È morto a 83 anni Alfonso Fumarola, grande inviato del Corriere dello Sport e del tennis

Editoriali del Direttore

È morto a 83 anni Alfonso Fumarola, grande inviato del Corriere dello Sport e del tennis

Un ex medico che aveva lasciato quella professione per la quale aveva tanto studiato per seguire il giornalismo sportivo vissuto attraverso una quindicina di Olimpiadi fra estive ed invernali. Con Gianni Clerici e Rino Tommasi un decano d’un giornalismo che forse non esiste più

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Era nato a Rimini il 1 settembre del 1932, Alfonso Fumarola, grande inviato del tennis e del nuoto – al Corriere dello Sport dalla fine del 1956 per una quarantina di anni – che ha lasciato ieri questo mondo terreno a 83 anni.
Ho conosciuto molto bene Alfonso, “Fum” per gli amici, l’ho sempre stimato tantissimo perché, oltre ad essere una gran brava persona, sempre super corretta – e vi posso assicurare che nel mondo dei giornalisti non ne ho poi conosciuti così tanti – era anche uno dei pochi giornalisti con una conoscenza davvero enciclopedica per tutti gli sport che aveva seguito con grandissimo scrupolo professionale. Era certamente un’eccellenza, un punto di riferimento in particolare per il nuoto e per il tennis, anche se pure negli sport invernali dopo tante Olimpiadi si era costruito una sicura competenza.
Seconda soltanto a quella maturata in una sua passione assolutamente unica, originale: quella per gli squali di cui sapeva di tutto e di più, razze, origini, sviluppo, storie e leggende, ed era instancabile nel raccontartele. Un’altra sua grande passione era per il cinema, non c’era regista e attore dagli anni Sessanta in poi su cui lui non ricordasse il film e la scena X per filo e per segno.
Aveva vissuto prevalentemente a Roma dove, conseguita la maturità classica, si era laureato in Medicina e Chirurgia. Aveva frequentato per cinque anni l’Istituto di Fisiologia Umana dell’Università, prima di seguire il mondo che lo aveva sempre affascinato di più, quello dello sport, in tempi in cui ancora il Corriere dello Sport credeva nella necessità di raccontare gli eventi sportivi con la competenza dei suoi inviati.
Il suo stile non era brillante, alla Clerici per intendersi, né così statistico-didascalico, alla Tommasi, ma i suoi articoli erano sempre documentatissimi, precisi, inappuntabili. Eppure era un maestro nella capacità di dettarli a braccio, con punti e virgole perfettamente al loro posto, nei tempi in cui il computer non esisteva, il fax nemmeno e da Wimbledon si trasmettevano gli articoli dettandoli agli stenografi “generalisti” che ascoltavano e ribattevano sui loro tasti articoli di politica internazionale come di sport. Fare lo spelling di tutti i nomi che si citavano, Gorizia, Empoli, Roma, Udine, Livorno, Ancona, Imola, Torino, Imola, Savona per dire Gerulaitis e non perdere né il filo del discorso, né il singolare o il plurale del predicato verbale da coordinare con il soggetto o i soggetti, con la giusta punteggiatura e sapendo che vicini alla dead line nessuno avrebbe poi avuto il tempo per correggerli, era un’impresa. Occorreva essere davvero bravi per non incappare in penose figuracce da analfabeti. Quando a Wimbledon le partite, come un famoso Panatta-Pasarell, finivano o venivano sospesi per oscurità oltre le 21 locali – le 22 in Italia – e i giornali che avrebbero aspettato anche ore più tarde per andare in macchina se l’articolo era di calcio, ma non invece per uno di tennis, Alfonso era uno dei più bravi a dettare subito il pezzo, senza una sbavatura, pur non avendolo scritto. A volte, diceva lui, “mi vengono perfino meglio di quelli per i quali ho avuto un mezzo pomeriggio per buttarli giù”.
Ricordo che aveva vinto due volte il premio USSI con inchieste originali sulle razze nello sport e sul rapporto dei risultati tra uomo e donna.
Uno dei libri sul tennis più interessante, ed utile, che sia mai stato scritto sul tennis, è stato quello che il presidente della Federtennis Paolo Galgani gli commissionò per celebrare il cinquantenario dei campionati Internazionali d’Italia.
252 pagine imperdibili che conservo come reliquia preziosa nella mia biblioteca tennistica, così come l’affettuosa ed immeritata dedica che mi scrisse il 4 maggio del 1993.
Con scrupolo certosino ricordo Alfonso andare alla ricerca di immagini storiche di 49 edizioni del torneo – dalle prime edizioni milanesi degli anni Trenta in poi – ripescandone i motivi, i fatti e i protagonisti principali.
Per noi colleghi era un amico con il quale era sempre piacevole uscire, andare a cena insieme – a Parigi, durante al Roland Garros, al Santa Lucia il proprietario del ristorante Mimmo – che ha tenuto appese alle pareti fotografie di tanti suoi celebr clienti, Clint Eastwood, Catherine Deneuve, Brad Pitt…ma anche Fumarola _   mi chiede sempre ancora di Alfonso, anno dopo anno…stessa cosa in un ristorante italiano di Laygon Street a Melbourne _  e “Fum” era un amico cui far ricorso ogni qual volta qualcuno di noi aveva un piccolo disturbo, anche il più sciocco malessere fisico: il dottor Alfonso era sempre, prima di tutto, un medico informatissimo su tutto, quasi che stesse ancora esercitando quotidianamente in un Pronto Soccorso. Sapeva tutto, era come avere un dizionario medico a portata di mano, con terapia e prognosi. Con lui che, non so più a quale incontro seguito assieme, ci aveva segnalato un match forse prossimo a concludersi”Siamo a due punti dal match”, era diventata poi abituale una gag che ripetevamo quasi ossessivamente ogni volta che, appunto, …eravamo a due punti dal match. Ci si rivolgeva tutti verso di lui e quasi all’unisono in più colleghi si ponunciava la fatidica frase: “Fum, siamo a due punti dal match”. E lui sorrideva bonario. Cose piccole, frammenti di ricordi, si vive anche di questi.
Dacché era andato in pensione Alfonso si era innamorato della “sua isola”, Pantelleria, dove era andato a vivere quasi in pianta stabile alla morte della moglie, per stare vicino anche al fratello e al mare…forse nella segreta speranza di incocciare in qualche squalo che avrebbe saputo riconoscere a miglia di distanza.
Ci mancheranno le sue dotte disquisizioni, la sua memoria disumana che non trascurava nei suoi racconti i dettagli più particolareggiati…che noi sadicamente provavamo spesso ad interrompere sperando di fargli perdere il filo, ma lui imperterrito proseguiva ed arrivava sempre in fondo. S
Ebbe la grande soddisfazione di vedere i suoi figli abbracciare a sua stessa adorata professione, quella del giornalismo, Guido alla Rai – dove era stata anche la moglie di Alfonso, una bellissima donna davvero in gamba (Scherzavamo sempre con Fum, prendendolo in giro e  dicendogli: “Ma come hai fatto a conquistarla? Non certo parlandole degli squali!”)– al Televideo, e Silvia a La Repubblica…e ricordo ancora come fosse orgoglioso dei primi articoli di Silvia, quando non ancora assunta, le pubblicarono i primi pezzi che lui ci mostrava.
Ci mancherai caro amico, caro Alfonso. Che ti sia lieve la terra.

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