House of Murray style «Ho vinto perché prima ho imparato come si perde» (Crivelli), Pennetta, game over si cancella dal ranking «Mi godo la vita e l'amore» (Cocchi), Le regine sono fuori: Sharapova e Pennetta dicono addio ai Giochi (Mancuso), Murray e Hamilton il regno è più unito (Lombardo)

Rassegna stampa

House of Murray style «Ho vinto perché prima ho imparato come si perde» (Crivelli), Pennetta, game over si cancella dal ranking «Mi godo la vita e l’amore» (Cocchi), Le regine sono fuori: Sharapova e Pennetta dicono addio ai Giochi (Mancuso), Murray e Hamilton il regno è più unito (Lombardo)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

House of Murray style «Ho vinto perché prima ho imparato come si perde»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 12.07.2016

 

La Challenge Cup con il suo nome inciso per la seconda volta stavolta brilla di una luce diversa. Andy Murray è di nuovo campione di Wimbledon dopo tre anni e i giornali hanno messo tutti la sovracopertina con la sua fotografia, ringraziandolo per aver risollevato una nazione particolarmente ammaccata dagli eventi delle ultime settimane. Per lui, però, il trionfo sui prati più celebri e più nobili rappresenta finalmente la consacrazione, il superamento di quell’immagine di eterno secondo che lo ha accompagnato per quasi tutta la carriera, perché perdere 8 finali Slam su 10 prima di domenica sembrava una macchia incancellabile per quel ragazzo riccioluto sempre così competitivo da rompere decine di joystick quando non vinceva con il fratello Jamie alla playstation. Andy, nel momento della vittoria più bella ha ricordato quanto sia stato duro accettare certe sconfitte. «Ho perso le prime quattro finali giocate in uno Slam, e non nego che allora fossi preoccupato delle conseguenze di quelle sconfitte, ma poi è stato importante capire di non aver paura di cadere». Ce n’è una in particolare che ha fatto più fatica a metabolizzare? «La finale a Wimbledon con Federer del 2012: credo sia stata la sconfitta più bruciante della mia carriera. Nei giorni successivi, ero veramente abbattuto. Ma è da quel momento che ho compreso che dovevo accettare anche di perdere e creare tutte le condizioni per darmi una chance di vincere le sfide successive. E’ da lì che mi sono reso conto che ci può stare di non ottenere ciò che si vuole, l’importante è non avere rimpianti perché hai fatto tutto il possibile per riuscirci». Per questa ragione ha definito il successo di domenica più eccitante del primo di tre anni fa? «Allora mi ero tolto un peso, per tutte le aspettative che c’erano su di me, e forse non l’apprezzai fino in fondo. Ovviamente, non è che vai in campo pensando “ok, se perdo non è un problema”: la realtà è che devi imparare ad accettare le conseguenze della sconfitta. Ed io l’ho appreso nel corso di tutti questi anni». Ed è riuscito perfino a far piangere Lendl, alla fine… «Sta dicendo a tutti che le lacrime sono state la conseguenza di un’allergia, che ha la febbre da fieno…Non ci credo neanche un po’”- Però durante la partita, quando Ivan se ne è andito dal box alla fine del secondo set, lei è sembrato piuttosto contrariato. «Ero contrariato, è vero, ma non per quella ragione. Lui lo fa sempre, non so se sia una sorta di scaramanzia. Ma Ivan non c’entrava con la mia arrabbiatura di quel momento». Come avete festeggiato la vittoria? «Niente di particolare, ho condiviso la mia felicità con la famiglia e gli amici, per un paio di giorni starò soltanto con loro». Niente Coppa Davis nel fine settimana, dunque? «Ho parlato con il capitano Leon Smith, gli ho detto che preferirei non giocare. Però penso di andare lo stesso a Belgrado, a supportare i miei compagni anche se non dovessi scendere in campo». Ha parlato spesso, in questi giorni, dell’importanza di essere diventato padre. «E’ qualcosa che ti cambia la vita e le prospettive, ma incredibilmente la paternità, anziché toglierti la voglia di campo, ti dà ancora più motivazioni. Federer ha giocato alcune delle sue migliori partite dopo la nascita dei quattro figli, Djokovic da quando è papà ha alzato incredibilmente il suo livello». Cosa cambia nella sua carriera, adesso, con la seconda vittoria a Wimbledon? «Ovviamente sono molto carico, un successo del genere ti dà una spinta eccezionale per tutto l’anno e anche per le stagioni a venire, è chiaro che punto a vincere altri tornei dello Slam. Sono sulla strada giusta, credo che il mio tennis migliore sia davanti a me». E tra mese c’è anche l’Olimpiade di Rio, dove lei si presenta da campione in carica. «E’ un appuntamento che mi motiva molto, e non soltanto perché ho un oro da difendere. E’ un obiettivo a cui tengo molto, come gli Us Open».

 

Pennetta, game over si cancella dal ranking «Mi godo la vita e l’amore»

 

Federica Cocchi, la gazzetta dello sport del 12.07.2016

 

Il percorso è completato, il cerchio si è chiuso. Da ieri, Flavia Permetta è una «ex» giocatrice, il suo nome non compare più nella classifica Wta, il ranking mondiale femminile. Flavia si è cancellata, spezzando l’ultimo filo che ancora la teneva legata alla vita precedente, quella da giocatrice. Dopo lo straordinario successo in quella finale tutta italiana dello Us Open, Flavia aveva annunciato al mondo che era a posto così, era sazia, e si ritirava dal tennis professionistico. Da quel 12 settembre è stato tutto un susseguirsi di voci e speranze: torna per l’Olimpiade, torna in doppio ai Giochi, non torna, si sposa, fa un figlio. In tanti hanno provato a convincerla ad aspettare ancora un po’. Prima il papà Oronzo che le aveva messo in mano la racchetta da bambina, poi il presidente del Coni Giovanni Malagò, che sognava per lei un gran finale olimpico, ma Flavia aveva già deciso, ed era assolutamente certa e serena della propria decisione. Attesa. Solo ieri, però, Flavia si è cancellata dalle classifiche mondiali perché i Giochi, quelli olimpici, erano fatti. Perché di lei, che nonostante la decisione di lasciare era comunque rimasta a disposizione per un eventuale doppio a Rio, non c’era più bisogno. «Ho aspettato fino all’ultimo perché se ci fosse stato bisogno di partecipare al doppio, mi sarei resa disponibile. Roberta e Sara però si sono riunite e quindi tutto è sotto controllo, posso rilassarmi». Può dedicarsi alla sua vita nuova, a suo marito Fabio Fognini sposato a Ostuni 1’11 giugno, alle esibizioni e alla sua carriera di commentatrice televisiva su Sky. Ora c’è tempo solo per guardare al futuro, non alle classifiche: «Non le guardo da otto mesi, da quando ho detto che mi sarei ritirata, quindi non l’ho vista nemmeno senza il mio nome. A mio papà ha fatto un pochino più impressione, anche se sapeva che l’avrei fatto». Quindi ora il tennis resta nella sua vita in forma di esibizioni (a Umago la settimana prossima e a Milano a settembre) e da voce tecnica di Sky: «E’ stata un’esperienza bellissima quella in televisione – racconta – con Francesca ci siamo divertite da morire, non ci sembrava nemmeno di avere le telecamere davanti. Spero di continuare». AMORE La nuova vita da signora Fognini le piace molto, e c’è già chi scommette che prestissimo diventerà mamma. Ma la fretta di allargare la famiglia al momento non c’è: «Essere la signora Fognini mi piace molto, è una vita bella e spensierata. Piena d’amore. Al momento non abbiamo ancora in programma un bambino, per ora non è il nostro obiettivo primario. In futuro ci penseremo, ma ci vogliamo concentrare un po’ su di noi, sulla nostra vita di coppia e dedicarci del tempo». Divertiti, Flavia.

 

Le regine sono fuori: Sharapova e Pennetta dicono addio ai Giochi

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 12.07.2016

 

E’ un dopo Wimbledon un po’ nostalgico per il tennis femminile. Archiviato il trionfo di Serena Williams sui prati londinesi, ieri scorrendo il ranking settimanalmente diffuso dalla WTA per la prima volta non si legge il nome di Flavia Pennetta, che nella classifica diramata alla vigilia dei Championships era in 15.ma posizione. Vero che la 34enne brindisina aveva annunciato il ritiro dopo lo storico trionfo agli US Open. A New York, in quel magico 12 settembre, Flavia si era scelta il finale come solo i grandi dello sport sanno fare. Tuttavia fa un po’ tristezza non vedere più il suo nome nel ranking. Un mese fa Fabio Fognini l’ha portata all’altare, ora è una moglie felice e chissà che già non pensi ai figli (ha sempre detto che vuole una famiglia numerosa), ma in fondo nessuno aveva abbandonato una speranzella di vederla di nuovo in campo. Magari in doppio alle Olimpiadi, soprattutto dopo la scelta di Francesca Schiavone di rinunciare alla wild card che 11TF, la federazione internazionale, le aveva concesso per partecipare ai Giochi. Lo scorso aprile Flavia si è sottoposta ad un controllo antidoping a sorpresa come ogni giocatrice in attività, segno che forse una mezza idea di giocare in Brasile ancora le frullava per la testa. Ha invece presentato il Player Retirement Form durante il torneo di Wimbledon: niente più ranking, niente Olimpiadi ad agosto. A 10 mesi dall’annuncio, la sua carriera è formalmente finita ieri. MASHA RINVIATA Se la Pennetta ha deciso di non tornare sui propri passi, c’è invece chi, Maria Sharapova per la precisione, ai Giochi ci sarebbe andata a piedi. La 29enne russa pub mettersi il cuore in pace. La decisione del TAS, ente supremo della giustizia sportiva, sul ricorso contro la squalifica per doping di due anni per la positività al meldonium (la famigerata sostanza che sta travolgendo lo sport russo di vertice), è stata infatti rinviata al 19 settembre. Lo ha annunciato lo stesso tribunale in una nota proveniente da Losanna. La decisione sull’appello era prevista inizialmente per lunedì 18 luglio, ma entrambe le parti in causa (sia la Sharapova che 11TF) hanno chiesto più tempo per preparare memorie e deduzioni, rinunciando così alla procedura d’urgenza. Masha salterà quindi Olimpiadi e US Open. «II rinvio non avrà alcun impatto sulle nostre aspettative», ha sottolineato John Haggery, avvocato della russa. Evidentemente non credevano a una maxi riduzione della pena comminata in primo grado: per andare a Rio sarebbe servito uno sconto del 75%.

 

Murray e Hamilton il regno è più unito

 

Marco Lombardo, il giornale del 12.07.2016

 

Pensavano di essersela cavata grazie al valoroso popolo islandese. Altro che Brexit, di più: «L’Inghilterra è fuori dall’Europa». Poi arrivi a Londra e scopri che il calcio è solo un particolare e che la vera notizia è che il Regno Unito alla fine è sempre nello stesso continente. E, sportivamente parlando, è ancora più unito: perché se in politica le cose vanno un po’ così, gli eroi locali non hanno cambiato di una virgola il loro status. Andy Murray, per esempio, si è portato a casa il trofeo più amato, quello di Wimbledon, con il tifo del premier e dei principi tutti. E se a David Cameron ha riservato una battuta («II suo mestiere è ben più difficile del mio»), davanti a William e Kate si è inchinato come si conviene. Tenendosi stretto nelle braccia la coppa, perché va bene tutto ma tra scozzesi e inglesi un minimo di diffidenza resta. Nello stesso momento Lewis Hamilton stracciava tutti a Silverstone, il circuito di casa, sotto un’alternanza di sole e pioggia molto britannica. «Adoro questo tempo», ha detto alla fine il cavaliere della quattro ruote, ed in effetti ieri tutto girava bene, tanto da far dimenticare appunto la divisione popolare sulla Brexit. Remain o leave che sia, insomma, la Gran Bretagna va avanti come sempre, e non certo solo nello sport. Così magari la Signora Merkel, se mai si facesse un giro nella Tube, capirebbe che «mind the gap» non è solo un annuncio per evitare di scivolare, ma una vera e propria filosofia di vita. «Attenzione al divario»: un consiglio che potrebbe salvare l’Europa. E soprattutto una tecnica vincente.

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