Personaggi
Ricordi di un guerriero, Thomas Muster
In attesa dell’avvio del Roland Garros, riviviamo le gesta e il ricordo di Thomas Muster, uno dei più grandi interpreti del tennis su terra battuta

Pare ancora di sentirlo nelle orecchie quel ruggito secco che accompagnava quasi ogni suo colpo, soprattutto nelle fasi calde e decisive delle mille battaglie che ha combattuto. Era davvero un ruggito, il ruggito di un giocatore che avrebbe preferito esalare sul campo l’ultimo respiro, se l’alternativa consisteva nel perdere la partita che stava giocando. Di costui, lungi da noi oggi fare una mera cronaca della carriera, che chiunque può trovare sul web con poca fatica. Desideriamo invece essenzialmente evidenziare alcune delle sensazioni e delle immagini che egli ci ha lasciato.
Ebbene, è paradossale, dal momento che qui trattiamo di un tizio pronto a sfinirsi fino a che le gambe non gli si fossero piegate sul campo, ma la prima volta che Thomas Muster balzò davvero all’onore delle cronache del grande pubblico e non solo degli appassionati più attenti, egli non era nelle condizioni di muovere un solo passo né di alzarsi da una sedia a rotelle.
In una sera di fine marzo del 1989, il pubblico aveva assistito alla comoda vittoria contro Kevin Curren di Ivan Lendl, nella prima semifinale del torneo che tutti chiamavano “il Lipton”, dal nome dell’allora main sponsor del torneo di Key Biscayne, l’isola di fronte a Miami ancora oggi teatro della manifestazione. Ma l’attesa era tutta per la seconda semifinale, ed a ragione, perché fu un bellissimo match, nel quale il grande Yannick Noah dopo essersi portato in vantaggio di due set, dovette cedere il passo al quinto ad un giovane austriaco. Il ragazzo, nato nel 1967 a Leibniz, non era certo uno sconosciuto, visto che già a diciannove anni, nel 1986, aveva messo le mani sul primo titolo del circuito maggiore della sua carriera nel classico torneo sulla terra di Hilversum in Olanda, a cui ne aveva poi aggiunti altri quattro, sempre sul rosso, nel 1988. Ma nel 1989, questo cocciuto tipo aveva innestato un’altra marcia. Pensandoci bene, già a gennaio a Melbourne, questo ragazzo biondo si era permesso in semifinale di indurre il numero uno del mondo ad indossare per la prima volta in vita sua con regolarità un cappellino anti-sole. In semifinale infatti, sul centrale di Flinders Park, ora Rod Laver Arena, questo tizio aveva portato (non sulla prediletta terra per giunta) Lendl ad una stato di prostrazione fisica mai vista. Ivan vinse di mestiere in quattro set, ma le terribili ore in cui era stato ostaggio di quella belva, faranno sì che da quel momento non lasciasse più passare una sola assolata partita tra i canguri senza cappello. Adesso era in finale a Miami. La mattina dopo le semifinali, la trepida attesa delle finale di Key Biscayne fu freddata da una notizia impressionante e triste: Thomas Muster, non avrebbe giocato perché la sorte aveva deciso diversamente. Di ritorno dalla vittoriosa semifinale, nel parcheggio di un centro commerciale di Key Biscayne infatti, un genio ubriaco con la patente sospesa aveva pensato bene di investirlo guidando contromano, mentre Thomas stava armeggiando nel bagagliaio. Muster dirà poi di aver pensato che non sarebbe mai più stato in grado di camminare, ma di aver anche detto tra sé e sé “Grazie a Dio sono vivo”. L’autista dell’auto venne colpito ma non subì gravi danni, mentre il suo coach Leitgeb neppure urtato perché si trovava a fianco dell’auto. I danni furono ai legamenti del ginocchio sinistro, venne operato alcuni giorni dopo in Austria.
Per molto tempo quasi tutti dimenticarono il povero Muster. Fino a quando non fu diffusa una sua foto, non ricordiamo dove. Era seduto, ma si allenava: una gamba completamente fasciata, forse ancora ingessata, l’altra libera, le stampelle posate a terra, il braccio sinistro che colpiva un diritto quasi in allungo. Si era fatto costruire un trabiccolo incredibile per poter continuare a colpire la palla!
Nell’autunno del 1989 il quasi “silenzioso” ritorno, a Barcellona, dove perse 64 63 contro quell’altro ragazzotto austriaco, tale Skoff, un tipo iroso che ricordavo in una sua bella cavalcata fino alle semifinali a Montecarlo due anni prima. Vinse quindi il suo primo torneo fuori dalla terra ad Auckland nel gennaio del 1990. Ma soprattutto Muster sudava sui campi rossi di tutto il mondo, non disdegnando i challenger. A fine marzo, in Coppa Davis, l’Italia esaltata dalla vittoria di Cagliari contro la Svezia, siglata dalla mitica vittoria in cinque set del pazzo Canè su Mats Wilander, si presenta baldanzosa sulla terra indoor di Vienna. Ma non basta il talento di Paolino né l’inneggiare al suo turborovescio del buon Galeazzi per fermare Muster: una battaglia spaventosa vinta da Thomas in cinque set, nella bolgia del pubblico di casa. Ad aprile ecco Thomas nella finale di Montecarlo, ma il grande pubblico ancora lo snobbò gioendo per la vittoria del più elegante sovietico Chesnokov. A Roma però, per la prima volta tutti dovettero veramente fare i conti con Muster. In una delle semifinali, probabilmente la seconda, il dinoccolato ed esperto terraiolo equadoriano Andrès Gomez, semovente ma talentuoso, cercava con la potenza di far crollare un muro, ma il muro rimaneva in piedi. Era il muro che Thomas aveva eretto mattone per mattone nei mesi precedenti. Il nostro, non solo piegò Gomez nel tiebreak finale, ma il giorno dopo la fece pagare a Chesnokov a cui lasciò cinque game in tre set. Con Lendl assente ed ossessionato da Wimbledon, Edberg e Becker a disagio sulla terra, Muster pareva lanciato alla conquista di Parigi, ma forse gli dèi avevano deciso di dare un premio alla carriera al maturo Gomez. La semifinale di Parigi fu ben diversa da quella romana, e un Andrès ispiratissimo si vendicò in tre set per poi trionfare in finale rendendo amaro il battesimo del giovane Agassi nella finale di un major. Il 1990 proseguì per Muster su alti livelli, al punto che si inserì tra i magnifici otto del Masters. Certo, la rapidissima moquette di Francoforte non gli consentì di superare il Round Robin, ma il ragazzo che nella primavera del 1989 colpiva palle con una gamba immobilizzata l’anno dopo si era qualificato per le ATP Finals. Questo dato da solo fece capire una volta per tutte quale fosse la volontà di quest’uomo. Questa inarrivabile qualità l’avrebbe perennemente accompagnato negli anni successivi. Che non furono sempre facili. Perché il suo grande fisico e la sua ferrea determinazione si dovettero scontrare con periodi di appannamento e limiti tecnici ben precisi.
Se il 1990 lo vide terminare al settimo posto del ranking mondiale, la fine del 1991 lo trovò regredito al numero 35. Del 1991 s’impone un’unico flash: una finale furibonda vinta da Muster nel glorioso torneo di Firenze a giugno, una lotta al coltello con il connazionale Skoff. Ricordiamo ancora gli highlights all’interno della trasmissione ufficiale del circuito, “ATP Tour”, trasmessa da Telepiù, le grida guerriere dei due gladiatori, l’atmosfera sul campo tesa all’inverosimile. Una partita che proseguì negli spogliatoi, dove Muster avrebbe voluto rimanere solo con Horst allo scopo di dargli una bella lezioncina. La rivalità e l’antipatia tra i due fu un’altra costante leggendaria della sua carriera. Si conoscevano e giocavano negli stessi ambienti fin da piccoli. Horst non fu mai forte come Thomas, ma in numerose occasioni negli scontri diretti lo mise in difficoltà ed a volte prevalse. Il “più grande idiota nel tennis” (Ivan Lendl dixit) possedeva infatti anch’egli il suo bel caratterino, e quando in Davis giocavano sia lui che Thomas se ne vedevano di tutti i colori. Ma perfino Muster si scioglierà un giorno, parlando dell’eterno nemico. Il povero Horst se ne andò infatti prematuramente, per un arresto cardiaco, nel giugno del 2008, a quarant’anni, ad Amburgo, con Thomas che disse “è difficile capire perché una persona così giovane abbia dovuto morire. Mi ha sfidato e motivato per tanti anni”.
Il 1992 vide Muster vincere il suo primo titolo a Montecarlo ed altri due titoli sulla terra, il 1993 i titoli sulla terra furono sette, nel 1994 scesero a tre. Thomas si impose sempre più come l’operaio super specializzato del rosso, ma quando si trattava di mettere le mani sui bottini più preziosi, anche sulla terra, ci pensavano altri, cominciando da uno dei “figli” di Bollettieri, il fabbro yankee Big Jim Courier, per proseguire con l’ennesimo prodotto di livello sfornato dai spagnoli, Sergi Bruguera. Mancavano i grandi titoli, Montecarlo 1992 e Roma 1990 a parte. Muster si era assestato su un ottimo livello, era uno dei padroni della terra, alcuni titoli sul rosso erano garantiti, ma soprattutto nei grandissimi appuntamenti gli mancavano quelle caratteristiche di grandissimo campione necessarie per trionfare.
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Flash
Nicola Pietrangeli riceve il “Premio Enzo Bearzot” alla carriera
Consegnato nel corso della cerimonia di venerdì al Maschio Angioino di Napoli, per la prima volta il prestigioso riconoscimento va a un atleta di un altro sport: “Un altro dei miei record” ha commentato Pietrangeli

Una lunga ed emozionante standing ovation ha accolto Nicola Pietrangeli sul palco della Sala dei Baroni presso il Maschio Angioino di Napoli. Nel corso della cerimonia di consegna del “Premio Enzo Bearzot”, che in questo 2023 è andato al tecnico del Napoli Luciano Spalletti, alla leggenda del tennis italiano è stato assegnato il Premio Speciale alla Carriera. Per la prima volta nella sua storia il ‘Premio Bearzot’ valica i confini del suo sport e viene assegnato ad un atleta non legato direttamente al mondo del calcio. “Un premio calcistico per la prima volta ad un atleta di un altro sport: un altro dei miei record!”, ha dichiarato Pietrangeli visibilmente commosso.
Gli innumerevoli trionfi, su tutti due edizioni del Roland Garros e degli Internazionali d’Italia, il fondamentale ruolo avuto nella trionfale edizione 1976 della Coppa Davis, il suo passato da calciatore e la capacità di conquistare il cuore degli appassionali; questi i motivi che hanno spinto la giuria a scegliere Nicola Pietrangeli per il prestigioso riconoscimento.
“Il più grande tennista italiano di sempre arriva alla soglia dei 90 anni anche con la soddisfazione di aver vinto da allenatore – o come si diceva un tempo ‘capitano non giocatore’ – il suo mondiale, portando in Italia nonostante le polemiche e i venti contrari la famosa Coppa Davis del 1976 – si legge nella motivazione. Uomo dai tanti talenti, Pietrangeli ha sempre intrecciato la sua vita con il mondo del calcio, allenandosi per anni e con buoni risultati con la Lazio e con la Roma. Soprattutto, nell’alternare le palle da tennis al pallone ha piazzato nei primi anni Cinquanta un colpo vincente, inventando con un gruppo di amici il calcetto e regalando così meritoriamente un’opportunità di fare squadra e sport a generazioni di appassionati dopolavoristi italiani”.
Istituito nel 2011 per onorare la memoria del commissario tecnico della Nazionale Italiana Campione del Mondo nel 1982 in Spagna, il ‘Premio Nazionale Enzo Bearzot’ -promosso da ACLI e FIGC, quest’anno anche con il patrocinio della FITP- viene conferito ogni anno al miglior tecnico italiano.
L’albo d’oro:
2011 – Cesare Prandelli
2012 – Walter Mazzarri
2013 – Vincenzo Montella
2014 – Carlo Ancelotti
2015 – Massimiliano Allegri
2016 – Claudio Ranieri
2017 – Maurizio Sarri
2018 – Eusebio Di Francesco
2019 – Roberto Mancini
2020 – Paolo Rossi (alla memoria)
2022 – Roberto De Zerbi
2023 – Luciano Spalletti
(comunicato stampa FITP)
Qua potete ascoltare una chiacchierata tra Pietrangeli e il direttore Scanagatta:
Ancora Nicola e Ubaldo in nell’intervista in occasione del torneo di Firenze:
L’arguzia di Nicola:
Congratulazioni a Nicola per il meritatissimo premio da parte del direttore Ubaldo Scanagatta e da tutta la redazione di Ubitennis.
Flash
Per Leylah Fernandez l’equilibrio è tutto nel gioco mentale del tennis
La giocatrice canadese avrà un ruolo di primo piano nel progetto sull’inclusività Come Play nato dalla partnership tra WTA e Morgan Stanley

di Andy Frye, pubblicato da Forbes il 6 marzo 2023
La stella nascente del tennis Leylah Fernandez ama ricordare agli appassionati e agli osservatori del tennis un particolare che è lampante per chiunque si guadagni da vivere in campo. Che il tennis è mentale quanto fisico.
“Io credo che, quando la mente decide, il corpo la segua”, ha detto la giocatrice canadese durante un’intervista la scorsa settimana. “L’aspetto mentale di questo sport è estremamente importante e sono estremamente fortunata. Cerco di godermi l’opportunità il più possibile.
Fernandez si è affacciata per la prima volta alla ribalta mondiale durante la finale persa agli US Open del 2021 e aveva fatto il suo debutto negli Slam all’Australian Open del 2020, che si è svolto tra la fine di gennaio e il primo weekend di febbraio 2020. Una settimana dopo quel primo grande debutto sul palcoscenico mondiale, Fernandez ha conquistato la più grande vittoria della sua carriera alla Billie Jean King Cup, battendo l’allora numero 5 del mondo Belinda Bencic nel turno di qualificazione.
Tuttavia, essendo una delle giocatrici più giovani del circuito, Fernandez afferma che nessun numero di ore in campo sia mai troppo, sia che si tratti di perfezionare il suo swing oppure di lavorare sulla forma generale. “Ho sempre voluto giocare a tennis (professionalmente) e non credo che questo sport abbia un impatto fisico negativo su di me”. Attualmente, la ventenne professionista WTA è classificata tra le prime 50, precisamente al numero 49 della classifica WTA. Ha anche in bacheca due titoli di singolare.
Alla fine della scorsa estate, la giocatrice canadese ha raggiunto il suo best ranking, al numero 13, dopo una serie di buone prestazioni, tra cui i quarti di finale raggiunti al Roland Garros del 2022. Sempre lo scorso anno anno fa ha vinto l’Abierto GNP Seguros 2022 a Monterrey, in Messico.
Fernandez, insieme a Coco Gauff e Qinwen Zheng, è una delle poche professioniste del circuito di età inferiore ai 21 anni. È forse per questo motivo che è stata scelta come portavoce principale nella nuova partnership della WTA con Morgan Stanley.
La scorsa settimana, la WTA e il gigante finanziario globale hanno annunciato una nuova partnership pluriennale per celebrare il 50° anniversario della WTA. L’associazione ha affermato in una dichiarazione che l’obiettivo della partnership consiste nell’evidenziare la crescente inclusività del tennis, nonché l’impegno nel far crescere la partecipazione delle donne al gioco.
“Con una visione condivisa per promuovere l’inclusività e ampliare l’accesso al gioco del tennis, entrambe le organizzazioni sono orgogliose di accelerare il loro impegno per promuovere il progresso delle donne nello sport”, ha affermato la WTA. Morgan Stanley diventa anche il partner di presentazione esclusivo dell’iniziativa Come Play della WTA, che propone programmi di tennis per incoraggiare le ragazze di tutte le età e abilità a condurre una vita sana e produttiva dentro e fuori dal campo.
Il programma Come Play fa leva sulla scelta da parte di Morgan Stanley di fare di Leyla Fernandez il suo Brand Ambassador in qualità di volto della pubblicità “See It To Be It” dell’azienda.
L’iniziativa ha lo scopo di ispirare i giovani a visualizzare il successo offrendo loro un modello con cui identificarsi.
“Sostenere la prossima generazione e dare a tutti una possibilità di successo sono impegni che condividiamo sia con Leylah che con la WTA”, ha affermato Alice Milligan, chief marketing officer di Morgan Stanley. “Questa nuova partnership rappresenta i nostri continui sforzi per aiutare le ragazze nello sport deltennis con gli strumenti vitali di cui hanno bisogno oggi per essere le nostre stelle di domani”. “Siamo veramente lieti di annunciare questa partnership con Morgan Stanley”, ha dichiarato il presidente della WTA, Micky Lawler. “Mentre ci sforziamo di creare un ambiente più diversificato e inclusivo per donne e ragazze, le nostre due organizzazioni non vedono l’ora di fare la differenza attraverso gli eventi della community Come Play durante l’HologicWTA Tour e nella creazione di contenuti che amplifichino questo importante messaggio”.
“Il tennis non è per sempre”, ha detto Fernandez parlando apertamente della sua carriera di atleta. Fernandez, che ha guadagnato poco più di 3,4 milioni di dollari in premi alla carriera dal 2019 ad oggi, ha affermato che, nonostante la sua giovane età, costruire la stabilità finanziaria è fondamentale. “Questa partnership darà ai giocatori fiducia, nell’educarci sulla stabilità finanziaria, e darà ai giocatori la fiducia di trovarsi in un ambiente stabile.
Inoltre, dopo lo sport e le nostre carriere, per aiutare i giocatori nel loro futuro.
In particolare, il programma Come Play invita le attuali giocatrici WTA, stelle in pensione e allenatori a partecipare a corsi di tennis e attività per ragazze al fine di “aiutare a costruire la prossima generazione di leader”, ha affermato la WTA.
L’iniziativa include anche l’alfabetizzazione finanziaria e le risorse di pianificazione per i giocatori, oltre a una serie di contenuti in eventi WTA selezionati e altro ancora.
Fernandez ha aggiunto di essere onorata di essere coinvolta nei continui sforzi della WTA per coinvolgere più ragazze nel gioco e di essere scelta come modello per i giovani interessati a questo sport.
Equilibrio: la chiave per un grande tennis?
La mancina, diventata professionista nel 2019, ha un bilancio impressionante di vittorie e sconfitte a partire da marzo 2023 con 130-82. Fernandez è anche un’appassionata tifosa di calcio e durante la nostra intervista dell’anno scorso ha dichiarato di essere cresciuta giocando a quello che il defunto Pelé una volta chiamava “o jogo bonito”.
Fernandez sottolinea anche che ha una vita al di fuori del tennis che, secondo lei, contribuisce al suo successo in campo. “Cerco di bilanciare un po’ la mia vita.Sì, gioco a tennis, ma sono anche una studentessa universitaria, e questo mi aiutato a separarmi dall’idea di essere solo una giocatrice di tennis”, ha aggiunto “Mi ha aiutato a rimettere a fuoco le priorità e a godermi le piccole parti della vita che non sono il tennis”.
Ma Fernandez riesce ancora a mantenere i rapporti con il suo primo altro amore sportivo, il calcio? “Sì, mi è permesso giocare”, ha detto, con un accenno di risata. “Sono fortunata ad avere allenatori che mi incoraggiano a praticare diversi sport.Diversificare aiuta nel tennis.Ogni volta che torno su un campo, tirare calci a un pallone con mia sorella aggiunge benefici al mio tennis”.
Traduzione di Alessandro Valentini
evidenza
Hantuchova: “Alcaraz di un altro pianeta, attacca come Federer e difende come Nadal”. Cervara: “È il Tyson del tennis”
Tra l’urgenza di paragoni sempre più arditi e statistiche strambe, la sintesi di Roger e Rafa, al secolo Carlos Alcaraz, non ha la risposta di Djokovic, di più: “Lui è la risposta”. Ma a quale domanda?

Il problema fondamentale è rappresentato da quei tre – Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic – e da quell’entità divoratrice di tutto a cui hanno dato vita nota come Big 3. Avercene di problemi del genere, si potrebbe obiettare, solo limitandosi a pensare a quanto hanno fatto per il tennis, aumentandone straordinariamente la popolarità.
Anche non considerando le generazioni di tennisti che prima tecnicamente, poi anche mentalmente, si sono ritrovate quasi senza possibilità di iscrivere il proprio nome sui trofei più importanti (quelli Slam, il cui peso è ancor più aumentato soprattutto nella considerazione dei tifosi proprio per “colpa” loro), pare che ormai nessuno possa tentare di emergere senza che “sì, ma alla sua età Roger serviva meglio, Nole aveva già vinto uno Slam mangiando pizze e Rafa non ne parliamo”.
Insomma, il problema è che quei tre non solo ti senti obbligato a citarli in ogni articolo (arrendendoti agli anacoluti), ma li devi battere sul campo, nei record di precocità, superare in classifica e spesso neanche questo basta perché l’avventato e inopportuno sfidante avrà senza dubbio avuto dalla sua una quantità industriale di circostanze favorevoli. E, come se non bastasse la pressione derivante dall’essere definito il nuovo Nadal/Djokovic/Federer a causa della disperata ricerca di un nuovo campione, allo stesso tempo lo sventurato in questione si sentirà dire con altrettanta veemenza che non vale metà della peggior versione di uno di quei tre. L’importante è che si facciano paragoni, poi tutto è permesso.
Tuttavia, c’è anche chi impara dai propri errori: in Spagna dicevano Munar el nuevo Rafa, dopo di che hanno imparato e quindi, quando Carlos Alcaraz (che entri, finalmente) aveva iniziato a farsi notare, c’era chi lo descriveva come il nuovo Roger. Così va molto meglio, bravi. Arriva però Daniela Hantuchova al alzare l’asticella. Al quotidiano francese l’Équipe, Daniela ha detto che “Carlos viene da un altro pianeta. Ha tutto. Mi sembra che abbia l’aggressività di Roger e la difesa di Rafa. Con la sua velocità e il modo di muoversi, riesce a giocare colpi che non credevamo possibili”.
L’ormai ex Carlitos (nel senso che è cresciuto, che adesso è Carlos o Charlie), avendo ancora un mese e mezzo da passare come teenager, non può evitare che, oltre ai paragoni, gli si cuciano addosso statistiche di precocità anche bizzarre, per esempio quella che lo nomina come più giovane realizzatore della tripletta IW, Miami, Flushing Meadows, impresa peraltro compiuta prima di lui dai soli Sampras, Federer, Djokovic e Agassi. Fantastico. Non è chiarissimo l’accostamento del Double allo US Open, però bello.
Di poco bizzarro c’è la sua vittoria a Indian Wells, dove colui che lo ha messo più in difficoltà è stato Jannik Sinner. Anche Griekspoor, restando aggrappato al proprio servizio, lo aveva trascinato al tie-break nel primo set, ma l’azzurro è riuscito a recuperare il break piazzando un parziale di 11 punti consecutivi e sembrava in grado di effettuare il sorpasso definitivo, anche perché il classe 2003 aveva perso confidenza con i colpi. Con la grafica in sovrimpressione che ratificava l’evidente differenza tra i dritti dei due contendenti (valutazione di 9,1 contro 6,4 a favore di Sinner), Alcaraz ha affrontato il set point contro dopo aver sbagliato proprio due dritti e pure comodi, annullandolo grazie alla smorzata di… dritto. Anche altri avrebbero forse provato il drop shot, probabilmente più alla ricerca di un timoroso asilo conseguente a quegli errori, ma non è il caso di Carlos che padroneggia quella soluzione, fa parte del suo vasto repertorio. Pur rifuggendo (invero senza difficoltà) la tentazione di suggerire chi alla sua età già possedeva un ampio baglio tecnico, resta il fatto che lo spagnolo è riuscito a vincere anche quel primo parziale e, alla fine, il suo percorso nel deserto è rimasto immacolato. Chi era stato l’ultimo a trionafre senza cedere set? Federer nel 2017, anche approfittando di un walkover. Per trovare chi aveva centrato quel risultato disputando almeno sei match, bisogna tornare indietro fino a Nadal nel 2007.
C’è per fortuna chi rimane fuori dal coro. È Gilles Cervara, l’allenatore di Daniil Medvedev, che lascia da parte i mostri sacri, ma solo quelli del nostro sport. “Alcaraz è il Tyson del tennis” ha… tracimato all’Équipe. “In alcuni momenti è capace di tirare dei ‘diretti’ con la racchetta. Ci sono stati colpi che hanno lasciato Daniil a dieci metri dalla palla, sferrati con potenza e velocità folli”
Difficile dire quanto ci abbia messo Medvedev del suo, ma nelle statistiche relative alla finale appare un numero enorme a dispetto di ciò che rappresenta: 0, come in “zero ace”. Pare che l’insieme “servizi neanche sfiorati dall’avversario” di Daniil non rimanesse privo di elementi dalla sfida contro Gilles Simon a Marsiglia nel febbraio 2020. Dopo una decina di giorni, (non solo) il Tour si sarebbe fermato – così, per dire. Di sicuro c’è che, in ventitré confronti, mai il Big 3 è riuscito in tale impresa contro Daniil, che ha chiuso così il contatore con un turno di anticipo, sfoderando contro Tiafoe l’ace numero 3.299 della carriera.
A proposito di contatori, durante la trasferta californiana Alcaraz ha messo a segno e superato la vittoria ATP numero 100, con un saldo positivo su tutte le superfici: 47-12 sulla terra battuta, 53-18 sul duro e – mettiamoci anche quella nonostante l’abbia appena respirata – 4-2 sull’erba. Con meno di due stagioni complete alle spalle sul Tour, vanta un bilancio indoor di 16-6 (mai aveva giocato al coperto a livello Challenger e ITF), mentre all’aperto si bea di un eloquente 88-26: se tutti sanno giocare bene a tennis in condizioni “asettiche”, Carlos dimostra con i numeri (oltre che con la finale del BNP Paribas Open) di saper gestire meglio di diversi colleghi il vento e le altre condizioni che si presentano nella maggior parte degli eventi del circuito. Ci affidiamo alla versione spagnola del sito atptour.com per aggiungere che, fra i tennisti in attività con almeno 20 incontri giocati, oltre al nostro protagonista solo in tre hanno un bilancio positivo contro avversari top 10. Ricorrendo a una finta preterizione, diciamo che non c’è bisogno di fare nomi: Djokovic, Nadal, Murray.
Carlos non ha (tecnicamente ancora) vinto il Sunshine Double, ma il trofeo di Indian Wells e quello di Miami sono già nel suo palmares. E – notizia inaspettata? – è il primo a vincerli entrambi da teenager. Per quanto riguarda specificatamente il titolo appena conquistato, è il secondo più giovane dell’albo d’oro, preceduto da Boris Becker. E, proprio quando si faceva ingenua strada l’illusione di poter completare un paragrafo senza essere costretti a evocare il mostro tricefalo, Alcaraz è il secondo teenager a vincere più di due Masters 1000. Il primo è stato…
… Rafa Nadal.
Non possiamo però non tornare a Daniela Hantuchova, che può continuare a lanciarsi nelle più spericolate iperboli, tanto ci aveva già convinti al “ciao”. L’ex numero 5 del mondo ha pochi dubbi su Carlos: “Porta il tennis a un altro livello, il che è pazzesco da vedere. Poco tempo fa, tutti di domandavano cosa sarebbe successo in futuro dopo Federer, Nadal e Djokovic. Credo che lui sia la risposta. Non c’è nulla di cui preoccuparsi”.