(S)punti tecnici della settimana: il ritorno di Rafael Nadal (e del suo dritto)

(S)punti Tecnici

(S)punti tecnici della settimana: il ritorno di Rafael Nadal (e del suo dritto)

Dopo tanti mesi, si è rivisto un gran Rafael Nadal. E soprattutto, si è rivisto il suo gran dritto mancino

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Uno dei giocatori che “rende” di più visto dal vivo e da vicino, rispetto alla televisione o anche alle tribune degli stadi di tennis, è il fuoriclasse spagnolo Rafael Nadal. Lo spettacolo che offrono i grandi campioni a coloro che hanno la fortuna di guardarli giocare da bordocampo è sempre e comunque eccezionale, se osservati poi con “occhio tecnico” gli innumerevoli dettagli delle loro esecuzioni sono talmente tanti da rischiare di perdersi per ore solo a cercare di analizzare e capire una mezza rotazione dell’avampiede, o una variazione di pochi gradi nell’angolo del piano di impatto di un rovescio.

Negli ultimi anni, ho avuto il privilegio di poter condividere decine e decine di mattinate nei “courts” di allenamento con i migliori giocatori del mondo, a tre metri di distanza, a volte anche in campo con loro e i loro coach, sempre disponibilissimi e pronti alla battuta o allo scambio di idee e pareri sulla tecnica e sulla tattica. Esperienze impagabili anche dal punto di vista professionale, uno Slam vissuto così dal di dentro vale come dieci Scuole Maestri. La differenza principale rispetto al più asettico studio della tecnica diciamo “istituzionale” e teorico, è che l’approccio empirico – che più empirico non si può, più di così uno dovrebbe giocare al posto loro – all’analisi del tennis e del gioco dei più grandi, ti fa capire che alla fin fine quello che conta, anzi la sola cosa che conta, è il risultato.

Risultato inteso come efficacia dei colpi, come percentuale di riuscita, come rapidità di esecuzione. Ci sono quelli che amo definire “manuali dei fondamentali ambulanti”, perfetti e quasi scolastici nella loro tecnica esecutiva, parlo per esempio di Novak Djokovic, Roger Federer, più recentemente ottimi giovani come Dominic Thiem e Alexander Zverev. Sono quelli che un tecnico invita a imitare, in tutto o in parte, i cosiddetti “modelli di alta prestazione”. Dritto in open stance e presa western, e rovescio bimane classico di Djokovic, servizio e rovescio eastern a una mano di Federer (certo che ce ne sono di migliori, Wawrinka, Gasquet, eccetera, ma quello di Roger è il più imitabile, proprio perché più costruito con il lavoro negli anni, i colpi istintivi spesso non sono buoni esempi tecnici), e avanti così.

Ma proprio perché tanto “perfetti”, questi giocatori sono quelli che ti sorprendono di meno quando ti ritrovi a pochi passi da loro mentre si allenano o giocano. A livello pazzesco, con intensità ed esplosività incredibili, e precisione assurda, fanno però esattamente quello che uno si aspetterebbe. Novak colpisce elastico e leggero, ma contemporaneamente con una potenza che è difficile comprendere da dove arrivi, vista la costituzione non certo robusta e muscolata del serbo, Roger sembra un maestro di tennis, e come tale si muove e impatta, con la lieve differenza che non gestisce le pallette degli agonisti della SAT ma affronta catenate terrificanti, e altrettante ne spara, in apparente disinvoltura, come fosse la cosa più semplice del mondo.

Dopodiché, vai a vedere Rafael Nadal, e rimani a bocca aperta davvero. In particolare, per un motivo: il dritto. Tecnicamente, il famoso “reverse forehand” di Rafa, con finale in verticale, e conseguente produzione di migliaia di r.p.m. (giri al minuto) di rotazione in top-spin, è un colpo unico al mondo, ed è stato già abbondantemente analizzato dal punto di vista esecutivo e biomeccanico. Nessuna analisi, però, potrà mai rendere l’idea di cos’è vedersi arrivare un toppone a 140 chilometri all’ora e oltre 4000 r.p.m. dal vivo, da vicino, e a livello del terreno di gioco. Detta come va detta, se andiamo a scomporre il movimento dividendolo nelle sue componenti fondamentali, il caricamento (troppo basso), l’impatto (troppo arretrato), il follow-through (troppo strappato e non del tutto attraverso la palla), è difficile comprendere come Rafa non tiri un dritto dietro l’altro in tribuna. Ma mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, il risultato è uno dei drive più spaventosi della storia del tennis.

Quando vedi un giocatore piazzarsi bene dietro la palla, preparare in anticipo, scatenare con il timing perfetto la rotazione busto spalle, non ti serve nemmeno vedere quello che succede dopo per immaginare, prevedere, che sta per partire una gran botta. Allo stesso modo, quando si è abituati a cogliere i dettagli e il ritmo dello scambio, si riesce a capire con qualche frazione di secondo di anticipo se un colpo verrà fallito, o perlomeno non spinto e piazzato in modo ottimale, guardando i passi e gli appoggi, e l’asse di equilibrio. Con Rafa, al contrario, spesso è quasi impossibile. Lo vedi in arretramento, fuori equilibrio, e in ritardo nella preparazione: ok, pensi, se sei l’avversario, il punto è mio. E invece, di pura reazione e spinta di ginocchia, e velocità di braccio, parte l’uncinata a rientrare, che passa magari un metro e mezzo sopra la rete, per poi tuffarsi come una biscia incazzata verso il campo, velocità e rotazione al massimo, neanche fosse telecomandata. Assistere a una sessione di allenamento di Nadal sui recuperi e sui passanti di dritto, da vicino e di fianco, è una cosa assolutamente memorabile. Da una tecnica esecutiva solo apparentemente sgraziata Rafa produce dei missili talmente carichi che l’effetto ottico fa sembrare che la palla si allunghi nell’aria, diventando una scia gialla, e quando tocca il campo, dopo il rimbalzo scatta in avanti ancora più veloce, come avesse una molla incorporata.

Per parecchi mesi, questo incredibile e personalissimo “giocattolo”, con cui Nadal si è portato a casa 14 Slam, si era rotto. Poco profondo, poco carico, variazione in lungolinea praticamente dimenticata. Non so cosa non funzionasse, proprio perché tecnicamente il gesto e l’esecuzione in allenamento sembravano efficacissimi, mentre in partita le traiettorie si accorciavano di tre metri. A mio avviso, la questione era mentale più che fisica, e in quei casi c’è poco da fare, salvo continuare a lavorare e allenarsi, attendendo che ritorni la fiducia e la convinzione nei propri mezzi. E rimango anche convinto che il miglior Rafa, quello che su terra battuta faceva giocare tutti gli altri per il secondo posto, sia passato. In ogni caso, riavere un Nadal competitivo va considerato un regalo per tutti gli appassionati, esattamente come il fatto di avere ancora un Federer ad altissimi livelli. Novak Djokovic rimane favorito (e ci mancherebbe altro), ma i prossimi Masters 1000 su terra, e il Roland Garros, promettono di offrire un grande spettacolo.

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