Nato l'8 agosto. Tu chiedi chi era Roger Federer

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Nato l’8 agosto. Tu chiedi chi era Roger Federer

Il compleanno numero 35 del giocatore più amato di sempre cade in un momento particolare. Forse il 26 luglio del 2016 verrà ricordato come il giorno nero del tennis mondiale ma sbaglia chi pensa che Roger Federer sia stato solo un campione di tennis, perché il Re non sarà dimenticato

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La prima volta che lo vidi? Immagina i campi e immagina i fiori, pensa alle voci, pensa ai colori. Servizio esterno di quello che dicevano che era il migliore di tutti, mica lo sapevano che l’altro era diverso. Nessuno lo sapeva. Era un periodo in cui leggevo anche cinque romanzi contemporaneamente. Roba bellissima, mi trattavo bene. In certi periodi gli svedesi, forse un norvegese, Ellroy, Stephen King. Poi però presi la Recherche, come raccontarti l’impressione di uno schiaffo? come se stessi facendo un’altra cosa. C’erano gli scrittori e c’era Proust. C’erano i tennisti e c’era lui, la sua risposta di dritto, le prime lacrime. Ma chi era mai questo Roger?

Sono vecchio, subisco le ingiurie degli anni e forse è inevitabile che non sappia più distinguere il vero dai sogni, ma c’è un altro servizio esterno un rovescio che finisce in rete, ancora in ginocchio. Ricordo che il campo sembrava un’immensa pianura verde, che si estendeva fin dove l’occhio poteva arrivare. Lo so che è impossibile ma sono pronto a giurare che intorno non c’era nessuno. Era un luglio di fuoco, sembrava sentire l’eco di mille pensieri. Ma chi era mai questo Roger?

Camminiamo, stai ancora un po’ con me. Parlo piano? Ricordo un ace, ancora in ginocchio su quel prato verde. A volte cadeva la pioggia e ci si fermava, in attesa del sole. Perché mi fai ricordare? Mi fa male l’anima, a vedere come trovava improvvisamente lo spazio, arrembante, un servizio che non torna, un altro, i giorni sembrano sempre più brevi, uno smash, un rovescio che finisce fuori, uno dentro, i giorni corrono lontano.  Ma chi era mai questo Roger?

Fatico a spiegarmi le cose, i ricordi si fanno vaghi, le città non hanno mai fine. Il tennista si fece re lo guardavi e ti pareva sempre l’ultima volta, cominciavi a pensare che non l’avresti visto mai più, che non avresti mai visto quelle cose. E quelle cose non erano colpi da tennis, era non riuscire neanche a vivere il momento perché sapevi che l’avresti ricordato con le lacrime agli occhi. Sapevi che ti saresti sentito perduto quando lui non ci sarebbe stato più. Ma chi era mai questo Roger?

Una volta fece una partita. Un’altra volta ne fece un’altra e poi un’altra ancora. Un’altra volta vinse, poi perdeva. A volte erano solo colpi, ma non erano i colpi. Non lo sapevi cos’era. Come faccio a spiegarti le cose con le parole? Se perdeva ti sentivi tra le nuvole, se vinceva camminavi tra le onde di sole, se non giocava aspettavi, guardavi distrattamente. Crescevano i racconti, gli aneddoti, le spiegazioni. Questo colpo non si poteva fare, quell’altro non l’avevi mai visto, quell’altro ancora chissà se l’avevi visto veramente. Ma chi era mai questo Roger?

Ad un certo punto, sai, non era tanto il tennis. C’era il tennis e c’era lui, non capivi. Sono andato fino a Melbourne per capire, ma mi parlavano di altri giocatori, chiedevo e non capivo le risposte. Ma anche loro non capivano le domande. Scendeva la serata australiana e capivi se stava giocando senza neanche guardare fuori. Gli avversari non sapevano cosa fare, vincevano scusandosi, uno di loro, cortese, giunse al punto da non dico odiarlo, non si usa, ma di batterlo e batterlo chiedendo scusa. Scherzava e giocava ma niente, rimaneva il villain di un film che non capiva. Forse anche lui si chiedeva chi era mai questo Roger.

L’ultimo periodo fu pieno di sconfitte, che servivano solo ad ampliare la leggenda. Più perdeva più diventava irraggiungibile. Ad un certo punto diventò immortale. Non mi credi? È così. Alcuni pensavano che lo avrebbero avuto per sempre a condizione di vivere per sempre con l’idea di perderlo da un momento all’altro. C’era chi scrisse che si era dimenticato di morire, non sono sicuro parlasse di tennis. Lo imploravano di giocare, almeno una partita, non farci questo. Io me lo ricordo, provava a dire che era stanco, che non ce la faceva. Ma come poteva convincere qualcuno che si chiedeva in continuazione chi fosse mai questo Roger?

Sai che le carovane del deserto la sera attorno ai fuochi si tramandano le gesta di quelli che hanno fatto la loro storia? Non parlano solo dei propri eroi, a volte parlano di nemici il cui valore li onora. Raramente parla di gente che non ha vissuto nel deserto, perché chi vive fuori da lì non è interessante. Eppure c’è chi giura che attorno ai fuochi qualcuno, dopo un racconto particolarmente animato, andasse a letto con una domanda che non osava fare. Che era mai questo Roger?

Io me lo ricordo quel 26 luglio, come se fosse ieri. Aveva vinto uno di quelli bravi a Toronto, fu il primo incontro tra quei due che fecero la storia del tennis negli anni ’20. Si aspettavano le Olimpiadi di Rio de Janeiro, lui aveva detto che avrebbe giocato tutte le partite, singolare, doppio, doppio misto, forse anche quello femminile se avesse potuto. La gente era al mare, era una giornata qualunque. Erano i primi tempi di facebook, leggemmo quel comunicato. Non distinguo il falso dal vero ma ricordo che il tramonto arrivò più in fretta, si vedevano delle lontani torre di fumo. Non avere lo sguardo triste, è una fiaba, te ne racconterò un’altra.

“Nonno mi racconti di nuovo chi era Roger Federer?”

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