Così mi innamorai di una tennista (Clerici). Ma quale “vecchio”! Re Federer non abdica (Imberti). Federer dice addio alla terra. Giocherà solo il Roland Garros? (Valesio).

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Così mi innamorai di una tennista (Clerici). Ma quale “vecchio”! Re Federer non abdica (Imberti). Federer dice addio alla terra. Giocherà solo il Roland Garros? (Valesio).

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Così mi innamorai di una tennista (Gianni Clerici, La Repubblica – Venerdì)

Il mio amore, per Suzanne, nacque al cimitero. Vado spesso a visitare i cimiteri. Ciò mi permette di pensare a vite passate, alla vanità della Fama, mi sollecita l’immaginazione, e la simpatia per le biografie. Quella volta, nel 1982 circa, la mia visita al Père Lachaise avvenne in seguito al rifiuto di alcuni famosi giottori (giornalisti-scrittori) francesi e miei amici, di tentare una biografia di Suzanne Lenglen, la più grande tennista esistita (mai sconfitta se non una volta, per un ritiro che, lo scoprii, fu causato da tosse canina). Mi informai di dove fosse sepolta, e una mattina mi recai al Père Lachaise. Un gentile signore, che recava un mazzo di rose per Marcel Proust, mi indicò un sepolcro in marmo scuro, scheggiato, come se qualcuno avesse cercato di infrangerne il coperchio con un martello. Mi inginocchiai, rivolsi una timida frase d’amore a Suzanne, e presa la strada del Roland Garros, salii allo studio di Philippe Chatrier, che allora era il Presidente della Fédération Française de tennis dopo esser stato per un anno il mio partner di doppio. Mi diede subito assicurazione che avrebbe fatto in modo che il sepolcro venisse riparato. Aveva, anche, appeso sopra la scrivania un ritratto di Suzanne, eseguito dalla sua avversaria Helen Wills, la comprimaria di quello che fu chiamato, nel febbraio del ’26, il Match del Secolo e mi giurò che il prossimo secondo Centrale del Roland Garros, così come uno dei viali d’accesso, sarebbero stati dedicati a Suzanne. Appena rientrato a Milano mi diressi dal signor Erich Linder, il più importante agente non solo italiano, ma europeo. Fuggito dalla Polonia, aveva trovato un posto di editor da Mondadori, si era poi messo in proprio e, grazie ai miei zii adottivi Bassani e Soldati, aveva accettato anche me, definendomi «L’ultimo dei miei clienti». Dovetti spiegare al Signor Linder chi fosse Suzanne, e aggiunsi che nessuno, in Francia, aveva pensato a dedicarle una biografia. «Chissà che interesse solleverebbe allora in Italia» osservò lui, per iniziare a scoraggiarmi. E, poiché aveva un’ottima cultura, continuò. «Non sarebbe meglio fare qualcosa di simile alla Ricerca del Baron Corvo di Symons, e incontrare una cinquantina di persone, magari importanti, tra quelli che hanno conosciuto questa tennista?». Per una caratteristica che è divenuta costante, non accetto i buoni consigli, utili, probabilmente, a migliorare la media dei frequenti insuccessi che ho raccolto nel corso della mia vita. Comunicai allora a Linder la mia decisione di ripercorrere i sentieri di Suzanne durante la sua vita, dalla natia Francia alla Grecia, dall’Inghilterra agli Stati Uniti e iniziai le conversazioni con chi aveva conosciuto Suzanne Lenglen, sui campi e soprattutto nella vita privata. Scoprii così che era forse stata la prima di un gruppo di giovanette che erano state avviate al tennis da padri che ambivano a riscattare la propria vita mediocre con i successi delle figlie. Visitai la sua villa a cento chilometri dall’abitazione parigina e il successivo appartamento a Nizza , dove trascorse gli anni della Prima guerra mondiale. Mi recai a Bordighera, per aver memoria del suo esordio, a soli tredici anni, nel 1912. Incontrai, a Londra, alcune anziane signore, avversarie a Wimbledon nel corso dei suoi sei successi in quel torneo, le cui gesta avevano addirittura spinto all’ampliamento dello stadio, e alla costruzione di un nuovo Centre Court . Partii infine per un lunghissimo giro negli Stati Uniti, attraversando più di venti città, nelle quali Suzanne si era esibita, nel 1926. Essa fu infatti la prima professionista nel tennis, prima addirittura degli uomini che vi giunsero soltanto cinque anni dopo, col grande Big Bill Tilden. Feci visita, infine, alla sua partner di doppio, Diddie Vlasto, che mi accolse in una sontuosa villa di Atene, nella quale era stata Dama di compagnia della Regina. Ero così giunto alla fine dei miei viaggi, dei miei settantuno incontri, e non mi restava che trasformare ricordi e interviste in un testo che consegnai a Linder. Dopo qualche mese ebbi conferma che il Grande Agente non si era sbagliato. Nessuno, in Italia, voleva la biografia che un ignoto giornalista sportivo aveva scritto su una dimenticata tennista francese. Non mi restava che tentare la strada della Francia, e provai l’umiliazione di chi non riesce a vendere gli elettrodomestici, sinché la biografia non fu accettata da un semisconociuto editore, Rochevignes, al quale ancora sono grato. Il volume suscitò qualche diffidenza nazionalistica; com’era mai possibile che un ignoto italiano si fosse permesso di scrivere sulla più grande tennista non solo francese, ma mondiale? Le recensioni giunsero solo da qualche collega del tennis, e insomma il libro ebbe breve vita. La mia vicenda con Suzanne continuò tuttavia grazie all’amicizia di un regista di Telepiù, Sergio Velli, che ci condusse a un documentario, e a miei successivi tentativi di fare del soggetto una commedia, che, nelle sue quattro versioni, fu messa sotto contratto e non rappresentata al Teatro Grace Kelly di Montecarlo, per un intervento di sua Eccellenza Il Principe Ranieri Terzo. Aveva dunque ragione quel grande agente di Linder? Avrei dovuto spendere meglio il mio tempo dedicandomi a match di calcio o di basket? Forse non del tutto, se La Divina fu ristampata in Italia da Corbaccio prima, da Fandango poi. E soprattutto se venne copiata una volta in Inghilterra, l’altra negli Stati Uniti, da due autori ben più noti di me, che evitarono addirittura di citarmi tra le fonti. Secondo l’antico detto: «Meglio derubati che ladri». Dopo questo elenco di informazioni, non posso non ritenermi più che giustificato dal mio amore per Suzanne, e dai mesi spesi con lei.

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Ma quale “vecchio”! Re Federer non abdica (Nicola Imberti, Il Tempo)

Per i suoi tifosi è «immenso», «ineguagliabile», «infinito». Per i detrattori, invece, è «finito». E, per accontentare tutti e due, Roger Federer si prepara a prolungare la propria carriera, sicuramente per un altro paio d’anni. È stato lo stesso svizzero ad annunciarlo. Giusto dopo essere stato sconfitto da Andy Murray nell’International Premier Tennis League, una sorta di supertorneo di esibizione. «Non è ancora finita. Facciamo qualche altro anno…». Dopotutto l’immortalità è caratteristica divina. E sono in molti a pensare che Roger sia ancora oggi un «dio del tennis». Ad agosto del 2016 avrà 35 anni. Perché mai Federer dovrebbe abdicare? Qualche numero. Attualmente è il numero 3 della classifica Atp. Nel 2015 ha vinto i tornei di Brisbane, Dubai, Instanbul, Halle, Cincinnati e Basilea. È arrivato in finale a Wimbledon, agli Us Open, a Roma, Indian Wells e alle Finals di Londra perdendo, sempre, con Novak Djokovic. Inoltre ha aggiunto al proprio curriculum il record di 1000 vittorie in carriera. Ad agosto del 2016 sarà alle Olimpiadi di Rio per giocare singolare (non ha mai vinto la medaglia d’oro) e doppio misto insieme a Martina Hingis, più vecchia di lui di un anno. Nel frattempo ha sostituito il suo allenatore Stefan Edberg con Ivan Ljubicic, e attende la stagione che sta per iniziare con l’entusiasmo di un ragazzino. «Ho organizzato tutto il 2016, fino alle Olimpiadi di Rio e oltre – spiega -. Non ho ancora piani per il ritiro, non ho una data precisa, anche se ciò renderebbe più facile la programmazione». L’obiettivo, oltre all’oro olimpico, è sicuramente quello di vincere un altro Slam arrivando a quota 18 totali, ma anche diventando il più vecchio vincitore dell’epoca recente (Andrè Agassi vinse gli Austrialian Open quasi 33enne). Lo sport ci insegna che non esiste un’età per andare in pensione e smettere di vincere. La speranza è che i prossimi anni non si trasformino, nonostante tutto, in uno stanco e triste tour d’addio.

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Federer dice addio alla terra. Giocherà solo il Roland Garros? (Piero Valesio, Tuttosport)

La notizia ufficiale è che Roger Federer non cesserà di giocare a tennis dopo le Olimpiadi di Rio, come in passato qualcuno aveva temuto. E pare che il cammino proseguirà ancora. Roger ha diffuso ieri le date del suo programma per il 2016, ma afferma di non aver ancora pensato al ritiro perché «ho ancora il sacro fuoco. Quando se ne andrà allora si sarà il momento di ritirarsi». Roger ha voglia di giocare e per questo continua e continuerà a giocare. Quindi, per la gioia di chi lo ammira, continua a occuparsi di ciò che sa fare meglio di ogni altro al mondo: giocare a tennis. Non fa parte di quella categoria di sportivi (non solo tennisti) che non riescono a ritirarsi perché non sanno assolutamente cosa faranno “dopo” e, soprattutto, cosa ci sarà “dopo”. Ecco quindi che Roger gioca più rilassato, infischiandosene se Djokovic gli è superiore nel conseguimento del risultato: questo è il sacro fuoco secondo Roger. Inoltre continuando a essere Roger Federer non solo lo svizzero fornisce linfa continua ai suoi progetti attuali, non ultimi quelli di beneficenza. Ma pure, un mattone dopo l’altro, costruisce il suo futuro. Perché al di là delle sue colonne d’Ercole ci sarà tutto, altro che nulla. Sarà lui stesso a decidere cosa pescare da quel mare magnum, di possibilità. Passando all’immediato, il suo planning per il 2016 ci ha provocato una bella scarica di brividi. Secondo quanto ha deciso Roger, in primavera resterà più di due mesi senza giocare. Chiuderà con Indian Wells e lo rivedremo in campo al Roland Garros. E Roma? Per ora nell’elenco il nostro torneo non c’è. E nemmeno Montecarlo. Da tale elenco emerge una scelta; abbandono la terra e riprovo a vincere Wimbledon. Infatti prima dei Championship il nostro giocherà a Stoccarda e Halle. Scelta che, vista l’età del nostro, potrebbe anche essere comprensibile. Occhio, però: le cose nell’arco dell’anno cambiano. Pure di tanto, talvolta. Già l’anno scorso la partecipazione di Roger agli internazionali pareva in dubbio: e poi ce lo siamo ritrovato gloriosamente in finale. Lui ha il sacro fuoco: e quando si parla di sacri fuochi quale luogo al mondo meglio del Foro Italico può esserne identificato come la sede naturale, pure in un anno olimpico?

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