campioni… quali erano, e sono, le cose che i n. 1 del tennis, Roger Federer, Novak Djokovic, Pete Sampras, Rafa Nadal, Andy Roddick fanno (han fatto) meno bene?

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A partire dal 23 agosto 1973, l’ATP ha inaugurato il ranking ufficiale gestito e compilato dal computer. Da quella data in poi, 25 tennisti sono stati classificati al numero uno, ed è ovvio che sono stati tutti – chi più, chi meno, chi per molto, chi per poco – dei campioni del nostro sport. Fatta questa doverosa premessa (ribadisco che si sta parlando di indiscutibili fenomeni, quindi con un metro di valutazione tarato verso il massimo possibile delle aspettative), dal punto di vista strettamente tecnico non si può dire che siano tutti stati tecnicamente esemplari e completi in ogni fase di gioco. Come vedremo, si può notare una interessante correlazione tra questi aspetti e gli anni di riferimento, così come la durata più o meno lunga della permanenza al vertice.

Andando in ordine cronologico, dal 1973 al 1983 abbiamo il primo gruppo di “number ones” costituito da Ilie Nastase, John Newcombe, Jimmy Connors, Bjorn Borg e John McEnroe. Nel 1983 arriva in cima Ivan Lendl, che con McEnroe si alternerà al top del ranking fino al 1988. In quell’anno, con l’impresa dei tre quarti di Slam, conquista la vetta Mats Wilander, seguito da Stefan Edberg (1990), Boris Becker (1991) e Jim Courier (1992). Segue poi l’era di Pete Sampras (1993) e Andre Agassi (1995), con le incursioni di Thomas Muster (1996) e Marcelo Rios (1998). Il millennio si chiude con Carlos Moya, Yevgeny Kafelnikov e Patrick Rafter (tutti 1999), quello nuovo si apre con Marat Safin, Gustavo Kuerten (2000 entrambi) e Lleyton Hewitt (2001). Nel 2003 vanno sul gradino più alto Juan Carlos Ferrero e Andy Roddick, dopodichè dal 2004 ad oggi abbiamo avuto tanto (ma tanto) Roger Federer, e parecchio Rafael Nadal (2008) e Novak Djokovic (2011).

A mio avviso, la prima cosa che salta all’occhio è che dall’inizio fino al 1990 tutti i numeri uno del mondo sono stati, anche se in modi certamente differenti, dei giocatori tecnicamente completi sotto ogni punto di vista. Le tattiche e le strategie di gioco erano chiaramente diversissime tra loro, ma si trattava di tennisti a tutto campo, chi da subito (Nastase, Newcombe, McEnroe, che sapevano fare tutto e bene), chi dopo un completamento del bagaglio più tattico che tecnico (Connors, Borg, Lendl e Wilander che si sono evoluti in ottimi attaccanti quando necessario, principalmente sui campi rapidi). Erano anni in cui non ci si poteva nascondere dietro la specializzazione tecnica estrema, se eri il migliore voleva dire che a tennis facevi qualunque cosa in modo almeno ottimo, se non fenomenale, e che non c’era zona di campo in cui ti trovassi a disagio o fuori posizione.

 

Gli anni ’90 sono stati l’inizio del tennis davvero specializzato. Sono arrivati i grandi servizi sopra i 200 all’ora come norma e non più come eccezione, il gioco a rete e il serve&volley hanno dominato la scena, e non a caso si può identificare in Stefan Edberg il primo giocatore arrivato al numero uno con uno specifico aspetto tecnico non all’altezza sublime del resto del suo gioco: il dritto. Presa eastern, braccio rigido, troppo ingresso di spalla, e postura eccessivamente frontale per quel tipo di impugnatura ne fanno a mio avviso, storicamente, il primo caso di “gap” evidente in un campionissimo (altrimenti favoloso tecnicamente) che sia arrivato fino alla vetta del tennis.

Boris Becker era molto più completo, nulla da dire sull’esecuzione dei colpi, ma soffriva di una mobilità non eccezionale da fondocampo (“Bum Bum” era davvero pesante, il primo esempio di bombardiere moderno), che comunque sulle superfici veloci/velocissime dell’epoca non lo penalizzava più di tanto. A rete, nonostante la mole, Boris era agile come un portiere di pallamano – celebri le sue spettacolari volée in tuffo – e anche la risposta era di altissimo livello. Sulla terra battuta, purtroppo, era tutta un’altra storia (nessun titolo conquistato in carriera), in parte anche a causa della cocciutaggine tattica che lo spingeva a voler vincere remando da dietro.

Jim Courier, primo grande prodotto della scuola di Nick Bollettieri, è forse stato il numero uno meno completo: ha modellizzato e reso perfetta, nonché letale per gli avversari, l’arma “inventata” da Nick, il dritto anomalo tirato da ogni zona del campo, e ha mascherato così un rovescio veramente impacciato e poco fluido, simile a un colpo di baseball, e un gioco di volo semplicemente inesistente. Ma è comunque bastato, insieme a un fisico di roccia e grandissime gambe, concentrazione e killer instinct, per stare 58 settimane totali sopra a tutti in classifica, più di un anno, e a fare addirittura finale a Wimbledon su un’erba che all’epoca era ancora super-rapida (anche se molto consumata in quel 1993).

Su Pete Sampras e Andre Agassi c’è poco da eccepire, certo il rovescio di “Pistol Pete” non era memorabile ma “faceva il suo”, e il resto del suo tennis era strepitoso, servizio e dritto leggendari, un gatto al volo, lo smash più clamoroso e potente di sempre (le famose “slam dunk”, schiacciate tipo basket NBA in elevazione frontale a piedi pari). Il “Kid di Las Vegas”, invece, a rete non ci andava volentieri ma era talmente rapido ed esplosivo negli anticipi e in risposta (aggrediva in avanzamento, sull’erba ultraveloce anni ’90, i servizi di gente come Ivanisevic e lo stesso Sampras, facendo i vincenti d’incontro a tutto braccio, una fotocellula umana, riflessi mai visti), nei passanti, nel ritmo e nella pressione, da rendere la cosa ininfluente. Però, un po’ come Borg, Lendl e Wilander, pur utilizzandola poco, la tecnica (e soprattutto i tempi di posizionamento) nei pressi del net Agassi la padroneggiava perfettamente, ed era difficilissimo passarlo anche perchè seguiva spesso attacchi fulminanti con i suoi fantastici fondamentali, dritto o rovescio erano ugualmente efficaci, per poi coprire gli angoli con gran senso geometrico.

Thomas Muster, senza dubbio il “guerriero da terra battuta” più notevole di sempre prima dell’arrivo di Rafael Nadal (insieme a Vilas, ma Guillermo aveva classe pura da vendere, oltre alle gambe, Thomas era più “legnoso”, ma era anche una belva indimenticabile a livello di determinazione e capacità di soffrire) tecnicamente accusava la stessa desuetudine alle volée di Courier, e il suo rovescio a una mano appena sufficiente (non male come esecuzione, ma poco penetrante e continuo) veniva compensato dal grandissimo dritto con rotazione mancina, insieme alla già accennata tremenda cattiveria agonistica. Sull’erba, anche negli anni migliori, poche soddisfazioni per Thomas.

Marcelo Rios era un talento manuale sopraffino, pure lui mancino, e a parte un caratterino che definire difficile e lunatico è poco, nei fondamentali da dietro e nei tocchi di classe non era secondo a nessuno. Avrebbe senz’altro potuto ambire a risutati migliori, però, se negli anni delle “macchine da ace” con cui si confrontava, avesse avuto un servizio più incisivo e potente: le curve mancine danno sempre fastidio, ma devi avere anche la “botta” a certi livelli. Solo un mese, aprile 1998, in vetta alla classifica per lui.

Gli ultimi tre “top del ranking” degli anni ’90 sono stati Carlos Moya, Yevgeny Kafelnikov e Patrick Rafter. Tecnicamente ottimi Carlos e Yevgeny (meglio il dritto del rovescio per Moya, il contrario per Kafelnikov, a rete facevano correttamente il “compitino” quando dovevano, meglio il russo anche buonissimo doppista) pur se decisamente specializzati nella manovra da fondocampo. All’opposto, l’immensa classe di Patrick si esprimeva quasi esclusivamente all’attacco, forse è stato il volleatore più perfetto di sempre, ma la tecnica dei suoi fondamentali da dietro era comunque di altissima qualità.

Marat Safin è stato il primo “talento totale” del tennis moderno, gran fisico, servizio, dritto e rovescio pazzeschi, manualità favolosa su qualsiasi palla, non troppo a suo agio sull’erba per via degli appoggi (e della fatica del dover stare sempre bassissimo, era un “pigrone” il mitico Marat) ma devastante sul veloce e sul duro, l’unico suo limite – se si può definire tale trattando di tecnica – era proprio la poca voglia di lavorare e allenarsi, e la troppa voglia di godersi la vita. 9 settimane al vertice sono veramente poche, stiamo parlando di uno che riusciva a “nasconderla” al Federer 2005 e in campo non aveva paura di nulla e nessuno, ma probabilmente si è divertito più lui di tutti gli altri citati in questo pezzo messi insieme.

Gustavo Kuerten, con Stan Wawrinka il più potente e carico rovescio a una mano della storia (letteralmente capace di tirare giù topponi da oltre l’altezza delle spalle, come fossero smash al contrario), era anche lui un talento totale, servizio e dritto perfetti anch’essi, ma le aperture molto ampie e i gesti relativamente meno rapidi in preparazione ne hanno limitato i risultati fuori dalla terra battuta, a parte un gran Masters vinto nel 2000. Completo tecnicamente era anche Lleyton Hewitt, altro fenomenale agonista (“Satanetto”, lo chiamava Gianni Clerici, vedendolo recuperare anche palle impossibili, e non sbagliare mai. Bestia nera di Sampras sul finire della carriera di Pete, lo seppelliva di passanti ogni volta). L’australiano era (è) senza pecche in nessuna esecuzione, ma è stato anche limitato nell’esplosività e nel servizio da un fisico “normale”, all’alba dell’epoca dei super-atleti, potentissimi e contemporaneamente ultra-rapidi negli spostamenti.

Juan Carlos Ferrero era della stessa “razza” di Moya e Kuerten, fondocampista perfetto nella tecnica, bravo a rete ma solo se andarci era assolutamente necessario, molto adattabile a tutte le superfici meno quelle davvero veloci. Bella “testa da tennis” Juan Carlos, intelligenza tattica sopraffina, duttilità e strategia, la distribuzione dei suoi risultati migliori è chiara in questo senso: vittoria al Roland Garros, finale allo US Open, semifinale agli Australian Open, quarti a Wimbledon (due volte).

Andy Roddick ha portato all’estremo, e alle vette di rendimento più clamorose, la tecnica del servizio moderno, con caricamento frontale (come faceva già Rafter, che però piazzava per seguire a rete più che sparare alla ricerca dell’ace), e ingresso anticipato della racchetta su lancio di palla meno alto. Su tale devastante battuta, prime e seconde palle al fulmicotone sempre e comunque, e su un gran dritto semiwestern (tendente al western), Andy ha costruito i suoi successi, a rete era buonissimo, ma il rovescio piuttosto simile in negativo a quello di Courier (rigido, scarsa rotazione delle spalle, poca fluidità nell’accompagnamento) è sempre stato un punto debole evidente, soprattutto per i suoi avversari, che potevano in ogni caso piazzare lì i colpi rifugiandosi alla sua sinistra per sfuggire al bombardamento.

Ed eccoci ai giorni nostri, iniziati il 2 febbraio 2004 con l’insediamento al vertice della classifica di Roger Federer. Non serve ribadire la completezza e la perfezione tecnica di Roger, basti dire che se per esempio uno come Courier avesse avuto il colpo “peggiore” – non le metto, ma immaginate che le virgolette siano decine – dello svizzero, cioè il rovescio (che tecnicamente è ineccepibile, ed è lo slice migliore di sempre, ma è più attaccabile rispetto al super-dritto, in particolare dai grandi top-spinners), per Sampras e Agassi in quegli anni sarebbe stata veramente, ma veramente dura.

Rafael Nadal è stato un numero uno super-specializzato dal punto di vista tecnico, costruito su quello che dati alla mano (velocità e top-spin) è il dritto più efficace mai visto, così specializzato da far spesso dimenticare che in termini di talento manuale Rafa ha poco da invidiare a chiunque. Rovescio portato da destra-dominante buonissimo, gran tocco a rete (pochi fronzoli, pochi “numeri” e magie, ma sempre e comunque la volée giusta piazzata perfettamente, e posizionamento esemplare). L’unica esecuzione tecnicamente non oltre la sufficienza è il servizio, un po’ come Rios le curve mancine hanno mascherato un’esplosività non ai massimi livelli, ma le percentuali e le scelte di traiettoria sono sempre state ottime: magari Rafa non ti fa tanti punti diretti alla battuta, ma attaccarlo sul suo servizio è difficilissimo.

Novak Djokovic, infine, sta meritatamente dominando il tennis attuale, e ha raggiunto quella che non ho esitazioni a definire la perfezione nell’interpretare il gioco moderno. Non a caso, anche a livello di progressione didattica dell’insegnamento, il modello di alta prestazione sono il dritto e il rovescio di Nole, in termini biomeccanici, di spinta, di equilibrio e gestione del peso siamo di fronte a un manuale dei fondamentali ambulante. Il servizio negli anni è diventato un’arma estremanente affidabile e duttile, e il tocco di palla, specialmente gli ottimi drop-shot e i pallonetti liftati (roba che se non hai una gran mano non ti sogni nemmeno di provarla), è adeguato al livello di cui stiamo parlando, ovvero il massimo assoluto. Il problema, e a mio avviso è un problema non da poco, è il gioco di volo, soprattutto le palle sopra la testa.

Djokovic con lo smash ha delle difficoltà evidenti, che partono dall’errato posizionamento dei piedi (gli succede spesso di trovarsi troppo sotto la palla, e troppo frontale), che causa quello che in gergo da campo si definisce smash “di panza”, per l’appunto eseguito senza sufficiente rotazione del busto-spalle, e con l’asse di equilibrio troppo all’indietro. Personalmente trovo questo degli smash di Nole è uno dei grandi misteri del tennis moderno, perchè è difficilmente comprensibile come un campionissimo del genere possa portarsi dietro una lacuna tanto specifica, nell’insieme di un bagaglio tecnico altrimenti fantastico. Purtroppo per lui, questa insicurezza nell’approcciare le palle alte al volo (o scarsa “convinzione”, dà sempre l’impressione di andare sullo smash per non sbagliarlo, mentre andrebbe tirato a chiudere in ogni caso, a questi livelli non puoi permetterti di appoggiare la palla di là), va a influenzare negativamente e a rendere incerto anche il resto del gioco a rete, e la cosa gli è già costata carissima.

L’ormai famigerata volée alta in semifinale al Roland Garros contro Nadal, che Nole ha approcciato goffamente proprio in ricerca di una posizione corretta dei piedi, senza il minimo automatismo degli appoggi, per poi inciampare e finire nella rete (ma anche diversi smash non chiusi, almeno tre nelle fasi finali e decisive di quella partita), oppure il bruttissimo errore sul match-point contro Wawrinka in Australia, peso da una parte e palla dall’altra in conseguenza di un serve&volley senza senso, sono stati episodi che hanno condizionato pesantemente i risultati di Djokovic, che avrebbe potuto tranquillamente vincere quei due tornei (trovo difficile immaginare Ferrer che batte Djokovic in finale a Parigi 2013, o Nadal acciaccatissimo – o Berdych – che lo superano a Melbourne 2014). L’ultimo esempio contro Simone Bolelli a Pechino, in un match altrimenti perfetto e dominato dall’inizio alla fine: secondo set, 1-0 Bolelli, 15-15, due smash deboli e mal piazzati, sul secondo arriva giustamente la pallata nei piedi da parte di Simone. Davvero, davvero strano che uno come Becker, che con la palla sopra la testa faceva quello che voleva, non sia ancora riuscito a sistemare questo ultimo tassello tecnico che farebbe di Nole un campione senza difetti. E già è praticamente imbattibile così, figuriamoci.

In conclusione, anche per ricordarci doverosamente che stiamo analizzando i migliori della storia nel nostro sport, proviamo a fare l’inverso del comune giochino di fanta-tecnica in cui si prendono i colpi migliori di tutti i tennisti del passato e del presente per costruire l’immaginario campione perfetto, e mettiamo invece insieme le esecuzioni meno buone. Un giocatore con il servizio di Rios, il dritto di Edberg, il rovescio di Courier, la mobilità da fondo di Becker, le volée di Muster, lo smash di Djokovic, e la voglia di allenarsi di Safin… beh, credo starebbe nei primi 50 al mondo lo stesso. Tanto per ribadire quanto tutto sia relativo, e quanto forti siano certi campioni in ogni caso. Per chi volesse divertirsi a mettere insieme, come detto, le esecuzioni migliori dei 25 numeri uno di cui abbiamo parlato, passo la parola ai lettori, ma non ho dubbi che potrebbe venirne fuori qualcosa di pazzesco.

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Alta intensità a Indian Wells: Berrettini e Tsitsipas a tutto braccio [VIDEO]

Due ore di pallate tra Matteo e Stefanos, spettacolo di potenza sul campo di allenamento

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Matteo Berrettini e Stefanos Tsitsipas, Indian Wells 2022 (foto Ubitennis)

da Indian Wells, il nostro inviato

Poche parole, tante immagini: il modo migliore di apprezzare il tennis, visto da vicinissimo, di due top-player. Nel primo pomeriggio californiano, Matteo Berrettini e Stefanos Tsitsipas sono andati in campo sul “practice court 1” di Indian Wells, e hanno fatto divertire gli spettatori assiepati sulle tribune.
Vi documentiamo l’allenamento dei ragazzi con una serie di video esclusivi, da pochi metri: andiamo a goderceli in compagnia.

Palleggio dal centro, è sempre incredibile vedere come si muove un omone come Berrettini:

 

Sale il ritmo:

La palla schiocca, le scarpe fischiano:

Open stance piena, pallate una dietro l’altra:

Dall’altra parte della rete, non scherza nemmeno Stefanos:

Si comincia coi diagonaloni di dritto:

Matteo non si fa pregare, e in quattro botte costringe Tsitsipas alla steccata:

Si provano i colpi in chiusura, siamo verso la fine della sessione:

Per finire la carrellata, prima le cose belle di Stefanos col rovescio a una mano:

E poi la specialità di casa Berrettini, servizio e due drittoni:

Un gran bel pomeriggio di sport al massimo livello, tra il numero 5 e il numero 6 del mondo: la competizione sta appena iniziando, ma nel “Paradiso del tennis” le cose sono già interessantissime e appassionanti.
Per quello che abbiamo potuto vedere, anche parlandone un attimo con Matteo e Vincenzo Santopadre, il nostro miglior giocatore sembra stare bene, ha tirato senza paura, speriamo che possa disputare un buon torneo.

Spunti tecnici: il segreto del dritto di Berrettini
Spunti tecnici: Tsitsipas, forse abbiamo trovato un nuovo Airone

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Spunti tecnici: Sinner, decontrazione e scioltezza

Jannik è forse il miglior colpitore puro che il tennis italiano abbia mai visto. Velocità di palla altissima, fluidità totale

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Non era mai successo che il tennis azzurro contasse due giocatori contemporaneamente tra i primi 10 della classifica mondiale come accaduto fino alla settimana scorsa. Così come non era mai successo, tra gli italiani, quello che ha realizzato nel 2021 Jannik Sinner, 20 anni, ovvero vincere ben 4 tornei ATP in una stagione (i “250” di Melbourne, Sofia e Anversa, e il “500” di Washinghton, più una finale Masters 1000 persa a Miami). Il giovane ex sciatore della Val Pusteria sta vivendo, da ormai un paio d’anni, un percorso di progresso tecnico e tattico a tratti esaltante, meritatamente condito da vittorie di peso e una conseguente scalata verso i piani alti del nostro sport, dove ha raggiunto Matteo Berrettini, che sta facendo sognare i tifosi non solo nostrani.

La cifra del gioco di Sinner, tennista modernissimo come impostazione tecnico tattica, è la qualità del palleggio aggressivo da fondocampo. Dritto e rovescio di Jannik sono fucilate in costante accelerazione, con una capacità fenomenale di creare velocità di palla da ogni angolo del campo. Come ci riesce il nostro campione? Andiamo ad analizzarlo, ringraziando l’imprescindibile Vanni Gibertini per i video e le immagini originali ed esclusive di Ubitennis direttamente realizzate da Indian Wells nell’ottobre 2021. Iniziamo con un video rallentato, dove possiamo apprezzare due dritti e un rovescio.

SPUNTI TECNICI: Il nostro coach analizza colpo per colpo, foto per foto, Jannik Sinner al microscopio

Quello che salta subito all’occhio, oltre alla generale compostezza della postura e dell’equilibrio, è la facilità con cui Jannik fa scorrere la testa della racchetta attraverso la palla, senza perderne minimamente il controllo. Andando a osservare con attenzione alcuni “frame” tratti dallo stesso filmato, possiamo notare la caratteristica speciale degli swing di Sinner: il giocatore è talmente decontratto da far finire l’attrezzo praticamente nello stesso punto, ben alto e dietro le spalle, da cui ha iniziato il movimento a colpire.

 

Questa ampiezza dell’ovalizzazione non è un dettaglio peculiare di Jannik, è tecnica abbastanza standard, quello che risulta straordinario nel caso dell’azzurro è che di norma uno swing così sciolto, in gergo si direbbe “a tutto braccio”, viene “lasciato andare” così tanto nel momento in cui si vuole produrre un’accelerazione vincente, alla massima velocità possibile, con tutti i rischi di errore annessi. Sinner, invece, lo fa in ogni singolo colpo, botta dopo botta, mantenendo percentuali altissime di successo, ed è da questo che deriva la sensazione di ritmo impossibile da reggere che tanti dei suoi avversari hanno provato e poi raccontato dopo averlo affrontato.
Andando a vedere i frame, la stessa cosa avviene dal lato del rovescio.

Rovescio che è il colpo più naturale di Jannik, anche se a ben vedere i progressi degli ultimi tempi hanno portato anche il dritto a essere un’arma di pari efficacia. La caratteristica principale del colpo bimane di Sinner è l’estrema semplicità della preparazione, un “backswing” eseguito praticamente in linea, un po’ come nel caso di Daniil Medvedev. Molto differente rispetto, per esempio, all’ovalizzazione più “rotonda” di uno come Alexander Zverev, nessuna delle due tecniche esecutive è migliore o peggiore dell’altra, sono solo personalismi coordinativi. Vediamo il confronto qui sotto, con un’immagine di Sascha sempre da Indian Wells, la differenza di altezza della testa della racchetta all’apice del backswing è chiarissima.

La preparazione con ovalizzazione facilita un minimo l’accelerazione della testa della racchetta, che viene “aiutata” dal percorso bello tondeggiante che va a effettuare (come nel caso di praticamente tutti i dritti standard), mentre quella in linea, a patto di avere la scioltezza di braccia necessaria per far viaggiare l’attezzo, rende più semplice andare a impattare “attraversando la palla”, con poca rotazione, e altissima rapidità del colpo. Lo vediamo dall’inizio alla fine qui sotto.

L’intero movimento, dal backswing fino all’impatto, vede la testa della racchetta di Jannik che non va più in alto rispetto alla linea delle spalle, e non viene portata più in basso dei fianchi, rimanendo in un “binario” di poche decine di centimetri in verticale. L’accompagnamento finale, sempre composto e con la racchetta che segue la direzione della palla prima del già commentato, scioltissimo “wrap” (avvolgimento delle braccia) sopra la spalla opposta, conclude un’esecuzione a dir poco spettacolare.

Dal binario di cui sopra partono gli autentici treni, lungolinea e incrociati, con cui il rovescio di Sinner fa a fette il campo e di conseguenza gli avversari.
Riassumendo, con i fondamentali al rimbalzo, siamo davanti a una macchina lanciamissili che ha pochi eguali nel circuito, paragonabile a quello che era Tomas Berdych (ma con maggiori margini a mio avviso), e per quanto riguarda il rovescio, l’eccellenza è assoluta, al livello dei migliori di tutti, come i citati Zverev e Medvedev. Forse solo il bimane del grande Novak Djokovic, attualmente, potrebbe farsi preferire a quello di Sinner, ma per una questione di varietà tattica di soluzioni che deriva dall’esperienza del fuoriclasse, non certo per qualità tecnica in senso stretto.
A partire dallo scorso anno Jannik sta lavorando molto per migliorare il servizio, che è un colpo ben eseguito e che produce bella velocità, ma a volte tende a non ottenere sufficienti percentuali e angoli efficaci. Il problema (relativo, parlando di livelli simili) appare in gran parte risolto, certo Sinner è difficile che si trasformi in un bombardiere alla Berrettini, ma se riesce ad ottenere un congruo bottino di punti diretti, e negli altri casi a comandare lo scambio scatenando il pazzesco ritmo da fondo analizzato prima, va benissimo così. Lo vediamo qui sotto:

Esecuzione assolutamente corretta, ottimo impatto, si può notare che Sinner tende a rimanere molto verticale con relativa minore uscita dell’anca in avanti, e di conseguenza azione del piano delle spalle meno accentuata, ma anche qui siamo davanti a caratteristiche coordinative personali, quello che conta è la sensazione e la sicurezza nel colpo che può sentire solo il giocatore stesso. Nel corso dell’ultimo anno Jannik è passato dalla tecnica foot-up, cioè con il piede posteriore che fa un passo in avanti a raggiungere quello anteriore, a quella foot-back, con i piedi entrambi a terra in fase di caricamento. Di solito in questo modo si può regolarizzare il lancio di palla, e pare che per Sinner la cosa funzioni. Ormai le prime palle vanno spesso a 200 kmh e anche di più, le seconde non sono facili da aggredire, e oltre a questo ricordiamo che la fase di evoluzione tecnica del giocatore non è ancora conclusa. In ogni caso, è stata raggiunta l’elite del tennis mondiale, se poi immaginiamo ulteriori margini di miglioramento anche tattici, come la capacità di chiudere a rete con angoli e soprattutto tempi di esecuzione sempre più efficaci, il futuro non potrà che riservarci soddisfazioni che attendevamo tutti da una vita.

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ATP Finals – Spunti Tecnici: Matteo Berrettini e il dritto che fa male anche ai top-players

SPONSORIZZATO – Per non parlare del servizio… Gli straordinari risultati del testimonial Lotto, consolidato ATP Top 10, dipendono in gran parte dal binomio dritto servizio

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(photos @Ray Giubilo per Lotto Sport Italia)
(photo @Ray Giubilo per Lotto Sport Italia)

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Tecnicamente, stando in campo con Matteo Berrettini, che si prepara a giocare le ATP Finals per la seconda volta in carriera (record per il tennis italiano maschile, come l’esaltante finale raggiunta sull’erba di Londra), è molto interessante vedere quanto i colpi dell’azzurro sponsorizzato da Lotto Sport Italia siano strutturati con l’obiettivo dell’efficienza e dell’incisività.

Il dritto è uno dei più potenti e carichi di top-spin del Tour, parole di Novak Djokovic, una botta paragonabile a quella di Juan Martin del Potro, il servizio è sempre la specialità di casa, e il rovescio slice (con rotazione all’indietro) è diventato solido e molto efficace. D’altronde, a questi livelli non vai in fondo agli Slam con buchi tecnici evidenti, chi critica il rovescio di Matteo dovrebbe provare a starci in campo contro, come ha detto anche Monfils dopo averci perso a New York due anni fa. Vediamoci insieme Berrettini da vicinissimo.

(photos @Ray Giubilo per Lotto Sport Italia)
(photos @Ray Giubilo per Lotto Sport Italia)

Qui sopra, un paio di esecuzioni del dritto in open stance, postura frontale, il classico “sventaglio” con cui l’italiano martella a ritmo altissimo da ogni angolo del campo. Da notare, a parte l’ovalizzazione perfetta e l’ottima spinta della gamba esterna, come Matteo tenga l’indice della mano destra ben separato dalle altre dita. La cosa consente una maggiore sensibilità, la nocca del dito avvolge il manico più avanti sostenendolo e “sentendolo”, è il cosiddetto “pistol grip“, l’impugnatura “a pistola”, come se l’indice fosse su un grilletto immaginario. Rispetto al “hammer grip“, che non è l’impugnatura a martello che in italiano è la continental, ma è la postura della mano sul manico a dita raccolte, il vantaggio a livello di percezione e tatto è notevole, a patto che si sia in grado, con la forza dell’arto, di reggere con sufficiente saldezza l’attrezzo. Ecco un esempio più chiaro, per capirci.

 

Sopra, Dominic Thiem, sotto, Berrettini. Se osserviamo l’indice, la differenza è evidente. Sono due dritti brutali per potenza, efficacissimi entrambi, ma avete presente quando un colpo ha “qualcosa” in più? Magari dà un’impressione di maggior controllo, o di varietà di esecuzioni, tipicamente la capacità di tirare piatto oppure super-arrotato cambiando l’angolo di attacco del piatto corde sulla palla con disinvoltura? Ma non si riesce a focalizzare quale sia la causa, o perché uno ci riesca meglio di un altro? Ecco, questi dettagli spesso sono la risposta. E sappiamo bene che una delle caratteristiche tecniche di Matteo è proprio la capacità di sparare liftoni alternati a manate piatte come niente fosse.

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(photos @Ray Giubilo per Lotto Sport Italia)
(photos @Ray Giubilo per Lotto Sport Italia)

Qui sopra, vediamo il rovescio tagliato con rotazione all’indietro, ovvero lo slice. Berrettini ha lavorato moltissimo su questo colpo, ce lo ha detto lui stesso, e i risultati si vedono. Non parte molto in alto con la testa della racchetta, non sale troppo con la spalla, e tiene il braccio abbastanza discosto dal corpo (pensiamo a Roberta Vinci, che arrivava dietro la schiena col piatto corde, e avvolgeva il braccio così tanto che ancora un po’ si strangolava da sola, con la spalla destra in gola). Il movimento a colpire risulta più orizzontale, data l’altezza di Matteo la cosa per lui funziona più che bene, ed è ottima la conduzione del piatto corde, con postura perfettamente composta, come si può apprezzare nella seconda immagine. Notevole la capacità di andare basso con le ginocchia, data la stazza del giocatore. La rasoiata in slice di Berrettini non ha nulla da invidiare, quanto a efficacia e cattiveria della rotazione, a esecuzioni ben più “blasonate” dal punto di vista stilistico. Bravissimo.

Qui sopra (sequenza originale ed esclusiva di Ubitennis da Indian Wells), il super-servizio, senza commenti perché le immagini parlano da sole. Il caricamento iniziale, con il brandeggio basculante “alla Raonic”, e il polso morbido, con presa leggerissima, sono caratteristiche personali di Matteo. Decontrazione totale, che produce una frustata con pochi eguali nel circuito. Dalla “trophy position” in poi, vediamo le immagini, anche scolasticamente è una martellata fantastica, il lieve attimo di surplace con racchetta piatta verso l’alto, difettuccio veniale ma presente fino a tre anni fa, è sparito, Matteo va di taglio ad aggredire la palla in modo perfetto. Che missili, ragazzi.

In conclusione, abbiamo un gran bel giocatore, moderno, fisico, potente, e dotato di tecnica assai più raffinata di quanto appaia a prima vista (e soprattutto in TV). La grande sensibilità della sua palla corta ne è un esempio, non spari servizi a 225 all’ora, dritti a 160 dall’altra parte, e poi chiudi il punto con una carezza a mezza spanna dal nastro se non hai tanta, ma tanta “mano”. Un po’ di abitudine ad andare a rete a prendersi qualche punto in più, altra cosa su cui Berrettini e Santopadre ci hanno detto di stare lavorando parecchio, con successo viste le vittorie, e il “pacchetto” è completo.

Terzo anno chiuso in top-10 ATP, titoli prestigiosi come al Queen’s Club, soddisfazioni personali come la convocazione per il team Europa alla Laver Cup, e il sogno della finale di Wimbledon: Matteo Berrettini è arrivato tra i grandi del tennis, e ha intenzione di rimanerci a lungo.

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