Ricordi di un guerriero, Thomas Muster - Pagina 2 di 2

Personaggi

Ricordi di un guerriero, Thomas Muster

In attesa dell’avvio del Roland Garros, riviviamo le gesta e il ricordo di Thomas Muster, uno dei più grandi interpreti del tennis su terra battuta

Pubblicato

il

 

La sua preparazione fisica non era in discussione, i suoi colpi arrotati, sia il diritto che il rovescio monomane, gli davano sicurezza, il servizio mancino si rivelava a tratti insidioso da sinistra. Ma il gioco di volo restava grezzo, la propensione al rischio modesta, e spesso per conquistare un punto doveva prodursi in immani fatiche. In una simile condizione, chiunque si sarebbe rassegnato, convinto di aver sparato le migliori cartucce a disposizione, si sarebbe autoclassificato come ottimo giocatore certo, ma incapace di divenire grande campione. Non lui.

Da anni ormai Ronnie Leitgeb era al suo fianco. Fu l’ex giocatore polacco Fibak a metterli insieme. Non contento di aver trovato la ragazza ad Ivan Lendl, quella Samantha Frankel che divenne poi moglie di Lendl, nel 1984 agguantò Leitgeb e disse al giornalista Ronnie: “Voglio che tu sia l’allenatore di Thomas” per sentirsi rispondere: “Ma non ho mai allenato nel tennis in vita mia”. “Tu vieni a Kitzbuhel dove ci sarà anche Muster, e gli farai da coach”. E così fu, anzi Leitgeb fu molto, ma molto di più. Fu coach, fu manager, a volte quasi un fratello, per Muster. Perché il loro rapporto, pur tra alti e bassi, funzionò e durò. Nel 1995 Muster diventò quel mostro che è rimasto impresso nella testa di tutti i grandi appassionati che abbiano potuto vivere quel periodo. Ben spiegò al tempo questo cambiamento decisivo il nostro direttore Ubaldo, che ebbe modo di raccontare in suo pezzo come un giorno Thomas ebbe a dire a sé stesso: “Vuoi accontentarti di vivacchiare sugli allori, di continuare a raccogliere quel che hai sempre seminato, magari di portarti dietro la ragazza e prendere tutto con maggior distacco, oppure vuoi provare invece a rischiare il tutto per tutto, anche a costo di fallire, pur di tentare di salire più in alto? Più in alto in classifica mondiale, nella considerazione degli altri, di te stesso? E se provassi ad attaccare di più, a forzare di più da fondocampo anche a costo di sbagliare come non hai mai sbagliato, anche a costo di subire un’impasse, di perdere ritmo di gioco e continuità di risultati, di incrinare perfino la fiducia nelle tue capacità tennistiche?”. Dopo aver risposto di sì a se stesso, confidò i suoi propositi al fido Ronnie.

Ai propositi seguirono i fatti. Non passava settimana sulla terra senza che vincesse un titolo, o quasi. A Montecarlo arrivò con già tre titoli in tasca. Ma quel che accadde in quell’edizione del classico torneo del Principato è indimenticabile. Il primo flash nitido è quello della semifinale con il buon Andrea Gaudenzi, accolto da tempo nel clan Muster. Nel secondo set Muster era (o pareva??) stanco e disidratato al punto da dover morire sul campo, ma l’esperienza e la fatale sudditanza psicologica di Andrea lo condussero ad un 63 76;  il povero Gaudenzi era in vantaggio 5-2 nel tiebreak del secondo set, ma finì poi per cedere ed arrabbiarsi per le presunte recite dell’austriaco in campo, salvo poi tornare educatamente (come sua consuetudine) all’ovile dicendo “Non ce l’ho con Thomas, anche se lui faceva apposta a far passare tanto tempo tra un punto e l’altro. In campo non ci sono amici, tutti vogliono soltanto vincere”. Per Muster seguì notte di tregenda, con tanto di flebo all’ospedale Princess Grace di Monaco. Ma in mattina, la domenica l’annuncio: avrebbe giocato contro il signor Becker, alla terza finale a Montecarlo ed a quota zero nei titoli sul rosso. “Stamattina mi sentivo come uno che si sveglia dopo una colossale sbornia”, dirà dopo la finale. Come anni fa ricordammo in un articolo sul tabù terra per Becker, quel pomeriggio Bum Bum era ispirato come non mai, l’ancora vacillante Muster fu sommerso da aces, servizi vincenti, discese, volée. Ed eccolo Boris, avanti due set a zero. Un set, un solo maledetto set, e sarebbe stato il primo trionfo sulla terra. Ma la temperatura si addolcì, e Muster rinacque. Il tedesco cominciò ad essere invischiato nella ragnatela, le arrotate da fondo lo sbattevano sui teloni, cominciò a sbagliare, e più sbagliava e più si intestardiva a giocare da dietro, perché aveva la testa dura più del marmo, ma probabilmente non più di quella di Thomas. Becker, dopo aver buttato 6-1 il terzo set, nel quarto non solo arrivò al tiebreak, ma arrivò in questo a condurre per 6 punti a 4. Un punto dicasi un punto, ed era fatta. Servì e sbagliò la prima. Ed è qui, sulla seconda palla, che c’è tutto Boris Becker, tutta la sua cocciuta follia. Una seconda di servizio a 196 km orari. A 196, sì, avete capito bene. Lunga. Voleva concludere alla grande lo spaccone Becker? O gli dèi del tennis volevano ricompensare quell’austriaco coraggioso che 5 anni e mezzo prima colpiva dritti seduto su una specie di sedia rotelle dopo che un pazzo lo aveva investito a Miami? Non lo sapremo mai. Un minuto dopo, se ne andò anche l’altro matchpoint. E venticinque minuti dopo circa, lo svuotato (nella testa ancora prima che nel corpo) Boris cedette anche il quinto set per 6-0 alla belva Muster, risorto nell’incredulità generale. O Thomas è un grande attore oppure qualcosa di magico è accaduto durante la notte! E io non credo troppo alla magia”, questo il veleno che Becker emise per poi fare ammenda, mentre Muster ribadì la propria indole guerriera: “Il tennis mi piace soprattutto per questo: ci sono due uomini e una rete in mezzo, vince il più forte, non ci sono trucchi. Come nei vecchi duelli del Far West: il più pronto vince, l’altro muore”.

E Muster continuò a vincere: Roma per la seconda volta e, finalmente, il suo primo e unico titolo della Slam, quell’unico Roland Garros che si prese battendo Chang nettamente in finale. Paradossalmente forse, un ricordo più flebile di Montecarlo, anche se tecnicamente il più importante della sua carriera. Ormai era il Dio assoluto della terra, vinse quaranta incontri da febbraio a giugno 1995 sul rosso. Sull’onda dell’entusiasmo vince perfino un torneo su tappeto indoor a Essen in autunno. La cavalcata trionfale riprese nel 1996, che lo vide brevemente a febbraio ed in primavera perfino toccare il trono mondiale. Il ruvido terraiolo austriaco era arrivato sul tetto del mondo. Agassi, Sampras ed altri storsero il naso, non si poteva essere numeri uno vincendo solo sulla terra. Barcellona, Montecarlo, Roma, la conclusione naturale era il bis a Parigi. Ma un pomeriggio di fine maggio o inizio giugno 1996, lo shock fu grande. Quel genio estemporaneo di Michael Stich in una delle sue giornate di grazia aveva estromesso Muster in quattro set dal Roland Garros. Apparentemente Thomas reagì brillantemente, se è vero che dieci giorni dopo ottenne il suo più grande risultato sull’erba in carriera, arrivando a strappare un set in semifinale a Edberg al Queen’s. A Wimbledon invece non vinse mai un solo incontro. In realtà quel giorno a Parigi il lungo e graduale declino era cominciato. Un declino prima mentale che fisico o tecnico. Probabilmente Thomas non aveva più voglia di soffrire per essere il migliore, ma aveva ancora voglia di giocare, di competere. Da quel momento alla fine della sua carriera vincerà in tutto solo altri tre titoli sulla terra, mentre per paradosso ne agguanterà due significativi sul cemento nel 1997, a Dubai e Miami.

Il tennis stava gradualmente perdendo il grande Thomas Muster. Non Thomas Muster. Che continuò a giocare fino al 1999 a Parigi. Poi il silenzio, lo spazio per la sua vita privata, due matrimoni, due figli. Infine l’incredibile ritorno nei challenger nel 2010, con solo un paio di match vinti fino al ritiro definitivo dell’autunno 2011. Nel suo penultimo match in assoluto di fronte si trovò il giovanissimo connazionale Dominic Thiem, che lo battè. Un passaggio di consegne, anche se la strada che il giovane Dominc dovrà compiere per eguagliare il suo avo è molto ma molto lunga.

Nel 2015 Muster dichiarerà alla Gazzetta: “Dopo il divorzio (il riferimento è al primo matrimonio, quello australiano) sono tornato a casa, a Vienna, pesavo 99 chili e fumavo due pacchetti di sigarette al giorno, e ho ricominciato a giocare a tennis. In realtà non m’ero mai ritirato davvero, ero andato in vacanza. Ho ricominciato ad allenarmi 7 ore al giorno, ho giocato il Champions Tour, ma poi sono tornato sul circuito Challenger. Lo so, è stata una decisione totalmente folle, ma è stata grande, lo rifarei… Poi basta, perché non volevo passare per stupido, volevo mantenermi il rispetto per quello che avevo fatto prima e non togliere le wild card a qualche giovane”.

In definitiva, cari appassionati, quando qualcuno solleverà il classico tema dei più grandi di sempre sulla terra o dei più grandi lottatori e lavoratori della storia, beh signori, correte pure con il pensiero all’Orso di ghiaccio, al robot ceko o, ancor più ovviamente al fenomeno venuto dalle Baleari ma non dimenticatevi di quel guerriero austriaco, che seppe sconfiggere la sfortuna ed in parte anche sé stesso.

Luca Pasta

Pagine: 1 2

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement