Ricordi di un guerriero, Thomas Muster

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Ricordi di un guerriero, Thomas Muster

In attesa dell’avvio del Roland Garros, riviviamo le gesta e il ricordo di Thomas Muster, uno dei più grandi interpreti del tennis su terra battuta

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Pare ancora di sentirlo nelle orecchie quel ruggito secco che accompagnava quasi ogni suo colpo, soprattutto nelle fasi calde e decisive delle mille battaglie che ha combattuto. Era davvero un ruggito, il ruggito di un giocatore che avrebbe preferito esalare sul campo l’ultimo respiro, se l’alternativa consisteva nel perdere la partita che stava giocando. Di costui, lungi da noi oggi fare una mera cronaca della carriera, che chiunque può trovare sul web con poca fatica. Desideriamo invece essenzialmente evidenziare alcune delle sensazioni e delle immagini che egli ci ha lasciato.

Ebbene, è paradossale, dal momento che qui trattiamo di un tizio pronto a sfinirsi fino a che le gambe non gli si fossero piegate sul campo, ma la prima volta che Thomas Muster balzò davvero all’onore delle cronache del grande pubblico e non solo degli appassionati più attenti, egli non era nelle condizioni di muovere un solo passo né di alzarsi da una sedia a rotelle.

In una sera di fine marzo del 1989, il pubblico aveva assistito alla comoda vittoria contro Kevin Curren di Ivan Lendl, nella prima semifinale del torneo che tutti chiamavano “il Lipton”, dal nome dell’allora main sponsor del torneo di Key Biscayne, l’isola di fronte a Miami ancora oggi teatro della manifestazione. Ma l’attesa era tutta per la seconda semifinale, ed a ragione, perché fu un bellissimo match, nel quale il grande Yannick Noah dopo essersi portato in vantaggio di due set, dovette cedere il passo al quinto ad un giovane austriaco. Il ragazzo, nato nel 1967 a Leibniz, non era certo uno sconosciuto, visto che già a diciannove anni, nel 1986, aveva messo le mani sul primo titolo del circuito maggiore della sua carriera nel classico torneo sulla terra di Hilversum in Olanda, a cui ne aveva poi aggiunti altri quattro, sempre sul rosso, nel 1988. Ma nel 1989, questo cocciuto tipo aveva innestato un’altra marcia. Pensandoci bene, già a gennaio a Melbourne, questo ragazzo biondo si era permesso in semifinale di indurre il numero uno del mondo ad indossare per la prima volta in vita sua con regolarità un cappellino anti-sole. In semifinale infatti, sul centrale di Flinders Park, ora Rod Laver Arena, questo tizio aveva portato (non sulla prediletta terra per giunta) Lendl ad una stato di prostrazione fisica mai vista. Ivan vinse di mestiere in quattro set, ma le terribili ore in cui era stato ostaggio di quella belva, faranno sì che da quel momento non lasciasse più passare una sola assolata partita tra i canguri senza cappello. Adesso era in finale a Miami. La mattina dopo le semifinali, la trepida attesa delle finale di Key Biscayne fu freddata da una notizia impressionante e triste: Thomas Muster, non avrebbe giocato perché la sorte aveva deciso diversamente. Di ritorno dalla vittoriosa semifinale, nel parcheggio di un centro commerciale di Key Biscayne infatti, un genio ubriaco con la patente sospesa aveva pensato bene di investirlo guidando contromano, mentre Thomas stava armeggiando nel bagagliaio. Muster dirà poi di aver pensato che non sarebbe mai più stato in grado di camminare, ma di aver anche detto tra sé e sé “Grazie a Dio sono vivo”. L’autista dell’auto venne colpito ma non subì gravi danni, mentre il suo coach Leitgeb neppure urtato perché si trovava a fianco dell’auto. I danni furono ai legamenti del ginocchio sinistro, venne operato alcuni giorni dopo in Austria.

Per molto tempo quasi tutti dimenticarono il povero Muster. Fino a quando non fu diffusa una sua foto, non ricordiamo dove. Era seduto, ma si allenava: una gamba completamente fasciata, forse ancora ingessata, l’altra libera, le stampelle posate a terra, il braccio sinistro che colpiva un diritto quasi in allungo. Si era fatto costruire un trabiccolo incredibile per poter continuare a colpire la palla!

Nell’autunno del 1989 il quasi “silenzioso” ritorno, a Barcellona, dove perse 64 63 contro quell’altro ragazzotto austriaco, tale Skoff, un tipo iroso che ricordavo in una sua bella cavalcata fino alle semifinali a Montecarlo due anni prima. Vinse quindi il suo primo torneo fuori dalla terra ad Auckland nel gennaio del 1990. Ma soprattutto Muster sudava sui campi rossi di tutto il mondo, non disdegnando i challenger. A fine marzo, in Coppa Davis, l’Italia esaltata dalla vittoria di Cagliari contro la Svezia, siglata dalla mitica vittoria in cinque set del pazzo Canè su Mats Wilander, si presenta baldanzosa sulla terra indoor di Vienna. Ma non basta il talento di Paolino né l’inneggiare al suo turborovescio del buon Galeazzi per fermare Muster: una battaglia spaventosa vinta da Thomas in cinque set, nella bolgia del pubblico di casa. Ad aprile ecco Thomas nella finale di Montecarlo, ma il grande pubblico ancora lo snobbò gioendo per la vittoria del più elegante sovietico Chesnokov. A Roma però, per la prima volta tutti dovettero veramente fare i conti con Muster. In una delle semifinali, probabilmente la seconda, il dinoccolato ed esperto terraiolo equadoriano Andrès Gomez, semovente ma talentuoso, cercava con la potenza di far crollare un muro, ma il muro rimaneva in piedi. Era il muro che Thomas aveva eretto mattone per mattone nei mesi precedenti. Il nostro, non solo piegò Gomez nel tiebreak finale, ma il giorno dopo la fece pagare a Chesnokov a cui lasciò cinque game in tre set. Con Lendl assente ed ossessionato da Wimbledon, Edberg e Becker a disagio sulla terra, Muster pareva lanciato alla conquista di Parigi, ma forse gli dèi avevano deciso di dare un premio alla carriera al maturo Gomez. La semifinale di Parigi fu ben diversa da quella romana, e un Andrès ispiratissimo si vendicò in tre set per poi trionfare in finale rendendo amaro il battesimo del giovane Agassi nella finale di un major. Il 1990 proseguì per Muster su alti livelli, al punto che si inserì tra i magnifici otto del Masters. Certo, la rapidissima moquette di Francoforte non gli consentì di superare il Round Robin, ma il ragazzo che nella primavera del 1989 colpiva palle con una gamba immobilizzata l’anno dopo si era qualificato per le ATP Finals. Questo dato da solo fece capire una volta per tutte quale fosse la volontà di quest’uomo. Questa inarrivabile qualità l’avrebbe perennemente accompagnato negli anni successivi. Che non furono sempre facili. Perché il suo grande fisico e la sua ferrea determinazione si dovettero scontrare con periodi di appannamento e limiti tecnici ben precisi.

Se il 1990 lo vide terminare al settimo posto del ranking mondiale, la fine del 1991 lo trovò regredito al numero 35. Del 1991 s’impone un’unico flash: una finale furibonda vinta da Muster nel glorioso torneo di Firenze a giugno, una lotta al coltello con il connazionale Skoff. Ricordiamo ancora gli highlights all’interno della trasmissione ufficiale del circuito, “ATP Tour”, trasmessa da Telepiù, le grida guerriere dei due gladiatori, l’atmosfera sul campo tesa all’inverosimile. Una partita che proseguì negli spogliatoi, dove Muster avrebbe voluto rimanere solo con Horst allo scopo di dargli una bella lezioncina. La rivalità e l’antipatia tra i due fu un’altra costante leggendaria della sua carriera. Si conoscevano e giocavano negli stessi ambienti fin da piccoli. Horst non fu mai forte come Thomas, ma in numerose occasioni negli scontri diretti lo mise in difficoltà ed a volte prevalse. Il “più grande idiota nel tennis” (Ivan Lendl dixit) possedeva infatti anch’egli il suo bel caratterino, e quando in Davis giocavano sia lui che Thomas se ne vedevano di tutti i colori. Ma perfino Muster si scioglierà un giorno, parlando dell’eterno nemico. Il povero Horst se ne andò infatti prematuramente, per un arresto cardiaco, nel giugno del 2008, a quarant’anni, ad Amburgo, con Thomas che disse “è difficile capire perché una persona così giovane abbia dovuto morire. Mi ha sfidato e motivato per tanti anni”.

Il 1992 vide Muster vincere il suo primo titolo a Montecarlo ed altri due titoli sulla terra, il 1993 i titoli sulla terra furono sette, nel 1994 scesero a tre. Thomas si impose sempre più come l’operaio super specializzato del rosso, ma quando si trattava di mettere le mani sui bottini più preziosi, anche sulla terra, ci pensavano altri, cominciando da uno dei “figli” di Bollettieri, il fabbro yankee Big Jim Courier, per proseguire con l’ennesimo prodotto di livello sfornato dai spagnoli, Sergi Bruguera. Mancavano i grandi titoli, Montecarlo 1992 e Roma 1990 a parte. Muster si era assestato su un ottimo livello, era uno dei padroni della terra, alcuni titoli sul rosso erano garantiti, ma soprattutto nei grandissimi appuntamenti gli mancavano quelle caratteristiche di grandissimo campione necessarie per trionfare.

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