Addio time violation, gli US Open testano lo shot clock

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Addio time violation, gli US Open testano lo shot clock

La USTA ha deciso di sfruttare i tabelloni junior per testare un cronometro che segnali il countdown dei 20 secondi tra un punto e l’altro. L’idea è quella di “standardizzare” il rispetto di una regola già presente, ma non tutti sono d’accordo

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Una partita di tennis può cambiare completamente faccia (e risultato) per una questione di centimetri, se non addirittura di millimetri. Per minimizzare l’impatto degli errori di valutazione dei giudici di linea, nel 2006 venne introdotta la tecnologia di verifica Hawk-Eye, ormai presente sulla quasi totalità dei campi principali dei più importanti tornei ATP disputati sull’erba e sul duro. Oggi i tempi sembrano maturi per una seconda innovazione tecnologica, stavolta mirata a regolarizzare l’aspetto temporale del tennis: lo shot clock.

Chi ha familiarità con il basket è di certo già abituato al cronometro dei 24 secondi, ben visibile in alto sopra il campo, che all’inizio del possesso palla di una squadra inizia il conto alla rovescia del tempo rimasto per completare l’azione offensiva. Ecco, l’idea sarebbe sostanzialmente la stessa: un orologio digitale che segnali i 20 secondi (25 al di fuori dei major) massimi che possono intercorrere tra un punto e l’altro dello stesso game, e che renda automatico il warning al giocatore in battuta ogniqualvolta esso “sfori”. Stacey Allaster, ex-CEO della WTA, attualmente responsabile del settore professionistico della USTA, rassicura: “Non stiamo cambiando il regolamento, ma provando nuove tecnologie e aiutando gli arbitri ad abituarsi”. In effetti finora l’applicazione della regola – che c’è, ricordiamolo – è sempre stata lasciata alla discrezione del giudice di sedia. La cosa ha finito per generare non poche polemiche, specialmente da parte dei detrattori di Rafael Nadal: i dati rilevano che lo spagnolo, forse anche a causa della sua routine di tic, è il giocatore ad aver violato la regola dei 20 secondi più volte negli ultimi 25 anni.

L’impressione, in ogni caso, è che la scelta di introdurre una simile novità (in realtà già presente nell’IPTL, il circuito asiatico a squadre) non sia dettata più di tanto dalla volontà di combattere le ombre di una disparità di trattamento. Il vero motivo dietro questo piccolo salto nel futuro sembra essere, piuttosto, la televisione. Un paio di anni fa Chris Kermode, allora come ora presidente dell’ATP, dichiarò apertamente che bisognava muovere il tennis in una direzione che lo rendesse più fruibile dallo spettatore casuale, e più facile da inserire in un palinsesto televisivo. “Il tempo ideale di una partita” disse Kermode, “deve essere intorno alle due ore, e meglio se si riducono il tempo di attesa per il riscaldamento e i tempi morti”. Visioni del genere fanno storcere la bocca agli appassionati di tennis, comprensibilmente legati alle tradizioni e ai ritmi del loro sport, ma il progetto pare ormai avviato verso la sua fase pratica.

I test per l’utilizzo dei due orologi aggiuntivi (uno per ogni lato corto del campo) partiranno in questi giorni, nei tabelloni junior degli US Open. Il countdown partirà ogni volta che l’arbitro chiamerà l’aggiornamento del punteggio. “Le prove junior sono ottime come incubatrice per le innovazioni. Prima di lanciare qualcosa a livello professionistico servono dei test, e il feedback dei giocatori”. In attesa del responso dei giovani, alcuni tennisti già affermati si sono già espressi a riguardo e i pareri non sono così favorevoli. Anzi, John Isner si dice nettamente contrario: “In campo ho bisogno di prendermi i miei tempi – ammette lo statunitense – e penso che avere un orologio da tenere sotto controllo spezzi il ritmo. Se vedessi che mi rimangono sono cinque secondi per servire affretterei il servizio e sbaglierei inevitabilmente”. Stile di gioco radicalmente diverso ma stessa opinione per Andy Murray: “Ci sono troppi fattori che entrano in gioco. Un raccattapalle lento, il pubblico… E influiscono sul tempo. Penso che gli arbitri siano tutti bravi e di esperienza, credo spetti a loro decidere se dare o meno il warning”.

Anche l’indiziato principale Rafael Nadal, nel corso della conferenza stampa con i giornalisti spagnoli, si è soffermato a lungo sull’argomento, dimostrandosi come ovvio molto scettico: “Per me non ha senso. Se vogliono applicare le regole in modo restrittivo lo devono fare per tutte le regole, non solamente per qualcuna. Le partite più emozionanti e memorabili sono quelle caratterizzate da lunghi scambi, non quelle con centinaia di ace. Dopo trenta colpi, se un giocatore si prende più tempo per servire non lo fa solo per se stesso, ma anche per l’avversario e per il pubblico. Se vogliono mettere l’orologio che lo mettano, ma io non sono d’accordo, è solo un modo per togliere responsabilità e lavoro all’arbitro. A questo punto con Hawk-Eye e l’orologio possiamo arbitrarci da soli”.

Effettivamente è difficile dar torto a Rafa: venti secondi per riprendere fiato dopo un ace di Long John sembrano troppi, mentre potrebbero non bastare dopo lo scambio da quindici colpi tipico di lui e Murray. Forse, per il bene dello spettacolo, sarebbe meglio continuare a lasciar decidere ai giudici. Anche a costo di qualche piccola protesta in più.

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