Non solo Djokovic e Federer: l'umanità della O2 Arena

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Non solo Djokovic e Federer: l’umanità della O2 Arena

Quando il rovescio di Djokovic e le volèe di Federer passano in secondo piano davanti al sorriso di un addetto alla security: le impressioni del pubblico e degli addetti ai lavori che compongono il melting pot della O2 Arena

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Marina Abramovic, una performer serba di fama mondiale nell’ambito dell’arte moderna, anni fa portò in scena al MOMA di New York una esibizione stabile in cui sedeva davanti ad uno sgabello vuoto: chiunque avesse voluto, avrebbe potuto appoggiarvisi e fissare negli occhi la Abramovic, che immobile avrebbe ricambiato lo sguardo. Le reazioni furono delle più sconcertanti, il solo viso di Marina suscitava lacrime, risa e chissà quali pensieri a chi decideva di intervenire nell’opera, e l’artista spiegò così le sue intenzioni: “Ognuno di noi ha una propria storia. Il compito di ciascuno è raccontare la propria, ma allo stesso tempo ascoltare, e se nessuno parla semplicemente tentare di comprendere quella altrui”.

La stupenda O2 Arena di Londra, che ospita le ATP World Tour Finals per la settima volta quest’anno, ogni giorno fa entrare nella propria pancia migliaia di persone, creando un melting pot di colori e lingue che regala un sorriso e un invito ad essere, una volta di più, cittadini del mondo. Lo scopo della visita alla struttura questa settimana è ovviamente il tennis, ma passeggiare per i corridoi circolari che fanno da cinta al campo centrale è uno spettacolo nello spettacolo. Non ci sono soltanto Djokovic e Federer a dire la propria, ma un intero nucleo di umanità che ogni giorno popola spalti e padiglioni, stores, bagni e scale; anzi, c’è chi di tennis non ne sa quasi nulla. George e Antonia sono i primi che accettano di chiacchierare: sulla trentina, entrambi eleganti e di bell’aspetto, atterrati giovedì da Salonicco. “Sono tre anni che veniamo qui per le Finals, siamo molto appassionati. Da un po’ stiamo cercando anche di andare al Roland Garros, ma non riusciamo mai ad organizzarci”. I preferiti? Risponde lei: “Federer, ovviamente. A George piace Nadal, ma con i problemi che ha avuto Rafa quest’anno è meglio non chiederglielo!”

Appoggiato ad uno dei tavolini nello stand Moet&Chandon c’è Daniel: originario di Portsmouth, vestito alla bohemienne con completo e cappello a falda larga, entrambi neri, a circondare un bel viso su cui troneggia una cespugliosa barba da hipster, che va tanto di moda. “Ho portato qui una mia amica romena che è venuta a trovarmi: non sono un fan sfegatato ad essere onesto, ma non è neanche la prima volta che guardo il tennis dal vivo. Il Queen’s è a pochi passi dal mio appartamento, ogni anno riesco sempre a vedere i primi turni”. La ragazza in questione lo raggiunge dopo poco, presentandosi come Daniela e portandogli un flute dello champagne di cui Federer è testimonial: “Io non capisco granché, ma il posto è straordinario e mi sto interessando molto”. Chi con l’hot dog, chi davanti agli schermi installati ogni trenta metri all’interno del complesso, chi a passeggio tra i negozi al piano terra. Ofer e Liron vengono addirittura da Tel Aviv: bellissimi, entrambi oltre i quarant’anni che traspaiono solo dai loro documenti. Ma non sono qui per il tennis: “Siamo qui per un weekend lungo, e questa è la best thing to do al momento in città: chissà quanto ci stanno invidiando i nostri figli! Volevamo i biglietti per Federer, ma ci piace lo sport in generale, quindi va bene qualsiasi match”.

La sala stampa, come già detto in precedenza, ha un aspetto allo stesso tempo imponente ed elegante. Poco meno di duecentocinquanta postazioni soltanto nell’area riservata ai giornalisti, a cui è adiacente la zona in cui lavorano i fotografi, comunque intorno al centinaio. Ognuno ha necessità e richieste diverse, dal wi-fi che non funziona (ed è bersaglio delle contenute lamentele di Gianni Clerici) alle indicazioni su dove sia situato il proprio posto in tribuna: la regina della reception è Hilary Peck, quarant’otto anni e il viso disteso di chi sa di avere sempre la situazione sotto controllo, con sorridente disponibilità. “Sono vent’anni che faccio questo lavoro, mi divido tra il Queen’s e questo torneo, da quando è a Londra. La settimana di gioco è solo la minuscola punta di un iceberg immenso, a ciascun torneo si dedicano almeno cinque mesi: già adesso stiamo pianificando l’edizione 2016, per quanto riguarda accrediti, postazioni media e accessi multimediali”. Hilary si occupa della famiglia quando nel poco tempo libero a disposizione, ed è anche molto appassionata di tennis: “Lo seguo sempre, anche se non è questo il motivo per cui faccio questo lavoro: il mio motto è work hard, have fun, e l’unico modo per poterlo onorare è riuscire ad instaurare un buon rapporto con colleghi e dipendenti. Tutti i ragazzi che lavorano qui sono persone splendide, le relazioni interpersonali sono il vero premio per le mie fatiche”.

Sul lato opposto all’ingresso del Media Centre inizia un percorso evidenziato da un tappeto blu, che porta alla Lounge dedicata a chiunque abbia un accredito. All’interno l’atmosfera è quella di un pub della City, con colori caldi e luci soffuse ad abbracciare il chiasso dei giornalisti e fotografi che vi si rilassano, davanti agli enormi schermi che proiettano le immagini live del Centrale e vari filmati di repertorio. All’entrata, un lungo bancone di legno propone birra dello sponsor ATP e vini locali (che ai vari italiani e francesi presenti fanno alzare le sopracciglia in continuazione), mentre sul fondo della sala si affonda nei divani in pelle appena di fronte al buffet. Evelin lavora al bar, ha la pelle scurissima che contrasta splendidamente con i suoi denti perfetti: “Sono nata in Sudan, poi la mia famiglia si è trasferita qui quando avevo due anni, nel ’93. Non sono una grande fan del tennis, l’ho praticato da piccola ma non mi ha mai preso”. Quando il torneo finisce, continua a lavorare alla O2 Arena: “Il settore dell’hospitality mi piace molto, spero davvero di poter raggiungere una posizione importante. Questo posto poi mi permette di conoscere sempre persone nuove, e gli eventi che si tengono qui sono visti in ogni parte del mondo, è una fortuna poterci lavorare”. Davanti alla vetrata che affaccia all’interno dell’Arena, sul lato lungo della Lounge, c’è il tavolo dove vengono serviti i pasti (ad orari improponibili, mezzogiorno per il pranzo e poco dopo le 18 per la cena): Estrella è una delle addette alla postazione, e la sua bellezza tipicamente latina si nota subito, come i suoi enormi occhiali dalla montatura rigida. Di Granada ma residente a Madrid, il tennis è oggettivamente l’ultimo dei suoi pensieri: “Il torneo non mi interessa, non sono una grande sportiva. Ma non è la prima volta che lavoro durante un evento dedicato all’ATP: quando vivevo in Argentina ero parte di un team che si occupava di ricevere Nadal ad un evento di beneficenza”. Il denominatore comune tra tutte queste persone è uno solo, ed Estrella lo conferma: “Stare in mezzo alla gente è la cosa più gratificante: nella vita faccio la fotografa e mi occupo di graphic design, confrontarmi con le idee e i gusti altrui mi rende più ricca”.

Non si discute che questo sia uno degli eventi più glamour ed esclusivi del panorama tennistico: ma ci sono attimi in cui il gioco passa in secondo piano, quando la spontaneità delle persone che vi gravitano attorno, in qualsiasi modo, esce fuori davanti al tè delle cinque.

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