Roberta Vinci finalmente Top 10: storia di un treno che (non) passa una volta sola

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Roberta Vinci finalmente Top 10: storia di un treno che (non) passa una volta sola

Storia di quell’occasione imperdibile che ci dicono vada colta al volo, ché poi non torna più. Storia di chi non molla mai, insegue i propri sogni e non si lascia abbattere anche quando il traguardo d’improvviso si allontana. Storia di Roberta Vinci, di una top ten finalmente raggiunta, dell’essenza dello sport: mai smettere di crederci

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“È un grande passo per me e per il tennis italiano, è un sogno che diventa realtà. Ho sempre sperato di arrivare ad essere tra le più forti del mondo ed ora ci sono, ed è una cosa pazzesca.”

Sedici agosto duemilanove. Flavia Pennetta faceva la storia del tennis italiano. Con una vittoria ai quarti di finale del torneo di Cincinnati su Daniela Hantuchova, diventava infatti la prima tennista italiana ad infrangere il muro delle prime dieci giocatrici il mondo. Flavia Pennetta era la prima top ten che il tennis italiano conosceva.

In contemporanea, aveva inizio quello che è poi sarà il sogno più tormentato della carriera di Roberta Vinci, che con Flavia è cresciuta, ha giocato insieme fin da giovane, ha vinto anche il Roland Garros di doppio junior nel 1999: arrivare, anche lei, in top ten. Roberta deve infatti a Flavia – l’apripista di quella generazione aurea che ci ha dato tante soddisfazioni – la possibilità in principio di credere che fosse possibile arrivare tra le migliori al mondo.

Al tempo, a quel 16 agosto 2009, Roberta Vinci era però piazzata alla posizione 45 del ranking WTA, e mai si sarebbe sognata nemmeno di dichiarare la top ten come obbiettivo nel breve termine. Diversa però poteva essere la situazione l’anno dopo, nel 2010: Roberta chiudeva alla posizione numero 38, con la vittoria del terzo titolo a Lussemburgo, a sole una distanza dal suo best ranking di 37 raggiunto nel 2006, anno del suo primo exploit a livello professionistico.

“Comincio a sognare di entrare tra le prime 20 giocatrici del mondo” dichiarò all’indomani di quella vittoria. Roberta tenne i piedi per terra e tanto bastò per raggiungere questo primo obbiettivo modesto. Nel 2011 divenne la prima tennista italiana a vincere tre tornei in uno stesso anno e con i quarti raggiunti al torneo di Toronto divenne la numero 18 del ranking e coronò il nuovo record personale. Nel frattempo un’altra giocatrice raggiungeva un traguardo storico per il tennis italiano: Francesca Schiavone il 5 giugno 2010 vinceva il suo primo Slam, e primo anche per il tennis femminile italiano, a Parigi, baciando la terra rossa del Philippe Chatrier. Anche lei debuttava nella top ten mondiale, alla posizione numero 6. E così Francesca si accodava a Flavia: “Quando raggiungi i tuoi obbiettivi con consapevolezza, lavorando su chi sei e su quello che fai ogni in giorno della tua vita, riesci ad apprezzarlo molto di più.”

Rimasero allora Roberta e Sara Errani, che decisero di fare gruppo anche dentro al campo, in doppio. Quella squadra nel 2012 divenne numero 1 del ranking mondiale e vinse un Roland Garros. Quella squadra completò anche il Career Grand Slam e macinò molti altri successi, ma questa è un’altra storia.

“Mi dicono: giochi bene a rete quindi devi puntare sul doppio. Ma una ragazzina quando comincia sogna sempre di diventare qualcuno in singolare.” – Roberta non si dava limiti, era sì la numero uno del mondo in doppio, ma non si voleva confinare. Da quando “essere bravi a rete” voleva dire “dover puntare sul doppio”? Possibile veramente che questo dovesse essere un incentivo a specializzarsi e non uno stimolo in più per puntare sul singolare? E poi guardava accanto, alla sua compagna di squadra, che proprio quell’anno aveva deciso di voler fare anch’essa il salto di qualità, emulando Francesca e prima ancora Flavia. Sara Errani giocò uno splendido Roland Garros nel 2012 e conquistando la finale riuscì anche lei ad entrare nelle migliori dieci del tennis femminile.

Flavia, Francesca, Sara. Mancava solo lei. Mancava solo Roberta. L’anno prossimo, doveva essere il suo.

Gennaio 2013. Roberta aveva appena chiuso la stagione da top 20, alla posizione numero 16. Una nuova annata era in vista. “Cosa ne penso della top ten? Lo ritengo un obiettivo abbastanza difficile – rispondeva lei al primo torneo dell’anno – ma a nessuno è proibito sognare, soprattutto quando il sacrificio non fa paura, come nel mio caso”

Era l’anno dell’arrembaggio. Roberta aveva trent’anni, era nel pieno della maturazione tecnico-fisica e sentiva di avere le armi per potercela fare. Ad aprile si affacciò alla posizione numero 12 del ranking. Quando poi tutto sembrava fatto, al torneo di Wimbledon, dove un quarto turno le avrebbe garantito i punti necessari per arrivare alla posizione 10, allora Marion Bartoli decise di coronare l’edizione dei Championships più pazza della storia, vinse il titolo e soffiò così il posto a Roberta, che allora veniva a trovarsi alla posizione numero 11 con ben 3220 punti, suo nuovo best ranking.

“Cosa per me è più difficile tra entrare nella top ten mondiale del tennis e sposarmi? Abbattere il numero delle prime dieci sicuro…” – Roberta si godette le nozze del fratello, tenutesi nella stessa estate del 2013, che erano un’occasione in più per non pensare all’occasione sfumata. Passarono pochi giorni e un’altra ghiotta opportunità però le si faceva incontro. US Open 2013, Roberta giocò un torneo splendido e arrivò fino ai quarti di finale. Una vittoria soltanto la separava dall’ingresso tra le prime dieci. Era il classico treno che dicono passi una sola volta nella vita. E chi si trovò ad affrontare per centrare il traguardo? Scherzo del destino, Flavia Pennetta. Lei che del sogno top ten era stata l’ispiratrice. Lei, l’amica d’infanzia. Lei, che ha sempre avuto un feeling speciale con lo Slam di New York. Flavia vinse il match e volò in semifinale. Roberta dovette accettare la sconfitta. Il treno se ne andò.

“Sono dispiaciuta ma molto tranquilla perché spero di avere un’altra possibilità di raggiungere una semifinale e di entrare tra le top 10. Questa partita non mi butta giù perché sono sempre n.1 in doppio e n.12 del mondo in singolo. Ho mancato questa occasione ma non sono disperata perché ce ne sarà un’altra, lavoro per quello.”

Ma l’occasione non si ripresentò. Roberta avanzò di una posizione e cercò di chiudere l’anno in top ten. Alla fine scese alla quattordicesima posizione. Nel dicembre 2013: “La top ten l’anno prossimo? Restiamo positivi, ci proverò“. Ad inizio anno, a Sydney, veniva eliminata al primo turno da Sara Errani. Agli Australian Open, al primo turno da Zheng. Eliminata al primo turno anche dal torneo indoor di Parigi.
“La top ten la posso raggiungere l’anno prossimo, so che non sarà facile perché confermarsi ad alti livelli non è da tutti” – Roberta rimaneva positiva ma sentiva il peso di aver mancato l’occasione della vita, un 2013 passato a rincorrere, volatilizzatosi in un nulla. Un 2014 che non dava risposte, una crisi non di gioco, ma di fiducia, di energie, di autostima. La sensazione del fallimento che non voleva andarsene. Roberta vinse la sua prima partita ad Indian Wells e sfogò tutto il suo nervosismo e le sue frustrazioni in un pianto liberatorio.

Non bastò quella vittoria, a tirarla su. L’anno di Roberta fu disastroso. Da numero 12 del ranking crollò alla posizione numero 47. La top ten svanì. Mesi e mesi di sacrificio, di duro lavoro, premiati con cosa? Perse il treno che passa una volta sola, quello che ti saluta mentre corri in stazione per acciuffarlo in extremis, ma i vagoni hanno lasciato i binari e tu puoi solamente guardare che svanisce all’orizzonte e tirare le somme di quello che ti rimane: hai corso a vuoto. Il 2014 non è stato solo delusione però, c’è stata anche la vittoria di Wimbledon in doppio con Sara Errani e il riconoscimento di essere l’unica coppia italiana ad aver vinto tutti i tornei dello Slam in quella specialità. L’incontro con il Primo Ministro italiano, i festeggiamenti, e tutto quello che ne conseguì.

Di top ten non se ne è più parlato. Il doppio è stato la distrazione che ci voleva. Roberta aveva dato tutto quello che poteva al suo tennis, era comunque soddisfatta. Si avviava a vivere gli ultimi anni della sua carriera con serenità e senza porsi obbiettivi specifici. Ma.

Come in tutte le belle storie, o almeno in quelle che scelgono di raccontarci, c’è sempre un ma. E questo ma accadde l’11 settembre dell’anno successivo, il 2015. In quell’anno Roberta decise di concentrarsi solo sulla carriera da singolarista e abbandonò il doppio in coppia con Sara. A settembre arrivò alle semifinali degli US Open battendo avversarie alla sua portata e beneficiando del ritiro di Bouchard agli ottavi. E qui la fortuna finì di darle una mano. Il resto lo ha fatto lei, battendo in semifinale la numero 1 del mondo, Serena Williams, in corsa per uno storico Calendar Grand Slam nel torneo di casa sua, con quella che è stata senza dubbio la vittoria più clamorosa che il nostro sport abbia mai conosciuto. Non vinse la finale del torneo, ma non era una vera e propria delusione perché il trofeo andò a Flavia Pennetta in procinto di ritirarsi, e poi, in fondo, sapeva che tutti avrebbero ricordato la sua impresa.

“Io credo nel destino. Doveva succedere. In passato ho avuto ottimi risultati, non sono entrata nella top 10 però ci sono andata vicino, ma quella partita con Serena mi ha dato una soddisfazione maggiore forse proprio per quello.” – Roberta tornò in orbita top ten. Arrivò alla posizione numero 19 del ranking, con un salto dalla 47. Il sogno era ancora là. Matematici, statistici, giornalisti, appassionati di tennis iniziarono a fare i calcoli: “Quante sono le probabilità che Roberta Vinci possa davvero entrare in top ten? Loro scartano questi punti, lei difende solo quelli, lei è infortunata, Pennetta si ritira, ci sono le Olimpiadi, quest’anno è bisestile”… insomma, dacché sembrava tramontato, il sogno si riaccese in un lampo. Roberta dopo la vittoria con Serena Williams cambiò. Iniziò a giocare con una disinvoltura nuova. Mantenne il suo strepitoso stato di forma per il resto della stagione, chiudendo alla quindicesima posizione del ranking.

“Basta, porta una iella! Basta, non bisogna più nominare la top 10, tanto non ci entrerò mai! Ok? Puoi scriverlo, anzi, puoi scriverlo su Twitter, su Facebook, su Instagram, dove cavolo vuoi. Non entro in top 10, basta. Non entro in top 10, non vinco uno slam e non vinco le Olimpiadi, non vinco singolo, doppio e doppio misto, nemmeno la canoa! Cambio nazionalità e basta! Comunque a parte gli scherzi in top 10 non entro. Punto.”

Ma quest’anno non la ha fermata nessuno, nemmeno la scaramanzia. Roberta nel 2016 ha migliorato i punti conquistati nel 2015, sia a gennaio che a febbraio, dove ha vinto il suo primo torneo WTA Premier in carriera battendo in sequenza Ana Ivanovic in semifinale e Belinda Bencic in finale, in quella che per molti è sembrata una delle sue migliori partite in carriera. Il 15 febbraio ha raggiunto il suo miglior ranking in termini di punti, 3325. La settimana successiva, questa, ha avuto la certezza di entrare in top10 nel momento in cui Carla Suarez Navarro perdeva al torneo di Dubai prima delle semifinali, lasciandole il posto nell’élite del tennis mondiale. E, cosa curiosa, poco prima di lei, alla posizione numero 9, c’era Flavia Pennetta. Una vera chiusura del cerchio.

Roberta Vinci, a 32 anni (quasi 33, è nata il 18 febbraio), ha coronato la sua carriera da singolarista con uno dei traguardi più importanti, il sogno che ha covato per tutta la carriera; il sogno che aveva inseguito da sempre, che l’aveva sedotta, abbandonata, che s’era lasciato accarezzare più volte e poi si era dileguato. Quello che sembrava ad un passo, e poi è distato una voragine. Il sogno che in fondo è un po’ il sogno di tutti, quel traguardo impossibile che “cosa costa sognare?”, che impossibile non è, se non smetti mai di crederci. Quel treno che passa soltanto una volta sola nella vita. Quel treno che però non ha capito, ché se noi vogliamo, la strada ce la facciamo a piedi. Sarà più lunga, sì, e più dura. Ma vuoi mettere poi la sensazione?

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