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Paralleli: Gaudenzi e Alesi, non di sole vittorie vive un campione

Nella storia dello sport non sono sempre le vittorie a definire i protagonisti, a volte anche chi ha avuto una carriera da buon tennista o buon pilota, come Andrea Gaudenzi e Jean Alesi, lascia segni indelebili nel cuore degli appassionati, specie se le loro imprese sono state caratterizzate dalla voglia di vincere ad ogni costo

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Può essere sufficiente, per lasciare un vero segno nella storia del loro sport, aver catturato la simpatia del pubblico perché Gaudenzi e Alesi incarnavano alla perfezione lo sportivo perdente ma dalla gran classe e dal cuore infinito? Certo che no. Possono bastare alcune sporadiche vittorie o alcune prestazioni di grande valore che hanno entusiasmato i loro tifosi e che hanno rivelato il potenziale che promettevano? Nemmeno. Allora perché riservare per questi due gregari del tennis e della Formula 1 un posto di rilievo nella storia del loro sport? Per due imprese leggendarie, due rimonte impossibili da loro non raggiunte, solo sfiorate, ma comunque sufficienti per entrare per sempre nel cuore degli appassionati, a dispetto del deficitario numero di vittorie.

Milano, Forum di Assago, venerdì 4 Dicembre 1998, Finale di Coppa Davis Italia-Svezia
È in scena il primo match della finale di Coppa Davis tra Italia e Svezia. Gli azzurri, capitanati da Paolo Bertolucci, sono arrivati in finale grazie a due prove di sostanza a Genova contro l’India e a Prato contro lo Zimbabwe, prima di eliminare in trasferta gli Stati Uniti di Todd Martin sul cemento di Milwaukee, grazie all’acuto meraviglioso di Davide Sanguinetti, che nel secondo match ha battuto in tre set l’esperto e più quotato Martin.
Venerdì 4 dicembre 1998 l’Italia gioca la settima finale di Coppa Davis della sua storia, la prima in casa. Si sceglie un campo indoor in terra battuta per esaltare le qualità del nostro miglior giocatore, Andrea Gaudenzi, reduce da un delicato intervento alla spalla destra ma decisissimo a giocarsi l’atto più importante della carriera. Il primo match, tra il n.1 azzurro e il n.2 svedese Magnus Norman, ai tempi n.50 ATP, ha un’importanza capitale: quello successivo lo giocheranno Davide Sanguinetti, meno avvezzo alle superfici lente, e Magnus Gustafsson, n.1 svedese e 31 del mondo, ma ex top ten, molto forte sulla terra. Il giorno dopo sarà la volta di Gaudenzi-Nargiso contro Bjorkman-Kulti, un doppio fortissimo che unisce le grandi doti di volo di Bjorkman con la potenza del giovane Kulti. In entrambi i match, insomma, i pronostici sono nettamente dalla parte scandinava. Ecco perché conquistare il primo punto è vitale per tenere in piedi le speranze di vittoria. La partita appare da subito una lunga battaglia, che si deciderà verosimilmente dopo ore e ore di scambi massacranti. La tenacia del nostro non è inferiore a quella del giovane Norman: Andrea si è trovato due volte avanti di un set, prima 1-0 e poi 2-1, ma il coriaceo e talentuoso avversario lo ha ripreso e, sul 2 pari, schizza avanti 4-0. Sembra davvero finita, ma qui entra in scena il vero Gaudenzi. Il faentino, guerriero stoico e inesauribile, tira bordate da qualsiasi parte del campo, rincorre la palla fino ai teloni, si difende in modo pazzesco e Norman per fare il punto spesso deve tirare tre vincenti consecutivi. Andrea è prodigioso anche a rete, ad un certo punto realizza un volee in tuffo come faceva Becker a Wimbledon. Sul 5-3, annulla un match-point, poi al termine di un altro punto da tramandare ai posteri costringe lo svedese a un recupero impossibile che lo porta a terra, dalla quale si rialza con la maglia completamente ricoperta di mattone tritato. Tutto lascia pensare all’impresa, che prende sempre più corpo quando Gaudenzi, una volta agganciato l’avversario sul 5 pari, ha una palla sul proprio turno di servizio per portarsi avanti 6-5. Ace! Ma è questo il momento in cui Icaro si è avvicinato troppo al Sole: il tendine di Andrea cede, l’azzurro emette un disperato urlo di dolore, il pubblico che sta per saltare in piedi strozza in gola il boato di gioia. Dopo quasi 5 ore di battaglia, il tendine della spalla destra si è inesorabilmente logorato e ora è arrivato a rottura. I 15000 del Forum di Assago applaudono il loro campione, che riluttante alla realtà dei fatti, decide di continuare, tra l’ammirazione e lo stupore di tutti. Non c’è però più niente da fare, Gaudenzi spera in qualche modo di riuscire nel successivo turno di risposta a sorprendere Norman e compiere l’impresa, ma il futuro n.2 del mondo non si disunisce e raggiunge in quattro punti il 6 pari. Quando riprende a servire, il faentino non può praticamente fare più nulla e sullo 0-30, con grande dolore, è costretto a gettare la spugna, accompagnato fuori dal campo dai complimenti degli avversari, dal calore e le ovazioni del pubblico e dagli incoraggiamenti dei compagni di squadra, attoniti per un finale così tragico. Nel match successivo un frastornato Davide Sanguinetti verrà sormontato dai potenti dritti di Gustafsson e nel doppio del giorno dopo Nargiso e lo stesso Sanguinetti reggeranno un set, perso al tie-break, prima di soccombere e consegnare la Davis nelle mani del team svedese.

Proviamo ora a immaginare uno scenario differente. Milano, mercoledì 2 Dicembre: l’intero team azzurro ha sperato nel recupero di Gaudenzi, operatosi solo due mesi prima alla spalla destra, ma un n.1 al 60%, per quanto affidabile in Davis, non può bastare contro gli svedesi. Capitan Bertolucci sceglie un’altra strada: Gaudenzi rimane a casa, al suo posto è promosso titolare Gianluca Pozzi, n.2 azzurro con Davide Sanguinetti n.1. Tra tifosi e addetti ai lavori si moltiplicano le critiche verso il capitano, molti che fino al giorno prima spingevano per forzare il recupero di Gaudenzi piuttosto che osare l’incognita Omar Camporese (capace di tutto nel bene e nel male ma da molto tempo lontano dalla miglior condizione) ora acclamano a gran voce il nome del talentuoso bolognese. Sanguinetti però, pur su una superficie troppo lenta per esaltare le sue qualità, entra in campo decisissimo e mette subito pressione a Magnus Norman, n.2 svedese e n.50 del mondo (sebbene in rapida ascesa). Dopo cinque set tiratissimi, gli anticipi e gli scambi rapidi dello spezzino hanno la meglio sulla solidità e la potenza dal fondo dello svedese. Il pubblico è in visibilio, l’Italia è avanti 1-0 dopo la prima partita. Tocca ora a Gianluca Pozzi, chiara vittima sacrificale del potente e coriaceo del n.1 svedese Gustafsson, n.31 ATP. Ma anche Pozzi, novizio in Davis ma dal carattere e dall’esperienza assicurati, vende carissima la pelle. Col suo gioco un po’ retrò, fatto di smorzate e palle corte, manda spesso fuori giri il solido avversario e il Forum di Assago si entusiasma: il primo set è azzurro! Alla distanza, però, la potenza e la costanza dal fondo dello svedese hanno la meglio e l’ottimo Gianluca si deve arrendere. Italia e Svezia chiudono la prima giornata sull’1 pari. Il giorno dopo Sanguinetti e Nargiso si battono come leoni, ma l’esperienza e le abilità di volo di Bjorkman e la potenza di Kulti sono superiori: il match si chiude 7-5 al quarto set, tra gli applausi carichi di ringraziamento e delusione per gli azzurri del pubblico milanese. Si arriva alla domenica conclusiva sul 2-1 Svezia. L’ultimo giorno si apre tra la tradizionale sfida tra i due n.1, Davide Sanguinetti e Magnus Gustafsson. Il giustiziere di Todd Martin a Milwaukee non sembra a suo agio come nei due giorni precedenti, cede netto primo e secondo set a un Gustafsson semplicemente perfetto, in grado di sfruttare al massimo i rimbalzi alti che superficie e palline garantiscono al suo già devastante dritto. Dopo poco più di un’ora, la Svezia è avanti 6-3 6-2 e sembra finita. Qui, la sorpresa di Wimbledon (quell’anno Sanguinetti a Church Road si issò fino ai quarti di finale) ritrova smalto e orgoglio, cambia completamente volto al match alternando serve&volley, chip&charge e continue smorzate, vince netto il terzo parziale 6-1 e arriva al tie-break del quarto set. Qui, mentre il pubblico del Forum sogna un giusto epilogo al quinto, sono sufficienti due errori di misura di Davide (un dritto lungo linea largo di un niente e una stop-volley mal riuscita) per consegnare match e insalatiera ai meritevoli giocatori svedesi. Sugli spalti la delusione è coperta dagli applausi del pubblico di Milano, orgoglioso del coraggio e del valore dei propri giocatori.

Tutto bellissimo, romantico, ma non epico. La realtà invece epica lo è stata decisamente, anzi mitologica: anche se a qualcuno queste righe sembreranno un esercizio retorico, qui siamo di fronte a un atleta che ha coscientemente messo a rischio la propria carriera pur di vincere il match più importante, per sé e per l’Italia. A ben guardare, un atto che non ha niente di divino, ma molto delle migliori qualità umane e sportive: coraggio, tenacia, capacità di soffrire e attaccamento alla squadra. Ecco perché chi ama il tennis e la Coppa Davis non può non amare Andrea Gaudenzi. Allo stesso modo, chi è appassionato di Formula 1 e ha il cuore che batte per il Cavallino di Maranello non può non provare quantomeno grande simpatia per Jean Alesi.

Suzuka, 29 Ottobre 1995, Gran Premio del Giappone di Formula 1
Abbiamo già descritto le prodezze e le sventure di Alesi nell’amata Monza, ma la gara che meglio lo rappresenta è indubbiamente il GP di Suzuka del 1995. Jean è alla sua penultima apparizione in Ferrari, l’anno successivo approderà alla Benetton di Flavio Briatore. Davanti a tutti sulla griglia di partenza, la stessa Benetton di Michael Schumacher, accompagnato in prima fila dalla Ferrari del francese di Avignone. Il giorno della gara la pista è molto umida per la pioggia caduta in mattinata, aspetto che favorisce l’attitudine di Jean alle piste bagnate. Luce verde e il tedesco, già campione del mondo, prende il comando della corsa. Alesi viene subito sanzionato per aver anticipato la partenza (i commissari di gara giudicano la sua vettura di qualche centimetro oltre la linea di partenza) e al terzo giro è costretto a scontare 10 secondi di stop&go ai box, dai quali torna in pista in decima posizione. Sembra l’ennesima gara compromessa, ma al settimo giro Jean ha l’intuizione del fuoriclasse e cambia per primo le gomme, facendosi montare le gomme da asciutto visto che il tracciato, sebbene ancora umido, sta iniziando ad asciugarsi. Al ritorno in pista le sue abilità nella strategia e nella guida con gomme slick su una pista per lunghi tratti ancora bagnata sono premiate da un tempo di 5 secondi inferiore a quelli che sosteneva prima del cambio gomme! Migliora costantemente il suo tempo e in dieci giri si riprende la seconda posizione sorpassando la Williams di Hill. In un terzo di gran premio, il ferrarista ha di fatto annullato la pesante penalità scontata a inizio gara e si butta indiavolato all’inseguimento di Schumacher, ormai convinto di condurre una gara di assoluta tranquillità. Eloquente il commento del telecronista RAI davanti alla TV: “Formidabile: Jean sta dominando, Schumacher ha ancora un buon margine di vantaggio, ma sa che non può sbagliare niente, altrimenti è fritto”. Ma ecco, ancora una volta, gli Dei della velocità intervenire spietati a condannare la classe e la volontà di Alesi. Al 25° giro, quando il vantaggio del tedesco si è assottigliato a sei secondi, la Ferrari del francese è costretta al ritiro per un guasto all’albero di trasmissione. La gara del pilota Ferrari è stata talmente al limite da dividere commentatori e appassionati, tra chi giudica una condotta del genere inevitabilmente destinata a ripercuotersi sulla resistenza della monoposto e chi, come il Campione del mondo del 1980 Alan Jones, elogia la corsa come “una delle più grandi nella storia della Formula 1”. Comunque la si giudichi, una gara senza calcoli e col cuore oltre l’ostacolo, una gara alla Jean Alesi: a ben guardare, il modo più bello e personale per lasciare la Ferrari.

Andrea Gaudenzi a Milano nel ’98, Jean Alesi a Suzuka nel ‘95, due eroi che ci regalarono due rimonte talmente inimmaginabili, talmente fuori dalle capacità umane, che gli Dei chiesero il conto ai due mortali, nemmeno troppo vincenti, che vollero a loro paragonarsi: Alesi fuse la Ferrari, Andrea il suo fisico e le rimonte passarono alla storia come due splendide incompiute, forse paradossalmente ancora più belle proprio per questo, per quanto dolorose e deludenti, nelle quali due uomini toccarono il cielo, seppure solo per un istante, incarnando al meglio i valori dello sport. Perché non è solo dal numero di vittorie che si misura il valore di un campione, ma anche dalle pulsazioni che le sue imprese hanno suscitato nei cuori degli appassionati.

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