Federer e Leopardi: così lontani, così vicini

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Federer e Leopardi: così lontani, così vicini

A metà tra realtà e fantasia, un (in)verosimile paragone tra due personaggi, Roger Federer e Giacomo Leopardi, che hanno saputo (e tuttora sanno) influenzare la nostra spiritualità, chi con la penna, chi con la racchetta. Possa il naufragar esservi dolce in questa… lettura!

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Il seguente articolo assume probabilmente le tinte dell’ossimorico, del paradossale, ed è frutto di un moto emotivo. Un articolo di giornale dovrebbe avere il vero come oggetto, perlomeno stando alla deontologia professionale, ma in verità quanto segue non si sa se esponga una verità ben “cogitata”, o se sia solo frutto di un trasporto sentimentale. Ci sono forte ragioni per ritenere vera la seconda ipotesi. Ad ogni modo, di due personaggi così diversi come il poeta recanatese ed il tennista basilese, tratteremo dei punti in comune. Però, meglio partire dalle enormi differenze.

Per usare uno slang giovanile, fondamentalmente Federer è un “figo”, mentre Leopardi è uno “sfigato”.
Lo svizzero ha avuto, se non proprio tutto, perlomeno moltissimo dalla vita: centinaia di milioni di dollari in banca, successo nel lavoro, ed una famiglia numerosa. Leopardi ebbe un’esistenza tormentata da malattie, imposizioni familiari (famiglia fra l’altro in decadenza economica) e scarso riscontro del proprio lavoro, sia in termini di fama che in termini di denaro, nonché un discreto numero di delusioni amorose. Federer ha costruito in buona parte la propria carriera su quello che sembra un talento innato, mentre Leopardi arrivò alle proprie vette poetiche dopo anni, scusate l’abusata citazione, di “studio matto e disperatissimo”. Non si vuol certi dire che di solo talento vive Federer, tant’è che altrettanto abusata è l’abitudine di ricordare la sua “trasformazione”, ma appunto è sempre sembrato che la parte innata, quella fornita dal buon dio, sia stata preponderante.

Sembrerebbero, quindi, questi due personaggi, agli antipodi, uno baciato dalla fortuna, l’altro relegato negli abissi della sofferenza. Tuttavia, se doveste fare il nome di un poeta e di un tennista che hanno saputo coniugare classicità e modernità, razionalità ed emotività, chi indichereste? Come Federer sa mettere in campo un tennis classico nello stile e moderno negli schemi, così Leopardi seppe riadattare la propria formazione neoclassica ai contenuti romantici dominanti all’epoca.
Chi poi può essere definito più eclettico di Federer e Leopardi? Federer detiene il record per tornei vinti in base alle superfici diverse, avendo vinto su erba, cemento (Rebound Ace, Plexicushion e Decoturf le principali varianti, Indian Wells e Miami utilizzano altri cementi), sintetico, terra rossa e terra blu. Leopardi ha saputo prodursi in diversi ambiti letterari ed adattare il proprio stile a seconda delle circostanze, passando da lunghi canti a brevi idilli (dei quali il celeberrimo “Infinito” fa parte), nonché ad opere in prosa, mutando di volta in volta lessico e metrica (l’uso del lessico dell’indefinito nell’Infinito, la sintassi spezzettata di “A me stesso” nel ciclo di Aspasia) come mezzi di espressione di diversi stati d’animo, nonché di comunicazione di diverse illusioni.

Si può notare una certa affinità nei due caratteri nel titanismo, con Federer che è il giocatore con meno ritiri a partita in corso della storia del tennis Open, mentre Leopardi il termine “titanismo” l’ha proprio coniato, o quantomeno ridefinito, come scelta esistenziale di resistenza alla natura matrigna crudele che sovente appare nelle sue opere.

Infine, i due personaggi possono essere considerati degli alfieri della propria disciplina in tempi in cui nella propria patria le loro arti erano in declino: nel caso di Federer, si può addirittura dire che abbia fatto nascere la passione per il nostro gioco in Svizzera, che storicamente occupava una posizione di scarso rilievo nel tennis, considerato che fino al suo avvento solo l’exploit di Marc Rosset a Barcellona 1992 aveva dato alla terra elvetica gloria internazionale, mentre Leopardi, seppure non immediatamente, seppe dare nuovo lustro alla letteratura italiana, che non era più la predominante a livello europeo.

Ma se questi due personaggi sono diventati leggendari, chi fin da subito come Federer, chi in maniera postuma come Leopardi, è soprattutto grazie allo stile che hanno saputo imprimere al loro sport/arte (che poi il tennis, se giocato alla Federer, è anche un po’ arte), stile che li pone contemporaneamente all’avanguardia e classicamente controcorrente. Se Federer può essere considerato un compendio di tecnica ed estetica tennistica, con il suo dritto potente e preciso, il suo servizio giocato con pari efficacia in tutti e quattro gli angoli, il suo rovescio magari piuttosto falloso ma comunque una delizia per gli occhi e per alcune splendide volée giocate anche in punti decisivi; così Leopardi, grazie agli studi di molte lingue, tra cui greco, latino e forse anche ebraico, ha saputo esprimere il proprio pessimismo estremamente razionale con un linguaggio raffinato e che è una delizia per gli occhi e le orecchie di legge o ascolta. Insomma, Federer e Leopardi, in conclusione, hanno saputo dividere gli animi degli analisti e degli appassionati, fatto che, per dirlo alla Oscar Wilde (“Bene o male, purché se ne parli”) li rende importanti, e hanno saputo produrre una sublimazione dello spirito che pochi altri personaggi sono riusciti ad ottenere.

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