Ricordi Paolo quando tu, Adriano ed io... (e Bertolucci twitta in risposta)

Editoriali del Direttore

Ricordi Paolo quando tu, Adriano ed io… (e Bertolucci twitta in risposta)

In occasione dell’uscita del libro “Pasta Kid – Il mio tennis, la mia vita” pubblichiamo, oltre alla recensione qui a fianco, un lungo emozionante ricordo del nostro direttore Ubaldo Scanagatta

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Quella che ha scritto davvero molto bene – in tutto e per tutto assolutamente condivisibile – l’eccellente Matteo Parini accanto a queste mie righe, che dovevano inizialmente essere un breve cappello introduttivo e poi sono diventate altro, perché il tema della vita di Paolo che ho frequentato per tanti anni della mia infanzia e giovinezza ogni estate, lui e i suoi genitori, sua sorella Monica, mi coinvolgeva emotivamente…, è la vera, puntuale, approfondita recensione del libro, “Pasta Kid, il mio tennis, la mia vita” scritto da Lucio Biancatelli che racconta magistralmente Paolo Bertolucci, preceduto da una magnifica prefazione (“Quando la vita scintillava”) del Premio Strega Edoardo Nesi, scrittore pratese cresciuto con la passione del tennis nel sangue.

Le mie righe invece, sebbene mi faccia piacere sottolineare quanto questo libro senza pretese mi sia piaciuto proprio per la sua semplice genuinità, per la fedeltà ai personaggi descritti e a quel mondo e non solo a Paolo Bertolucci (e Adriano Panatta più di altri, ma anche tanti che ho conosciuto e frequentato, Ilie Nastase, Bjorn Borg seppure non così da vicino come Paolo… peraltro io ho conosciuto molto meglio di Paolo Bud Collins, il grande scrittore americano che cominciò a chiamarlo Pasta Kid proprio trovandosi a tavola con Gianni Clerici, Rino Tommasi ed il sottoscritto da Lusardi, un ristorante di New York dove cenavamo spesso durante l’US Open… Bud ha scritto fra l’altro quella celebre frase : “British may have invented tennis, but Italians humanized” che non ha bisogno di traduzione) sono più legate ai ricordi personali che quel libro mi ha fatto tornare in mente ed ispirato. Mi ha fatto ripiombare in un’epoca della mia vita di bambino che sognava di andare a Wimbledon da giocatore (non da giornalista dove sono stato per 42 anni di fila!); a tanti anni della vita di Paolo e mia, ragazzini che anche quando non eravamo vicini era tuttavia un po’ come se lo fossimo, perché il tennis che tanto amavamo entrambi ci univa, inconsapevolmente ma profondamente. Anche se erano diverse le nostre origini, le prospettive, le aspirazioni, le ambizioni e, dopo i primissimi anni – in cui ricordo di aver strappato qualche set in allenamento ma anche di aver nettamente perso da Paolo le due volte che l’ho affrontato in gara sebbene io avessi due anni di più… e a quell’età contano tanto! – naturalmente anche i risultati.

Conosco Paolo Bertolucci fin da piccolissimo, lui classe 1951, io 1949, perché entrambi a 3, 4 anni giravamo già con le racchettine in mano, il nostro passatempo preferito. Altro che passatempo, una malattia. Che ci siamo trascinati dietro per tutta la vita. D’estate, piccoli e rotondetti, giocavamo insieme a Forte dei Marmi, al Tennis Roma della famiglia Taddei, dove la mamma di Paolo, Maria Rosa, gestiva il bar del circolo e suo padre Gino, magro ed elegantissimo con i pantaloni lunghi di flanella beige – mai viste le sue gambe salvo che sotto la doccia – insegnava tennis e…come lo insegnava! Se il rovescio di Paolo è diventato un rovescio leggendario, da Braccio d’Oro, il merito è quasi più di suo padre che di Paolo. Se aveste visto quanti altri ragazzi cresciuti con il maestro Gino – cito uno che si chiama Bramanti per citarli tutti –  sembravano impostati con lo stampino: stile identico, simile eleganza nel tirarlo ad una mano, anche se poi l’efficacia, la profondità, la pesantezza di quel colpo in Paolo era ben diversa, ecco, se li aveste visti capireste quel che voglio dire. Un fatto è certo: quasi tutti gli allievi del Maestro Gino giocavano di rovescio meglio che di dritto. Io da under 14 ero bravino. Ai campionati toscani, quando Paolo giocava ancora la Lambertenghi under 12, perdevo – 4 volte su 5 – solo dal montecatinese Pierino Toci (poi campione italiano di seconda categoria prima di diventare n.5 d’Italia e la “bestia nera” di Corrado Barazzutti: lo “ammazzava” di smorzate micidiali, lo chiamava a rete e lo infilava come un tordo) e lo ero grazie al rovescio a due mani che allora non giocava nessuno, tanto che il mio maestro del CT Firenze Gino Ballerini soleva ripetermi: “Guarda che con il rovescio a due mani non si va da nessuna parte, si perdono 20 centimetri, Beppe Merlo e Pancho Segura sono state solo eccezioni”. I Connors, Solomon, Dibbs, classe 1952, Chris Evert, classe 1954, non erano ancora usciti alla ribalta. Il rovescio bimane era un’anomalia tecnica mal sopportata. Il dritto, che crescendo sarebbe diventato il mio colpo migliore con smash e volée, me lo mise a posto proprio papà Bertolucci con un paio di accorgimenti che non ho mai dimenticato: “Mai finire il colpo in punta di piedi, perderai equilibrio e non avrai trasferito bene il peso del corpo”. Il rovescio, dal momento che lo giocavo a due mani e che mi veniva naturale a quel modo, non volle modificarlo come avrebbero fatto più tardi altri maestri. Oggi tutti i tecnici sono d’accordo sul fatto che non si deve mai far cambiare ad un ragazzino un colpo che non sembri ortodosso, salvo che sia clamorosamente sbagliato. Andò a finire – per inciso – che quel rovescio, tirato una volta a due mani e una volta a una, perse le misure d’approccio, diventò un colpo ibrido e da forte che era invece debole. Chiudo l’inciso di nessun interesse (ma il polpastrello sul computer mi parte da solo).

Con Paolo, e lo ricorda meglio lui di me a pagina 25 del suo libro, stavamo giocando una delle tante partitelle estive, quando Giorgio Neri, presidente della Virtus Bologna e futuro presidente della FIT, con una passione sviscerata e senza secondi fini personali per il tennis e solo il tennis, non se stesso e il proprio tornaconto – un esempio mai più seguito dai suoi successori – scorse quel magnifico braccio d’oro e, con l’intuito del talent scout, chiese al maestro Gino di poterlo tesserare per la sua Virtus promettendo anche aiuti tecnici e finanziari che a quei tempi nessun altro avrebbe messo a disposizione.

Con Paolo, ma anche Adriano Panatta, ci saremmo ritrovati anche ai raduni della nazionale junior a Formia, che io frequentai però soltanto nei periodi non scolastici. Per lui, Adriano, Marzano, Barazzutti, Zugarelli, più promettenti e disposti in caso di insuccesso a fare i maestri di tennis, gli studi non erano una assoluta priorità. Ricordo quando dovevamo fare i giri di campo, nello stadio d’atletica di Formia, e quell’aiuola con i cespugli su un lato: lì era possibile anche…”infrattarsi”. E quando dovevamo fare cinque giri di campo, di circa 500 metri l’uno, Adriano e Paolo se Belardinelli era distratto, li si fermavano ben nascosti saltando un giro, tra il terzo e il quarto di solito…Al quarto si riunivano ai fessi, noi altri, che avevano fatto tutti i giri: così all’arrivo noi eravamo distrutti e loro apparivano molto più freschi. “Vedi Paolo, vedi Adriano che potevate spingere di più!, Bravi avete ancora fiato!”. E quando Vincenzo Franchitti Vettesi tornò dal paese di Formia con uno strano ingombro sotto alla tuta e Belardinelli gli chiese di far vedere che cosa avesse lì sotto? Vincenzo, l’unico tennista italiano che abbia mai battuto Bjorn Borg in Italia (torneo WCT di Bologna), fu costretto a tirar fuori da sotto la giacca della tuta una rivista osé dell’epoca, “BANG!”, con una bonazzona bionda dai seni al vento che quasi uscivano dalla copertina. A quei tempi era il massimo del porno, più che  seni in Italia non si poteva vedere. Belardinelli, furibondo, minacciò di mandare a casa il “forcaiolo” e lui: “Sor Belardinelli, mi scusi, ma io ho letto BANG e credevo fosse un giornale di cowboy!”. Fece così ridere tutti che perfino il severo, burbero Belardinelli non riuscì a trattenere il riso e  lo perdonò. Questo episodio, come anche quello di Paolo e Adriano che giocando a carte si facevano i segni, a scopone (e fin lì passi), ma anche  a poker, nel libro non c’è, ma tanti altri episodi e tanti personaggi di quegli anni li ho ritrovati e riletti con piacere in questo libro che, confesso, ho divorato. Proprio come Paolo che, varcati i cancelli del college, divorava – fra una dieta e l’altra a base di riso e prosciutto crudo imposta da Mario Belardinelli – tutte quelle paste della pasticceria vicina dove non avrebbe dovuto nemmeno metter piede. E tutti noi ragazzi poi, che minacciavamo sempre di raccontare tutto al “Signor Belardinelli” – o a “Belarda” come lo chiamava Panatta – salvo poi far tutti gli omertosi. Questo è un libro che penso divertirà anche voi, perché è scritto in modo scorrevole, leggero, senza autocelebrazioni presuntuose né arroganti: non sarebbe da Paolo (e sì che i fortemarmini invece talvolta arrogantelli lo sono). Vi permetterà di scoprire come è davvero fatto Paolo e un mondo del tennis che non esiste più. Bravo l’autore a ricostruirlo, perché anche il capitolo finale con l’intervista che riunisce Paolo e Adriano in un dialogo che riflette alla grande il loro modo di essere, di pensare, di agire, di parlare, l’ho trovato assolutamente vero, realistico e gustoso. Tant’è che questo libro, come accennato, l’ho finito nell’arco di un paio d’ ore, forse meno. In quasi ogni pagina ho trovato spunti che mi hanno divertito, suscitato ricordi. Molti coincidono con i miei primi anni di giornalismo, con risultati e aneddoti che già conoscevo o che credevo di aver conosciuto in modo diverso, e che rispecchiano la vera natura e personalità di Paolo, ma anche del suo grande amico Adriano con il quale avevo invece meno feeling, un po’ perché non eravamo cresciuti insieme, non ci eravamo frequentati ed allenati come con Paolo, e poi lo consideravo troppo…romano, negli atteggiamenti un po’ sbruffoni. Con Paolo c’era la complicità di chi almeno un mese l’anno lo passava insieme, invece con Adriano no. Lui al Parioli e io al Ct Firenze, ci eravamo visti più da avversari che da amici. Fin da ragazzino, fin dai primissimi tempi, io 10 anni e lui 9, fin da quando a Pievepelago dal maestro Simon Giordano eravamo iscritti a corsi quindicinali diversi, giugno io e a luglio lui per 4 anni di fila, io avevo sentito parlare di lui come un ragazzino di grande talento che batteva già quelli molto più grandi di lui, e lui forse aveva saputo che un anno avevo vinto il torneo del corso precedente o fatto…il record delle volée consecutive. Da Adriano avrei perso netto ai campionati studenteschi under 16 a Modena 1964, ma lo avrei battuto in finale ai campionati italiani di terza categoria di doppio a Como nel ’66, io con il catanese Agostino Serra, lui con l’altro “pariolino” Stefano Matteoli: vincemmo 6-3 al quinto. Già si giocava tre set su cinque perfino in terza categoria. Oggi chi non arriva alla Davis o ad uno Slam non sa nemmeno cosa siano i tre set su cinque!

Con Paolo invece giocammo a fianco in tre tornei junior senza perdere mai. Forse il più forte fu la Coppa Scerni a Genova. Scherzando l’ho sempre rimproverato, di aver poi “ASSURDAMENTE!” preferito Adriano Panatta come compagno di doppio a me: “Ma come hai potuto? Con me non hai mai perso, con Adriano sì, e un sacco di volte!” Accanto a Paolo, e diciamo pure principalmente grazie a Paolo, che nel frattempo il presidente della FIT Paolo Galgani succeduto a Giorgio Neri, aveva fatto tesserare per il suo e il mio Circolo Tennis Firenze – mio padre ne è stato il Presidente – vincemmo un doppio decisivo per il campionato italiano a squadre. Allora si chiamava Coppa Brian ed aveva molto più seguito, pensate che per seguire quelle gare i soci affrontavano le trasferte con i pullman. Oggi è cambiata la tipologia del socio, a vedere la serie A ci vanno quattro gatti e solo se il match si gioca in casa: il socio nemmeno distingue i tennisti di casa dagli ospiti. Altri tempi. Insomma, Paolo ed io battemmo 6-0 al quinto (ancora!) Victor Crotta (doppista anche in Davis, insieme a Pietro Marzano) e Giorgio Fachini che quell’anno (1969 o 1970?) erano testa di serie n.4 agli Assoluti. Il capitano del CT Firenze Paolo Galgani aveva deciso di schierare me al fianco di Paolo anziché Pierino Toci che era già n.5 d’Italia. Per me fu un risultato e una soddisfazione enorme, come vedete indimenticabile. Paolo avrebbe vinto, con Adriano, tutto quel che ha vinto e che leggerete in questa sua biografia, contro coppie come Newcombe-Roche, McNamara-McNamee, McEnroe-Gerulaitis, Tiriac-Nastase. Si fossero dedicati di più al doppio avrebbero vinto molto ma molto di più anche quando lo giocavano tutti i giocatori più forti del mondo. Molto probabilmente Paolo di aver battuto Crotta-Fachini al fianco di Ubaldo Scanagatta o non se lo ricorda o se lo ricorda a malapena. Quasi quasi non mi capacito che non l’abbia ricordato in questo suo libro, eh eh…eppure secondo me quel giorno lì lui è stato… costretto a giocare molto meglio che tutte le altre volte accanto a Panatta! Con Paolo siamo stati anche, per un brevissimo periodo, soci d’affari. Fondammo l’Università del Tennis al Ciocco (in provincia di Lucca) e Paolo era il…Rettore dell’Università. La maglietta che indossiamo nella foto di quest’articolo era quella che facemmo per promuovere quell’iniziativa. I ragazzi venivano ad imparare a giocare a tennis, insieme a Paolo avevamo reclutato una bella schiera di validi maestri. E non solo. Organizzammo anche un’esibizione di tennis, una sorta di Coppa Davis, Italia-Stati Uniti, con Panatta e Bertolucci da una parte, Ashe e Gerulaitis dall’altra. Commettemmo anche un errore da principianti:  dovevamo pagare a Gerulaitis, in anticipo, 20.000 dollari meno ritenuta d’acconto. Li versammo interi e quando chiedemmo al suo agente di recuperare le tasse non dovute perchè dovevamo versarle noi…non le vedemmo mai.

Voglio ricordare qui che un altro libro “imperdibile” era stato scritto dall’amico e apprezzato collega Stefano Meloccaro, incentrato su Paolo Bertolucci: “Braccio d’Oro”, Limina Edizioni 2006, E’ reperibile on line.

Chiudo, augurando a Paolo Bertolucci e a Lucio Biancatelli, di vendere con questo libro tutte le copie che merita, segnalando, già che ci sono, un mio piccolo grande rimpianto: mi sarebbe tanto piaciuto, dopo aver fatto coppia con lui sul campo da tennis, e dopo aver condiviso la cabina da telecronista con Rino Tommasi, Gianni Clerici, Roberto Lombardi, commentare almeno qualche match di tennis accanto a Paolo, secondo me il miglior telecronista “talent” di quest’epoca. Ma ormai so che l’idea di questo duo tutto toscano a commentare il grande tennis in tv resterà un sogno nel cassetto.

 

Nota di UBS:  Paolo Bertolucci ha risposto all’articolo di Ubaldo con un tweet in cui…si “scusa per il tradimento (cioè per aver scelto Adriano Panatta come partner di doppio al suo posto)” , e al suo ne sono seguiti altri. Li trovate qui sotto, ma ne stanno uscendo altri…

Bertolucci's tweet

 

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